Aiutare la Mammitudine

 Così abbiamo scoperto che le madri che hanno messo al mondo la loro creatura, hanno bisogno di essere aiutate in maniera tangibile nell'immediato post-partum e dopo, a casa loro, con i loro bambini. Questo aiuto, questo sostegno, come ho sempre cercato di sottolineare, non coincide con la possibilità di affidare ad altri il proprio neonato: l'aiuto vero, l'ascolto delle emozioni e dei sentimenti delle neomamme, è importantissimo per la formazione della relazione tra neonato e puerpera. Tale relazione, che deve essere precoce e seguita con attenzione da personale formato sia nella fisiologia dell'allattamento, sia in psicologia, deve essere un ascolto dello "tsunami" che vive la mamma che ha vissuto l'evento più importante della sua vita. Troppo comodo dire a una donna che ha subìto un taglio cesareo d'emergenza: "Attacca il bambino e andrà tutto bene", "Cosa ti aspettavi che fosse?", "Svegliati! Devi occuparti di tuo figlio!!" o apostrofare una donna che ha avuto una gravidanza pesante (madri sole, madri con difficoltà familiari, madri con gravidanze oggettivamente patologice, eccetera): "Dai su, ce l'abbiamo fatta tutte", "Tuo figlio ha bisogno di te, svegliati", e altre indelicatezze.

L'aiuto nei confronti delle mamme con neonati, sta nel prendersi cura di una cosiddetta "diade" che ha perso l'attenzione della società, a causa di una modernità materialista e adultocentrica che vuole la Mammitudine come una veloce parentesi nella vita di una donna, che deve ritornare "come prima". Come spesso accade la fisiologia si è scontrata con l'opinione culturale e ha perso.

Prima di strapparci i capelli pensando che io sia contro gli asili nido, vorrei fosse chiaro che un adulto che si occupa di 4/6 bambini piccoli il cui processo di socializzazione (che è volontario) non è ancora maturo, non è paragonabile con un adulto che si occupa di uno o due bambini (parlo di gemelli) in casa loro e talvolta in presenza della loro mamma (suggerisco la lettura del meraviglioso "Andiamo all'asilo" della fantastica Giorgia Cozza).

Nel momento in cui una donna diventa madre si parla per lo più di persone di più di trent'anni che non hanno mai avuto a che fare con neonati e con le esigenze di una puerpera. È una media, ovviamente, nella quale c'è la ventenne che sta in casa con mamma e la quarantenne che aspetta il 7° figlio e altre realtà. La gravidanza è patologizzata al massimo: per la mentalità comune la donna incinta è una donna alla quale non hanno funzionato gli anticoncezionali ("Che fa, lo tiene?" viene spesso chiesto alle gravide che pare non abbiano programmato una gravidanza). Il delirio di controllo sul corpo gravido è spinto all'estremo con tutta una serie di test per verificare che sia in grado di mettere al mondo creature per lo più perfette (spesso tale controllo riguarda solo la necessità di evitare denunce per diagnosi errate). Quando poi avviene la Nascita la gravida passa all'ultimo posto: rispetto, gestione delicata del dolore, accoglienza... L'assistenza delle partorienti è un punto interrogativo enorme: dipende da diversi fattori tra i quali il numero di operatori sanitari (per lo più colleghe ostetriche) per donna ( ricordo che il rapporto uno-a-uno sarebbe fondamentale); il burnout che grava sul personale; l' "impronta" assistenziale del reparto (un luogo che lavora per la fisiologia assiterà in un modo, un reparto che identifica in ogni gravidanza un rischio di denunce, in un altro) e la formazione del personale (ostetriche e medici non sono psicologi)... L'evento Nascita dovrebbe avere un'enorme attenzione politica e sociale per tutti, ma questo non è. L'interesse nei confronti delle donne sta spesso solo nel tentare di evitare che la maternità non "costringa" la donna a stare a casa dal lavoro e nel fatto che bisogna cambiare le politiche sui servizi all'infanzia (quindi sul fatto che il neonato venga affidato a terzi). 

Come spesso accade ci si dimentica della fisiologia. Questa prevede che la "diade" già citata rimanga tale per diverso tempo, ma non sola. La solitudine delle madri è un abominio della società industrializzata composta da luoghi di lavoro, "partifici" (luoghi dove le donne partoriscono) e kindergarden dove mollare le creature.

Allora come la mettiamo con la Mammitudine? 

- la "Violenza Ostetrica" andrebbe abbattuta seriamente (nei miei modesti interventi sull'argomento, spiego come, dove, perché);

- la fisiologia andrebbe implementata nel modo migliore, ma non imposta (dirmi che dovevo svegliarmi perché ora ero mamma, quando avevo subìto un TC per distacco di placenta e non avevo visto mia figlia per 24 ore, non mi aiutò per nulla: ero molto in difficoltà nella relazione precoce con lei e temevo quel rapporto. E non sono l'unica ad aver avuto quelle difficoltà): per tale motivo il personale dovrebbe essere multidisciplinare;

- la "diade" dovrebbe essere sostenuta attivamente con un rooming-in attento e disponibile all'ascolto della stanchezza, delle emozioni, delle necessità pratiche;

- la dimissione deve essere attenta a quella "diade". 

- le mamme dovrebbero poter richiedere aiuto nell'adattarsi a casa con una persona debitamente formata: una persona che sappia cos'è la fisiologia e che ascolti. Una persona che dà aiuto pratico ma anche supporto, mentre mamma e bambino si conoscono. Una persona in grado di capire i segni di eventuali patologie come depressione post-partum;

- le mamme dovrebbero tornare a lavorare gradualmente e in orari consoni alla relazione con il loro bambino.

Aiutare la Mammitudine non è rompere la relazione tra mamma e bambino (asili nido sì, ma come scelta non come obbligo), ma far sì che quella relazione maturi, cresca, affronti le difficoltà. Dare alle puerpere un aiuto pratico quando non c'è, sosterrebbe la maternità.