Viene da pensarlo, vero?
Ragazzi maleducati, aggressivi, violenti.
Ragazze volgari, brutali, perfide.
Sarebbero bastati due schiaffi dati bene al momento giusto. O due calci nel culo popò dati bene. Ai miei tempi bastava un'occhiata di mio padre che me ne stavo zitta e buona.
Quante volte l'ho pensato anche io.
Quante volte sono cascata nella trappola del supporre che con una sana sgridata tutti si rimettono bene in riga. Infatti io, la scimmia urlante della famiglia, quella che quando torna a casa i figli grandi si chiudono nelle camere perchè cambia la pressione barometrica di casa, quella che sfiora il suono dell'Eurofighter a bassa quota, sono spesso definita una madre severa.
I docenti dei miei figli in età scuola superiore me lo hanno sempre confermato complimentandosi: "Signora come vede che i suoi figli rigano dritto! Lei dev'essere ben dura!".
La cosa simpatica, invece, è che quando sono alle prese coi figli di età inferiore ai 10 anni, vengo spesso definita 'molle' e i miei figli bollati come 'viziati'. Dormono con me per almeno cinque anni, poppano finchè non scoppiano, non stanno fermi a tavola per più di 14 secondi, fanno colazione coi cartoni animati e spesso pranzano o cenano su tavolino in salotto. Quando alcune persone hanno osservato come mi rapporto coi miei piccoli, ho visto gente scuotere la testa tristemente. Addirittura al supermercato, con la Pantuffola forse nemmeno duenne che capricciava per qualcosa (caramellegiochinogelatopizzacioccolatobarbie...) e come aiuto solo Checcolens per pagare alla cassa (grazie Signore che hai fatto inventare lo sparaflash che batte i codici a barre e paghi veloce), un anziano signore mi cominciò a urlare contro che mia figlia era un danno, che se non la facevo rigare diritta sarebbe crollato l'universo, che era colpa mia se poi da grande sarebbe diventata una pessima persona eccetera eccetera. Fossi stata la Rachele di vent'anni fa, alle prese con una Figlia G piccola e fossi ancora una madre di quelle che temono il giudizio altrui, avrei tolto con violenza la Pantuffola dal carrello e l'avrei sculacciata. Non lo avrei fatto perchè oggettivamente il suo capriccio mi dava dato fastidio, ma perchè non avrei sopportato la disapprovazione degli spettatori.
Sì: quando le mamme agiscono c'è sempre l'auditorio, il consigliatorio, lo spettegolatorio e il Giudizio Sommario delle Educatrici Infallibili, altrimenti detto: cìè sempre un manipolo di rompipalle che hanno sempre qualcosa da dire sulle madri.
Il Giudizio Sommario delle Educatrici Infallibili (GSEI) è un luogo amèno dove il bambino è un essere mitologico mezzo idiota e mezzo belzebù che va portato sulla retta via perchè, da grande, divenga l'Adulto Perfetto (AP).
Un sagace esempio del GSEI è il seguente impavido volantino che troneggia in una Scuola dell'Infanza dalla quale, immaginiamo, escano Saggi ed Equilibrati Infanti (passo precedente per diventare AP):
"Insegnare a un bambino a ritardare la soddisfazione dei propri desideri equivale a insegnare a tollerare la frustrazione e a vivere uno stato di delusione e scontentezza. Sembra una cosa brutta, ma non lo è. Perchè è qui che un bambino trova le sue risorse creative e la propria forza. Ed è anche qui che un bambino trova l'amore dei genitori, che gli insegnano a impegnarsi e a conquistare quello che vuole... e non solo ad acquistarlo!"
Pensavo sinceramente di averle lette tutte, le cattiverie e le infamie adultocentriche possibili ed immaginabili, ma questa è surrettiziamente di una perfidia lussurreggiante. Vado testé a commentare.
Partiamo dall'inizio: "Insegnare a un bambino a ritardare la soddisfazione dei propri desideri": ma perchè? Gli adulti che lo circondano ritardano la soddisfazione dei loro desideri? Io vedo gente che aggredisce, gente che abbandona la famiglia, gente che inganna, gente che abusa, gente che non si tiene i genitali nelle mutande, gente che ammazza: tutto questo senza ritardare di un secondo i propri desideri che, addirittura, qualcuno chiama diritti.
"insegnare a tollerare la frustrazione e a vivere uno stato di delusione e scontentezza": con quale presupposto? Gli adulti che si sono eretti a educatori tollerano la frustrazione e si sono abituati a vivere in uno stato di scontentezza senza proferire verbo? Negare la fisiolgia dell'essere umano, progettato da Dio (o da Madre Natura, fate voi) per tendere alla felicità, alla gioia, alla bellezza, quanto tollerano la frustrazione? E poi, perchè dovrebbero? Ci sono i reparti di Psichiatria che traboccano di persone malate, sofferenti; ci sono le Neuropsichiatrie Infantili che non sanno più come ovviare ai ricoveri; ci sono liste d'attesa interminabili da Psicologi Psicoterapeuti di ogni genere e tipo; gli psicofarmaci sono in vetta alle classifiche di vendita; le tossicodipendenze e l'alcolismo compaiono in età pressoché infantili; inoltre ci sono pellegrinaggi continui nei luoghi sacri per tentare di ricevere un minimo di conforto dalla Fede... E tutto questo perchè fisiologicamente l'essere umano non è fatto per la sofferenza estrema, soprattutto se lo scopo di questa sofferenza è viverci. Ma da quando in qua si pensa che sia giusto sopportare delusione e scontentezza (in realtà più o meno io lo so da quando, ma non voglio spoilerare nulla...)? E soprattutto, da quando in qua si suppone che sia educativo per un bambino che magari non comprende la situazione e percepisce solo dolore?
"Sembra una cosa brutta, ma non lo è. Perchè è qui che un bambino trova le sue risorse creative e la propria forza": con che base sicura? Nemmeno un adulto centrato ed equilibrato (ce ne sono?) può sostenere a lungo frustrazione, dolore e fatica, soprattutto se è solo. La creatività è nutrita dalla gioia, dalla prossimità, dalla presenza, dall'amicizia, dalla reciprocità: delusione e scontentezza svuotano il bagaglio emotivo e tranciano ogni sospiro di vita! La ricerca della forza che un individuo deve trovare per far fronte ai pochissimi momenti di dolore e tristezza e rabbia, depaupera qualunque adulto, figuriamoci un bambino, la cui fisiologia lo porta a cercare occhi amorevoli, braccia affettuose, sguardo sincero e, soprattutto, presenza attiva, amore incondizionato e sostegno.
È proprio una cosa brutta, anzi: è crudeltà.
"un bambino trova l'amore dei genitori, che gli insegnano a impegnarsi e a conquistare quello che vuole...": con che motivazione? Un adulto che vive frustrazione, delusione, scontentezza, sente di impegnarsi di più? Chi ha provato la depressione, la sofferenza e la solitudine del cuore, lo sa bene: l'ultima cosa che sente è di anelare a conquistare qualunque cosa. Perchè se già nella normalità abbiamo bisogno (TUTTI) di amore e affetto, una persona che soffre e che magari non ne sa neppure il motivo (un bambino, un anziano, una malato, un disabile), non ha lo scopo di conquistare nessuno se non la fine del suo dolore che talvolta fa rima con automutilazione, autoinflizione sino all'agognare la morte.
Capito il GSEI?
Torniamo a me e alla Pantuffola viziata e capricciosa che sicuramente diventerà una despota. Grazie a Dio sono la Rachele dopo dieci anni di psichiatra, dopo libri, dopo confronto con altre mamme, dopo lo scontro con il passato, sono riuscita a guardare l'anziano signore che urlava contro di me, mi sono guardata negli occhi con Checcolens e ci siamo sorrisi, lasciando che l'omìno continuasse a blaterare contro le mie ipotetiche negligenze genitoriali. Solo quando si è avvicinato alla Pantuffola agitando le mani, un commesso del supermercato si è frapposto ed ha allontanato il Pedagogista del Noartri in piena crisi senile.
Sui social, invece, è pieno di analfabeti emotivi disfunzionali che blaterano le medesime frasi del vecchietto e quando a blaterare roba del genere sono cognataziaamicacuginapanettieresuoceraeducatrice eccetera, allora c'è un problema (suggerisco di mandare a cercare sconti nel negozio di vaffanculeria più vicino a casa).
Dicevo (mi sono persa, ovviamente) che c'è un contrasto mostruoso tra come vengo giudicata dura e quasi autoritaria da chi osserva i miei figli post pubertà, e come vengo giudicata fiacca da chi osserva i miei figli pre pubertà. Il fatto è che io sono sempre la stessa (con gli altalenamenti della giornata: la mattina ho più energia, la sera m'inalbero facilmente), non sono due madri.
Cambiano i figli, tuttavia. E chi non capisce la mia lotta costante verso l'acquisizione delle tappe di crescita fisiologiche, non può voler capire le differenze di come mi rapporto coi figli.
Conoscere la fisiologia mi ha reso libera di agire coi miei figli senza rendere conto a nessuno: coi miei figli io ci sto il più possibile, non delego ad altri la loro educazione (anche se, come può succedere in qualunque famiglia, ho chiesto aiuto a professionisti più volte) e mi sbellico dalle risate quando mi viene detto che sono una madre lassista perchè io e mio marito (le decisioni le prendiamo in due, solo che mio marito è spontaneamente portato a attuarle, mentre io ne parlo) confermiamo la nostra presenza, il nostro aiuto, il nostro affetto e la nostra cura sempre (pure la notte e pure nel talamo nuziale). Certo che il rovescio della medaglia riguarda il fatto che i panni sudici, ovvero gli effetti dei miei innumerevoli errori educativi, me li sono cucinati e mangiati io. Non ho accusato gli altri. Neppure quando quegli altri erano platealmente la fonte del dolore dei miei figli: in questo caso non solo è colpa mia perchè non ho visto, ma perchè non ho agito subito rifiutando il bisogno dei miei figli di stare in una determinata situazione.
Diciamo che io non credo minimamente nelle cosiddette "terapie affermative": se uno dei miei figli, dopo gli 8 anni, si credesse Napoleone, non gli farei intraprendere alcuna battaglia in Belgio (diciamo così).
Quello che io vedo, dal basso della mia vita fatta di panni da stirare e poco di più, è che ci sono adulti perfidi talmente tanto da redigere boiate come quelle scritte in questo articolo e che probabilmente non sono stati amati, ascoltati, rispettati nemmeno un po' quando erano piccoli.
PS: ascoltare, rispettare e amare non vuole dire accettare che un figlio faccia tutto Quello che vuole. Quello è lassismo e lo annovero, insieme con l'autoritarismo, nell'insieme della Pedagogia Nera.