sabato 29 giugno 2024

Cristo Educatore, ispirazione per i genitori

Io sono una madre stanca che a volte "smatta". Le mie ultime incazzature mostruose hanno riguardato il casino nella camera di Cigols (2 metri per 5: letto, armadio piccolo e cassettiera, due mensole, scrivania) che è SEMPRE una sorta di loculo pieno di vestiti sudici lasciati per terra, fogli con schizzi di disegni (Cigols usa le penne con l'inchiostro - !!! -) e libri di scuola con relativi quaderni. Non ce la faccio. Non lo sopporto. Inoltre - incombendo l'adolescemenza - qualcuno apra quella benedetta finestra!!! Checcolens l'ho pelato come una carota (prima di passarlo alla grattugia) e l'ho minacciato di inscatolare tutta l'immensa collezione Playmobil (roba per lo più mia di quando ero bambina) e di ficcarla in cantina (dove? Non ne ho idea) se la mansarda-sottotetto non viene rimessa un po' a posto ogni tanto. I miei urli sono proverbiali. Credo che un anziano signore che una volta si trovava vicino casa mia per "pascolare" cane nel giardino pubblico adiacente, memore delle scudisciate prese da giovanetto, si sia messo a ridere quando io ho urlato che avrei preso Checcolens e il Piccinaccolo (che fa sempre lo gnorri ed è uno di quelli che si giustifica subito) e li avrei messi da dove sono usciti per almeno un mese intero, dopo averli colpiti col battipanni (NB: non possiedo un battipanni perchè di norma non batto i panni). Probabilmente gli assistenti sociali della zona hanno già avuto segnalazioni di ogni genere, ma desistono perchè, alla fin fine, i miei figli ridono e scherzano tutto il giorno. 

Detto questo io sono spesso in crisi perchè - come spesso capita a molti genitori - cerco di leggere nelle difficoltà dei miei figli quelle sediciantamila colpe a me riconducibili. Tempi fluidi e dell'educazione governativa permettendo, rimango sempre in panne di fronte alla terribile domanda: "E adesso cosa faccio?". Da lì mi sono resa conto che la questione è ben più grande e siccome sono un'appassionata di pedagogia e amo il mio Signore, spesso mi domando «Lui che avrebbe detto?»


Facciamo un balzo a latere alla questione.

Provo a fare un esempio per cercare di far capire il mio punto di vista.

Il mio mondo, quello cattolico, che mette in discussione gender e agenda 2030, sta compiendo un ottimo lavoro anche per il ripristino (finché ce ne sarà la possibilità) delle scuole non governative ma cosiddette parentali. Alcune sono ottime e debbo ammettere che sono organizzate bene. Il mio dubbio è tuttavia il seguente: si tratta, dal punto di vista della famiglia, di una delega. Cambia solo il 'delegato': il genitore cattolico che sceglie la scuola cattolica, lo fa per stare tranquillo, per non avere l'incubo del gender o di altro, tuttavia non assolve a un compito specifico al quale Cristo ci chiama fornendoci un esempio di autorevolezza. Quindi nulla muta, nella relazione tra genitori e figli, cambia solo il fatto che l'insegnante fornisce delle informazioni magari più circostanziate e meno ideologizzate sul Medioevo, per esempio. Quello che temo è che il passaggio principale del concetto di figlio come di un talento da far fruttare nella maturazione della sua vocazione, non sia un concetto concreto ancora visibile in modo chiaro nel mondo cattolico. 
Voglio dire: che i figli siano strumento di propaganda nel mondo gender eccetera, lo vediamo tutti i giorni. I miei figli sanno perfettamente che quando scatta l'ora di 'educazione civica' è il momento ideologico. Mi chiedo: è possibile che anche nel mondo cattaolico valga la stessa situazione? 
Possibile che anche in un mondo che io vivo nel quotidiano, ci sia un modo d'interpretare e realizzare la genitorialità, diversa dal mondo gender solo per il contenuto? 

Educare a una fede, specialmente a quella in Cristo che più di tutti ha mostrato la sua vita dalla nascita alla morte, non significa fare la lezioncina frontale, ma essere testimoni, essere modelli da seguire, essere fermi nella propria irremovibile fiducia in Cristo (irremovibile ma consapevolmente fragile e bisognosa di continua forza che viene direttamente da Dio). Quando io leggo le storie di Santi, osservo sempre un dato di fatto: quella è gente che avrebbe volentieri vissuto serenamente la sua vita (dono di Dio), senza impelagarsi in grandi proclami di martirio. Tuttavia, scelta da Dio per realizzare un Suo progetto, ha semplicemente cristocentrato la propria vita, accogliendone difficoltà e dolore. Tutto questo non lo spieghi con la lezione frontale, ma con la presenza, la testimonianza. 

E se io genitore desidero seminare fede nel cuore di mio figlio, io non aspetto che lo faccia una scuola attraverso un programma scolastico meno comunistoide o genderista, ma trovo il modo e la maniera di essere il primo educatore di mio figlio. Certo, una scuola dove si parla di Guareschi anzichè della Murgia mi fa stare più tranquilla, ma se in casa mia si legge Guareschi, le scempiaggini (pace all'anima sua) della Murgia hanno il tempo che trovano. 

Ciò che mi rincresce constatare è che spesso noi cristiani ci siamo conformati alla mentalità corrente, stiepidendoci e dimenticandoci delle indicazioni di Cristo sull'essere integerrimi. Scendendo a patti col mondo, abbiamo perso gli insegnamenti salienti di Cristo, per esempio quelli sulla relazione coi figli: sia delegando a regole e metodi il nostro modo di educare, sia - al contrario - adattandoci alla tiepidezza ineducativa. In sostanza l'autoritarismo, quello che alcuni importanti educatori suppongono essere il modo di evitare che il figlio accumuli vizi e che pensano essere il modo per contrastare il lassismo educativo più diffuso, è parte dell'intiepidimento del cristiano, dimentico di un concetto fermo che ci ha lasciato Cristo attraverso l'autorevolezza. E Cristo è Amore, Misericordia, Fermezza, Resurrezione, amore al prossimo e anche al nemico.

Ama il prossimo tuo. 

E fallo come ami te stesso. 

Quindi per amare il mio prossimo, io devo amarmi. E per amarmi, devo conoscermi e sapere chi sono. Devo avere un'identità, un confine, una centratura. Devo sapere da dove vengo, dove sto andando, sono chiamata a lavorare su ciò che il prossimo mi suggerisce, cogliere l'opportunità di capire che strada devo compiere, gettare luce sulle ombre della mia vita... Con questa strada da percorrere (spessissimo non da sola), io mi posso dichiarare serena nell'amare ed accogliere il prossimo. Quando non riesco ad amare il prossimo, in fondo io sento di non volere il mio bene.

Mi limito a ripetere il concetto di prima: essere di Cristo, dirsi cristiani, vuole dire amare gli altri, rimanendo centrati su se stessi (quindi delimitando anche il proprio confine fisico e psichico: dicendo "no" e dando limiti all'altro, anche se gli vogliamo bene). Trovarsi ad affrontare i fatti - duri, aspri, imprevedibili - della vita tenendo in mente Cristo, vuole dire avere una prospettiva di speranza e di verità. Speranza e Verità sono due importanti virtù che non sono facili da attivare nel nostro cuore, ma ogni cosa (malattie a parte, che credo siano situazioni che destabilizzano e mettono davvero in crisi) può essere vissuta ed affrontata in modo cristocentrico. 
 
Ora: Cristo spero che non possa essere identificato né come lassista, né come autoritario (tantomeno come trascurante o rifiutante, se ricordiamo che nel modello degli stili educativi c'è anche questo quarto). Lo puntualizzo perchè sento le vocine stridule di chi affronta la vita con il motto "La vita è sofferenza: quindi bisogna affrontarla con durezza" (specialmente si tratta di persone che si appellano alle sberle ricevute per affermare che loro sono felici di averle date e che questo è ciò che manca ai giovani d'oggi) oppure di chi è certo che siccome la vita è piena di frustrazione tanto vale educare i figli al dolore e al sacrificio, sin da piccoli, perchè così si abituano. Per non parlare dei grandi pedagogisti che sanno ben loro cosa sarebbe meglio per i giovani libertini: un controllo totale, quindi il famoso "lasciamolo piangere" che non ha mai fatto male a nessuno, altro che tenerlo in braccio... 
Come si possa pensare che usare l'autoritarismo, la manipolazione, il ricatto (specialmente quello affettivo), abitui alla durezza della vita, non ne ho idea: penso - da ignorante - che possa solo stimolare chiusura, timore, fragilità, evitamento o narcisismo. Similmente come si possa non porre dei limiti ai figli, privandoli di autonomia, di creatività nell'usare le risorse personali per risolvere i problemi che la vita pone d'innanzi, non so proprio da che ispirazione giunga. 
Identificare il bambino come spirito libero senza freni o identificarlo come abile manipolatore, sono facce della stessa medaglia. E questa medaglia è quella del Conformista n°1. Costui o costei non può dire di essere di cristocentrico, perchè se c'è un anticonformista educativo, questi è Gesù. E il cristiano è colui che non teme l'originalità e il modo più difficile di attuare la propria vocazione quando quelle preconfezionate sono così semplici: quella difficile, ostica e sfibrante è adattarsi momento per momento, ad attuare le soluzioni più creative in uno specifico contesto. 

Regole, metodi, limiti artificiali non si possono usare nelle relazioni. E una delle relazioni più imposrtanti è quella con Dio. E per non peccare, il cristiano non segue tante regole, ma segue l'unico comandamento: l'amore per la persona. E ricordo che Cristo ha amato non per ottenere, ma per amare. 

Cristo credo sia stato uno degli educatori più centrati e ferrei della Storia della Pedagogia, il simbolo dell'autorevolezza e del dialogo. Come asserivo prima, per amare (il comandamento che ci ha lasciato Cristo è uno solo) è assolutamente necessario avere competenza su se stessi, avere un'identità: pensiamo ai drammi dei giovani, che vengono indotti a pensare di non sapere con certezza chi sono (la chiamano fluidità, a me pare mera depressione): come fanno a rendersi disponibili all'altro, donandosi al prossimo? Chi soffre è spinto a guardare se stesso, ad affidarsi al primo che passa, a cercare soluzioni rapide al dolore: mi pare ovvio e scontato.

Ciò che invece Gesù ha insegnato attraverso la sua infinita pazienza, disponibilità, accoglienza e severità, è stata l'importanza di attivare relazioni di grande compassione, tenerezza e misericordia. 

Egli ci chiede amore. Amore per gli altri, il nostro prossimo, amore per il nemico. I primi prossimi sono i figli, i coniugi, i genitori. Ed amare significa amorevolezza e sincerità attraverso l'autenticità: tutti rapporti che non possono essere semplificati da regole o metodi, ma debbono essere autentici. Altrimenti il seguire il cristianesimo sarebbe semplificarlo. 

E il Signore, che ci ha dato i figli proprio per interrogarci su questo complesso ma molto semplice rapporto nel mondo senza essere del mondo, è più difficile: ognuno deve trovare la sua strada. Un po' come me, che so quanto Cigols vada preso per le corna quando va rimesso in carreggiata, ma so invece che Checcolens va preso innanzitutto valorizzandolo e so che Lannina va prima di tutto fatta sentire oggetto di fiducia. Ebbene il Signore ci dà i figli proprio perchè scoviamo il modo di crescerli mantenendoci come il padre del figliol prodigo, che ama entrambi i figli ma vuole il bene di ciascuno di loro. 

Cristo ci dice, come accennavo poc'anzi, di amare i nostri nemici. E quante volte osservo il fatto che i nemici, per noi, sono i nostri figli? Quando si rivoltano contro di noi, quando non ci ascoltano, quando ci disprezzano... E il conto sta nel prendere su di noi i peccati dei figli, con misericordia e con amore incondizionato, facendo sentire i figli amati, sorretti, magari inquadrati con fermezza. Il figlio a volte sente la necessità di vedere quanto il genitore lo ama, talvolta portandolo alla sopportazione estrema. Quando si sente concretamente amato, allora il genitore ha vinto. 

Il sacrificio massimo è morire a se stessi come adulti per rinascere genitori di figli amati. Figli amati che saranno in grado di amare. 


(Grazie a Daniele e Rita)