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domenica 26 luglio 2020
martedì 10 marzo 2020
Lillo, la mia vittoria di mamma
Hai sedici anni.
Mi pare ieri che la Figlia G, appena duenne, informava chiunque (nel senso di chiunque proprio, pure il fruttivendolo e i vicini di casa) che nella pancia di mamma albergava il "Lillino", ossia la contrazione infantile di "fratellino", in seguito ribattezzato Lillo per l'intera famiglia. Oggi come oggi mi fulmini con lo sguardo quando ti chiamo così, soprattutto di fronte a persone con le quali vorresti non essere messo in imbarazzo (e quindi sai bene che sarà la prima figuraccia che farai con la tua fidanzata: accusami di arteriosclerosi galoppante, non mi offenderò): ricordo con vividezza il tuo sguardo di massimo disprezzo (quello che sapete rivolgere solo alle mamme e solo alle mamme che compiono affermazioni sdolcinate in momenti assolutamente fuori luogo) quando, in preda a collosità materna e a panico da primo campeggio fuori casa, ti abbracciai come se tu stessi partendo per il Vietnam. Ti allontanasti guardingo accertandoti che nessun amico coetaneo avesse visto quello slancio appiccicoso e imbarazzante - non avevi più di otto anni - e dicesti, con sorriso tirato: «Stringiamoci calorosamente la mano». Ecco: a tutt'oggi sei così, anche se, in alcuni momenti di scoramento e stanchezza (miei, non certo tuoi), mi abbracci accertandoti della nostra solitudine (che, in casa nostra, è cercare l'ago in un pagliaio).

domenica 1 marzo 2020
Educare o Istruire?
Dopo una settimana di comprensibile ansia, la Figlia G risulta patentata. Orbene, la prima che ne approfitterà sarà sicuramente la Nobis che desidera essere portata al McDonald's (hai capito la furba?): ovviamente - come da protocollo - la prossima ansia sarà data dall'esame di maturità. Una delle domande di questi giorni, quindi, è la seguente: chi si può dire effettivamente "maturo"? La Figlia G sta iniziando a saggiare i limiti di questa definizione guardandosi intorno e approfittando del fatto di essere, fondamentalmente, un'osservatrice cauta della realtà. Possiede qualche amica e diverse conoscenze che attuano comportamenti che ella osserva, deduce, 'annusa' e verso i quali si fa un'idea, verso i quali esprime un giudizio. Come poi sempre accade, sceglie - consapevolmente o meno - di utilizzare medesimi schemi comportamentali ed elimina quelli che non le si confanno. Di una cosa lei è certa, l'esame di maturità non misura la maturità: purtroppo non serve molto a riconoscere quelle caratteristiche che fanno delle persone degli adulti in grado di assumersi responsabilità pari alla patente e al diritto di voto. La Figlia G è in quella fase, credo, nella quale comprende che il voto scolastico giudica solo una mera capacità mnemonica, ma trova talvolta sconveniente che lo studente compia ragionamenti personali, tragga conclusioni spontanee, abbia opinioni soggettive. Purtroppo lei non ha conosciuto docenti - ce n'è sempre meno - che stimolano lo studente al ragionamento, docenti, quindi, che educhino. No, soprattutto negli ultimi anni, il docente riempie. E quando va bene riempie di nozioni (a scuola per lo più si va per imparare materie), quando va meno bene riempie di opinioni (personali). E quando questo accade, lo studente si trova impacciato: non è un caso che entrambi i miei figli più grandi si siano trovati a non poter controbattere ai docenti che portavano non solo nozioni, ma anche opinioni.
giovedì 16 gennaio 2020
La storia degli omini della cacca
L'argomento potrebbe non appassionare chi è schifiltoso, ma tra mamme spesso è fonte di discussioni. In realtà questa è la storia del Nonno Gianni, della sua fantasia e di quello che di prezioso mi ha lasciato (inclusa la storia della cacca).
Il Nonno Gianni era figlio di Paolo (un cosiddetto "Ragazzo del '99" che tornò dalla Grande Guerra) e Serafina (donna caparbia e risparmiosa). Paolo e Serafina - soprannominata poi Nonna Tina da tutti - si mantenevano grazie a un negozio di macelleria a Milano (che durante la Seconda Guerra Mondiale fu raso al suolo) e qualche lavoro di sartoria, e misero al mondo due figli: Giovanni Natale (il nostro eroe) ed Emanuele (lo zio Lele).
Il Nonno Gianni era figlio di Paolo (un cosiddetto "Ragazzo del '99" che tornò dalla Grande Guerra) e Serafina (donna caparbia e risparmiosa). Paolo e Serafina - soprannominata poi Nonna Tina da tutti - si mantenevano grazie a un negozio di macelleria a Milano (che durante la Seconda Guerra Mondiale fu raso al suolo) e qualche lavoro di sartoria, e misero al mondo due figli: Giovanni Natale (il nostro eroe) ed Emanuele (lo zio Lele).
Il Nonno quattordicenne
mercoledì 29 agosto 2018
E tu che sei tornato sano dalla guerra: come ti sei permesso?
Tra le mille storie con le quali sono cresciuta, ce n'è una che spesso
racconto ai miei figli. Quando mio padre andò a conoscere i nonni
paterni di mia madre (Tina e Paolo), chiacchierando del più e del meno
raccontò del fatto che suo padre, mio nonno paterno, fosse stato ferito
in guerra (ovviamente la II guerra mondiale): l'argomento era stato
introdotto dal nonno Paolo che, infatti, era stato un ragazzo del '99.
Erano tutti a tavola: dalla finestra dalla piccola sala da pranzo, si vedeva il Lago di Como coi traghetti e, allora, quando di case ce n'erano meno, era visibile (guardando verso nord-est) anche il monte San Primo. La Tina (che poi si chiamava Serafina) non era una gran cuoca, ma quel giorno c'era il futuro marito della nipote a tavola, per cui sicuramente dall'orto qualcosa era stato colto.
Quando mio padre raccontò del proprio papà, che combattette a Nikolaevka e sopravvisse nonostante una scheggia di proiettile nell'occhio, la Tina ne fu ammirata! La sua alta considerazione di chi aveva servito il Paese e poteva mostrare le ferite che facevano onore al coraggio e allo sprezzo del pericolo, le bloccarono letteralmente il boccone in bocca.
Cercando di ricomporsi, fece immediatamente mente locale: qui non si stava parlando solo di un paragone tra la Grande Guerra e la seconda guerra mondiale, qui c'erano in ballo onore e patriottismo. Mantenendo la calma e deglutendo con noncalance, si rivolse al marito che aveva il disonore, evidentemente, di essere tornato senza neppure una cicatrice. Gli si rivolse in milanese:
"Te sentì Pàul?" ("Hai sentito, Paolo?")
"Eh, ù sentì, Tina" ("Ho sentito, Tina"), con tono abbattuto.
E la nonna, con tono melanconico:
"Che suddisfasìun per la sü mama" ("Che soddisfazione per la sua mamma"), riferendosi alla nonna di mio padre.
Erano tutti a tavola: dalla finestra dalla piccola sala da pranzo, si vedeva il Lago di Como coi traghetti e, allora, quando di case ce n'erano meno, era visibile (guardando verso nord-est) anche il monte San Primo. La Tina (che poi si chiamava Serafina) non era una gran cuoca, ma quel giorno c'era il futuro marito della nipote a tavola, per cui sicuramente dall'orto qualcosa era stato colto.
Quando mio padre raccontò del proprio papà, che combattette a Nikolaevka e sopravvisse nonostante una scheggia di proiettile nell'occhio, la Tina ne fu ammirata! La sua alta considerazione di chi aveva servito il Paese e poteva mostrare le ferite che facevano onore al coraggio e allo sprezzo del pericolo, le bloccarono letteralmente il boccone in bocca.
Cercando di ricomporsi, fece immediatamente mente locale: qui non si stava parlando solo di un paragone tra la Grande Guerra e la seconda guerra mondiale, qui c'erano in ballo onore e patriottismo. Mantenendo la calma e deglutendo con noncalance, si rivolse al marito che aveva il disonore, evidentemente, di essere tornato senza neppure una cicatrice. Gli si rivolse in milanese:
"Te sentì Pàul?" ("Hai sentito, Paolo?")
"Eh, ù sentì, Tina" ("Ho sentito, Tina"), con tono abbattuto.
E la nonna, con tono melanconico:
"Che suddisfasìun per la sü mama" ("Che soddisfazione per la sua mamma"), riferendosi alla nonna di mio padre.
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