domenica 5 maggio 2024

Una delusione di figlia

La gente non capisce proprio cosa vuole dire avere un figlio tanto desiderato che ti delude. 

Ma prima un quadro generale.

Una volta, intervistata in tv, una gentile e competente psicologa disse con certezza che io avevo messo al mondo i figli che sicuramente erano stati progettati (al minuto 8.50), ecco spiegato il mio essere presente per loro e l'essere (apparentemente) molto serena: la mia scelta di maternità era ponderata. Mai errore fu più grossolano (la psicologa non poteva saperlo assolutamente, non conoscendomi).

La Figlia G, amata sicuramente ma assolutamente non cercata (stavamo assieme da due mesi e avevamo rispettivamente 21 e 23 anni...).
Lillo, il nostro "momento di follia".
Lannina, ammetto sia quella cercata nel momento più incasinato della nostra storia.
Cigols, altro "attimo di pazzia".
Checcolens, "istante di avventatezza".
Piccinaccolo, surprice!!
Pantuffola, last madness...


Secondo il pensiero comune, il genitore garantisce una vita migliore (ossia senza la necessità di dover ricorrere allo psicologo) se:

- Il figlio è frutto di una coppia stabile che ha scelto attentamente momento e modo per mettere su famiglia;

- Il figlio è la "incarnazione" di un progetto al quale i genitori si preparano smettendo di fumare, bere alcolici, pasteggiare al Mac e mettendosi a fare attività fisica... Ah, ovviamente, l'acido folico.

- Il figlio giunge a coronamento del momento migliore dal punto di vista economico.

- Dedica al figlio l'attenzione giusta (né troppa, né troppo poca) sin dalla gravidanza: l'attesa non deve frustrare la coppia né le relazioni che i futuri genitori hanno.

- Si dà al figlio il tempo di qualità: il resto del tempo il bambino può serenamente intraprendere realzioni importanti con persone qualificate in grado di arricchire le sue giornate (chi frequenta il nido darà risultati migliori a scuola, dicono alcuni pediatri).

- Il figlio può avere tutto quello di cui ha diritto: sport, ripetizioni, scuole migliori, passatempi costruttivi. 

- I genitori, ma soprattutto mamma, è realizzata, felice e può mantenere una vita fuori di casa per i propri interessi.

- Ovviamente se il figlio è normodotato, sano, intelligente.

Al contrario, il solito pensiero comune, garantisce una vita incasinata ai figli (ossia che necessita di cure per lo più psicologiche) se:

- Il figlio viene concepito in una situazione familiare non del tutto equilibrata. Di solito lo sguardo accigliato è sulla madre: madre nubile, madre giovane, madre sola, madre vecchia, madre abbandonata, madre strana... non sono maternità raccomandabili. Spesso il padre è desaparecido

- Il figlio non era calcolato e la sua presenza porta scompiglio nelle vite dei genitori.

- Il figlio porta povertà al nucleo familiare.

- Il figlio richiede attenzione e condanna la madre alla sua presenza, costringendola ai domiciliari e al manenimento statale o da parte del compagno (o della famiglia d'origine).

- Se si opta per stare con il figlio privandolo di stimoli arricchenti (asilo nido e scuole dell'infanzia).

- Se il figlio deve fare delle rinunce (ovvero niente scuole perfette - ossia costose - e niente baby sitter madrelingua). Se la famiglia, per colpa del figlio, deve fare delle rinunce.

- Se mamma non ha una vita oltre il figlio.

- Se il figlio è disabile, fragile, malato, DSA, ADHD eccetera.

Questo 'simpatico' e 'intelligente' modo di vedere le cose, si chiama "determinismo"* ed è deletereo da qualunque angolazione lo si guarda. Se il mondo fosse davvero frutto di causa ed effetto, e se alle relazioni umane si potessero applicare le leggi fisiche, chimiche, grammaticali e aritmetiche, non saremmo esseri umani ma macchine, e il transumanesimo ci sguazzerebbe. Il fatto è che la vita non è così: persino dai medesimi genitori possono nascere figli completamente diversi con caratteri diversi, temperamenti diversi, speranze diverse.

C'è una sola cosa che a mio modesto avviso fa del figlio una persona con la speranza di avere uno sguardo positivo su se stesso: la serenità dei genitori, il loro esempio. E non sto parlando di felicità. Non credo minimamente che un figlio si faccia un'idea della vita se ha dei genitori sempre allegri e felici, sorridenti e disponibili, ossia se vive quella situazione idilliaca auspicata dai pedagogisti zuzzurelloni che agognerebbero la statalizzazione dei più piccoli per farli crescere sani, intelligenti, puliti e performanti, e che concederebbero una compresenza di figlio+genitore (1 o 2 è lo stesso) per il brevissimo tempo in cui dura un attimo di felicità. Quei sapientoni che cancellerebbero i voti o che toglierebbero di mezzo le materie che risultano difficili, quelli che la madre casalinga spettinata che talvolta è nervosa, è proprio una pessima madre. 

Sbarazziamo la strada da tutto e comincio io. Faccio come Bruto, lo squalo, che non mangia pesce da 10 giorni (Alla ricerca di Nemo): ciao, mi chiamo Rachele, e sono stata la figlia desideratissima di due genitori che avevano l'età giusta per mettermi al mondo, che avevano finito il loro percorso di studi e che avevano una casa di proprietà. Avevo l'attenzione di quattro nonni devotissimi e ogni sorta di gioco perfetto sul mercato. Scuole ottime. Mamma a disposizione i primi dieci anni di vita. Educazione cattolica equilibrata, tutti i sacramenti, passatempi sani, frequentazioni moralmente ineccepibili, amicizie ponderate. Eppure: voilà! Vado dallo psichiatra da 10 anni; ho sofferto di scatti di rabbia distruttiva; sono andata male a scuola per anni; ho frequentato personaggi discutibili; ho dormito sulle panchine della stazione dei treni; ho chiesto l'elemosina per mangiare un panino; ho bestemmiato; ho urlato coi miei figli; ho mostrato loro pianti e enorme fragilità; ho concepito la prima figlia al di fuori del matrimonio (uuuuh vedo arrossire qualcuno nelle file dei calvinisti)... E poi ho talmente altre schifezze nel mio animo e sul mio corpo che è meglio che non le stia qui a raccontare: cavoli miei.

Pare facile, eh, fare determinismo col culo degli altri. 

E lo applicano benissimo i funesti strizzacervelli da baraccone che siccome hanno uno smartphone se ne stanno lì a sentenziare sulla vita degli altri a seconda della loro visione professionale e dei libri che hanno studiato all'università. Per non parlare dei politicanti improvvisati e dei comunistelli da social network che mi scrivono su messenger che a loro fa schifo pagare le tasse perchè io le spenda mandando a scuola i miei figli che tanto saranno mentecatti disadattati perchè non ho potuto far frequentare loro il corso di chitarra e quello d'inglese. Mi è stato pure rinfacciato il fatto di aver usufruito delle sale parto degli ospedali per partorire e mettere al mondo dei mancamentati che chissà che turbe hanno perchè non ho comprato loro il gameboy (so che non si chiama così quello che c'è oggi, ma l'ultima volta che ho visto un videogioco era al tempo in cui si usava, per l'appunto, il gameboy). 

I figli stanno bene se vedono genitori normali che magari si arrabattano e discutono, ma sono sereni e si vogliono bene. I figli stanno bene se hanno genitori che stimano l'altro genitore e non rinnegano le scelte fatte assieme. Tra le mie amicizie ho tante donne, tante mamme, che se fossero osservate da assistenti sociali, psicologi e giudici minorili, verrebbero sbattute in gattabuia e verrebbe loro sospesa la patria potestà nel giro di 5/7 minuti. Se invece una persona non superba né ipocrita, ampliasse un tantinello lo sguardo in una visione d'insieme e se tale genio incompreso delle scienze sociali se ne stesse da parte zitto con un briciolo di umiltà e magari con il desiderio di capire meglio cosa significa essere genitori in una cultura che odia i bambini e abusa di loro per qualunque cosa, e che mette i bastoni tra le ruote a tutte le persone che vorrebbero una vita normale, scoprirebbe mamme (che sono quelle con le quali io ho a che fare maggiormente) e papà, che magari sono persone matte come cavalli che però hanno cresciuto figli sereni, gentili, disponibili, generosi, empatici, che magari lavorano o che studiano con serietà. Figli che magari non sono stati programmati, figli che non hanno avuto quasi nulla di quello che avrebbero potuto avere se fossero cresciuti in famiglie equilibrate, economicamente lineari, moralmente inappuntabili. Ma figli che vogliono bene ai propri genitori e che guardano loro con affetto e talvolta perdòno. 

I figli hanno bisogno di sentirsi custoditi, amati incondizionatamente (noooo non significa dare tutto quello che chiedono e ricevere solo dei sì: dai ragazzi, svegliamoci) e hanno bisogno di vedere genitori normali che trovano il modo di realizzarsi con qualcosa che li rende sereni. La maternità e la pternità realizzano. 

Non frega nulla ai figli e non cambia nulla a loro se sono stati reificati e superaccessoriati: essere desiderati non è essere amati, parimenti indesiderati non è essere odiati. Dare il massimo ai figli non è fargli frequentare Harvard né la scuolina petalosa dove si mangia frutta e il lattosio è cosa da piccolo-borghesi. La dittatura politicamente corretta rifiuta l'idea che i figli non sono mai come i genitori avevano progettato che fossero, certezza che i genitori del passato (remoto, non prossimo) avevano ben chiara perchè la semplice fede nell'essere tutti figli di Dio era l'unica informazione certa che i genitori erano consapevoli di possedere insieme alla logica dell'affidare i figli alla Provvidenza. Una volta rifiutata la logica della fede (Dio è Logos, si badi bene) i figli diventano oggetti: basta osservare la quantità di pubblicità delle fabbriche di bambini (alias banche di gameti) per farsi un'idea. La gggente, quella che chiacchiera di cosa sia l'essere genitore e cosa voglia dire esserlo (e ci metto dentro le demenziali soubrettes che siccome hanno i quattrini e gli ovociti si lamentano che la legge sia bruta verso di loro che sarebbero così tanto delle brave genitrici potendosi permettere il parco giochi di Pinocchio privato per i loro piccini) dovrebbe stamparsi nel poco di materia grigia che possiede nella cassa cranica, che amare un figlio non vuole dire preoccuparsi per lui, non c'entra niente con i vestiti e con il cibo migliore, non riguarda le cure né la scuola più adeguata. Questi genitori sono ottime persone, con ottimi presupposti, ma ferite dal determinismo: nascondere un figlio alle amarezze della vita dandogli attenzioni non farà sentire il figlio amato, visto, sentito, capito, accettato. Ogni figlio non sarà mai quello che avremmo voluto, sperato, agognato e desiderato. Amare il figlio è sapere di avere a che fare con altro da me, altro rispetto a ciò che sono io: questo salto cardiaco, questa specie di extrasistole cerebrale non è automatica. Quel benedetto tempo di qualità di cui straparlano i pediatri è immondizia proprio perchè se io non sto con un figlio, non consumo ore con lui, non lo ascolto e non impiego tutte le mie energie per concoscerlo, per chiedergli come la pensa, quale sia la sua opinione anche nei miei confronti, quale siano i cambiamenti che lui auspica nella nostra relazione, io posso anche nutrirlo perfettamente e abbigliarlo al meglio, ma non lo farò sentire amato. Lo amerò quando quel fottuto tempo di qualità me lo metterò in tasca e invece che giocare a cricket con le mie colleghe, me ne starò con gli occhi gonfi di lacrime a chiedere a mio figlio scusa quando lo vedo arrabbiato, triste, solo. 

Mi spiace infinitamente per gli opinionisti sagaci che se ne stanno lì a cantarsela sull'ideologia del figlio desiderato: io amo i miei figli perchè non li ho cercati, ma sono stati loro a trovare me. Nutrendosi del mio sangue hanno consentito alle loro cellule staminali di guarire le mie ferite e infatti le piaghe che porto sono quelle lasciatemi dall'assenza dell'unica figlia che non ho partorito né allattato. Ma che un giorno incontrerò e dalla quale mi farò guarire. 

Stavo dicendo, all'inizio, di quanto ho una figlia che mi ha realmente deluso. L'unica, guarda un po', che io e lo Sposo abbiamo cercato. Talvolta capita, ma è dura da superare.

Lannina ha preso 9 a matematica.
Mia figlia.
9.
Matematica.

Insomma: non facciamoci prendere per i fondelli. I figli ci sono donati per scombussolarci. Affanc Affambagno le ideologie.

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*"Perché […] siamo così tanto convinti del potere assoluto che le esperienze fatte nei primissimi anni di vita avranno nel plasmare il nostro sviluppo psicologico futuro? Vale la pena citare […] un passaggio in cui l'autore [Kagan] rintraccia le radici storico-culturali di tale diffusa convinzione: “L’idea diffusa che alcuni comportamenti genitoriali garantissero lo sviluppo di tratti del carattere necessari per il successo futuro […] significava che anche l'ipotesi complementare doveva essere vera: se le madri non accudivano i bambini piccoli in modo adeguato, questi sarebbero potuti diventare deboli di mente e di animo selvaggio”. Il fascino del determinismo nella prima infanzia risiede qui […] Il destino di un bambino simile si giocherebbe nell'arco di pochi anni e parrebbe necessitare, ai fini di un sano sviluppo, di un genitore quasi perfetto. [...] Fare tutto, farlo al più presto e farlo al meglio, al contempo evitando il proprio bambino esperienze potenzialmente avverse: un mantra che i genitori si ripetono in continuazione, e che, mentre tenta di placare la loro ansia e le loro paure, di fatto le alimenta e le ingrandisce". C’è un aspetto che (immersi nel nostro determinismo) non consideriamo: "attorno ai tre anni, i bambini cominciano a interpretare le proprie esperienze, assegnando significato soggettivo agli eventi […]. È, questo, un passaggio cruciale per lo sviluppo della nostra identità, dal momento che diveniamo sempre più detentori di un significato della –[…] nostra dimensione autobiografica [...]. L'incontro tra il diffuso fascino del determinismo e la denatalità spiega in modo eloquente un pantraumatismo[1] che finisce per ostacolare, anziché favorire, l'affermarsi nel figlio di una forte identità […]. Il pantraumatismo […] rifiuta l’evidenza della vita: venire al mondo vuol dire avviare una lunga sequenza di adattamenti all’ambiente che ci garantiscono tanto la sopravvivenza quanto la possibilità di sviluppare la nostra intelligenza e le nostre disposizioni latenti[2]".

[1] Nicolais chiama così il timore genitoriale che il bambino, futuro adulto, riceva dei traumi dagli errori dei genitori.

[2]  Giampaolo Nicolais, Il bambino capovolto. Per una psicologia dello sviluppo umano, San Paolo, Milano, 2018.