Lo affermo con fierezza: io sono una capra in tecnologia. E non solo sono una capra (anzi, probabilmente una capra saprebbe almeno far funzionare la posta elettronica), ma sono una capra di montagna: cocciuta e testona, se mi avvicino a qualcosa di mediamente tecnologico - tipo la macchinetta del caffè a cialde (ovviamente antiecologica) - questo smette di funzionare. So che non si addice a una persona che tenta malamente di essere cattolica (possiedo lacune drammatiche), ma a mio parere possiedo un retaggio vagamente simile all'animismo preistorico. Come tutte le donne, adoro gli elettrodomestici, ma l'amore non è corrisposto. Ieri ho fuso uno sbattitore elettrico, così, per dire. Non so come avviene: talvolta io e il macchinario ci guardiamo come Clint Eastwood e il cattivo di turno: «Questa cucina è troppo piccola per tutti e due», sembra dire il Cusimat della Nobis (roba anni '60 ancora funzionante). E allora s'impianta. Non si fa montare senza lasciare un pezzo indietro. E allora tocca chiamare il Mari, sotto le cui mani ogni elettrodomestico si scopre gatto soriano pronto a farsi accarezzare fino alle fusa. E fin qui ho detto poco. Se qualcuno mi vedesse alle prese con un computer, al quale io do caratteristiche ovviamente maschili, potrebbe solo suggerirmi di tornare alla macchina da scrivere, invito che per me potrebbe essere paragonato alla partecipazione al gran ballo delle debuttanti: cresciuta con una madre correttrice di bozze all'epoca delle macchine da scrivere, il 'DING' della fine del capoverso, mi commuove.
Personalmente io sono dell'idea che sia molto difficile insegnare, oggigiorno. E che la scuola abbia esondato nel proprio ruolo. Percorsi didattici sull'uguaglianza di genere, l'ecologia, l'antirazzismo, la sessualità, il coding (non so neppure cosa sia: me ne ha parlato Lannina l'anno scorso, ma pure lei ha snobbato la cosa, probabilmente occupata a parlare di cosmesi in erba con qualche compagna di classe), la tecnologia, l'ambiente, eccetera, esulano drammaticamente dalla didattica. Io sono una di quelle madri che avrebbe davvero solo bisogno che la scuola impartisse un'istruzione: italiano, scienze, matematica... E invece mi tocca constatare che gli insegnanti spesso sentano su di loro il peso educativo e che le scuole, divenute aziende - come le ASL -, mirano a promuovere sempre il massimo della tecnologia, del divertimento e di tutte quelle attività che servono - lo dico francamente - molto a poco.
Alcuni esempi: le ricorrenze prosaiche come 'la festa della pace' (che per molte insegnanti è un'opportunità per parlare di pacifismo e osteggiare qualsiasi divisa militare, salvo che in occasione del coronavirus: allora i militari improvvisamente servono); la 'giornata di sensibilizzazione per la sindrome di down' (durante la quale si evita di ammettere che la stragrande maggioranza dei bambini con sindrome di down subisce la soppressione quando si trova nel pacifico grembo materno); la 'manifestazione per l'ambiente' (che fa saltare preziose ore di scuola e che però non piega le insegnanti all'uso spasmodico delle fotocopiatrici per schede e quant'altro); il concerto di natale (rigorosamente scritto minuscolo per far capire che non è importante il nome, ma l'evento) che serve solo per tirar fuori il peggio dalle mamme e dalle nonne che tentano di uccidere pur di realizzare il primo piano del loro bambino intento a cantare una canzone che spesso non c'entra nulla né con la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo (il Natale, per l'appunto, ricorda quel Bambino), né con la famiglia (per l'amor del cielo! È offensivo per tutti gli altri tipi di famiglia); la recita di fine d'anno che provoca nelle maestre delle sincopi e nelle madri la cosiddetta 'sete di protagonismo' e le cui ore ed ore di prove, tolgono alla didattica del tempo preziosissimo.
La mia maestra, Angelamaria Vaccaro Murgante, detta Gioietta, realizzava molte cose per gli allievi, ma tutte inerenti la didattica. Per Natale una semplice canzoncina (Astro del Ciel, di solito, oppure in quinta - facendoci saggiare la poesia del latino - Adeste Fideles) durante l'orario di scuola (un adulto per bambino e basta) e per la fine dell'anno una semplice mostra coi disegni realizzati da noi durante le ore delle tirocinanti dell'istituto magistrale. Certo, era una maestra che portava avanti i suoi progetti: fondò le Formiche Verdi (che eravamo noi) e riuscì a convincere il Comune di Milano a far fare dei lavori al parco pubblico adiacente la scuola elementare dei Bastioni di Porta Nuova (all'epoca era rifugio di tossicodipendenti e gabinetti pubblici per padroni maleducati di cani). Avevamo anche un giornalino a cui tutti, a gruppi di tre o quattro, contribuivamo con disegni e articoli. Invitò un paio di suoi amici di famiglia (Walter Bonatti e Oreste del Buono, per esempio) perché raccontassero le loro vicende (a turno dovettimo formulare delle interviste come in una vera e propria conferenza stampa) e ci portò in gita all'Isola Bella e a Roma dandoci rudimentali infarinature di storia dell'arte). Tuttavia era estremamente attenta alla calligrafia, all'ortografia, alla grammatica (queste tre materie che si fondono, avevano un quaderno solo e nessuna scheda: lei aborriva lo spreco di carta che le fotocopie portano), alla storia e alla geografia (un quaderno solo: la geografia si faceva anche con la cartina d'Italia appesa in classe), alla geometria e all'aritmetica (un quaderno solo). Per farci esercitare a leggere e, nel frattempo, studiare storia e la storia di Milano, ci fece leggere il capitolo dei Promessi Sposi che racconta la morte di Cecilia, oltre che alcuni versi del Paradiso.
Quindi veniamo a noi: per quanto attiene la scuola, io sostengo il fatto che alle insegnanti la scuola chieda molto. Probabilmente troppo. E che anche i genitori chiedano loro molto, avendo talvolta delegato completamente l'educazione dei propri figli. Se potessi permettermi una libertà, io suggerirei agli insegnanti di tornare a fare ciò che debbono: insegnare. Io non pretendo che a scuola i miei figli ricevano lezioni di affettività: è un problema della famiglia sia fornirle, sia non farlo, sia il come realizzarlo. Io pretendo che una maestra insegni, in modo accattivante e interessante, la grammatica, l'aritmetica... Dirò una bestialità, ma trovo pure che l'insegnamento della lingua, sia inutile, per lo meno fino alle superiori. Sì perché se a insegnare inglese ci deve essere un'insegnante italiana, tanto vale... E in anni di scuola dei miei figli e dei loro amici, quella che sa bene l'inglese (guarda i film e legge libri in inglese) è la Figlia G. Questo anche se alle elementari non lo ha praticamente fatto e con l'educazione parentale delle medie, non lo abbiamo toccato. Perché lo sa bene? Perché ha un'insegnante di grammatica e una lettrice inglese (ha optato per il liceo linguistico). E l'intenzione di studiarlo. Lillo, che vuole fare il geometra (sì, come il suo papà), fa un inglese morbido e molto semplice: se e quando avrà voglia, lo acquisirà: il cervello umano è elastico e si adatta... come dico sempre: se conoscerà una bella fanciulla turca, imparerà pure il turco (no, Cigols, non il turchino). E difatti a scuola le maestre e le insegnanti si trovano a gestire situazioni che non competono loro: l'educazione di bambini o lasciati a loro stessi, o del tutto troppo tutelati dai genitori.
Mi si potrebbe chiedere come gestirei io l'aumento della maleducazione dilagante in bambini e ragazzi, visto che chiacchiero tanto. È palese che ci siano bambini che hanno atteggiamenti dannatamente sgradevoli, oggigiorno. Non sono una di quelle persone dedita a credere all'infinita bontà dell'individuo, e se un bambino cresce in modo diseducato, ne risentirà lui stesso per primo, quando crescerà (basta vedere le facce e i discorsi dei venti/venticinquenni che si rifiutano di obbedire alla legge che dispone lo stare a casa per evitare contagi, attualmente: evidentemente la scuola non ha educato loro a nulla, e i genitori hanno abdicato al loro ruolo. Probabilmente alcuni genitori sono anch'essi adultescenti eredi dei vari "vietato vietare" di sessantottina memoria.
La mia maestra Gioietta non era tipo da tollerare tre cose: il disordine sul banco (lo specchio dell'ordine mentale, diceva lei); il disordine nei quaderni (ci faceva scrivere tutto con la stilografica e strappava le pagine brutte); la maleducazione (alzarsi senza permesso, urlare, dire parolacce, mangiare in modo sgradevole). Era una persona molto comprensiva, e si rapportava con gli allievi in modo autorevole, ma affettuoso. Quando ad Andrea morì la mamma, in seconda elementare, non venne trattato con i guanti di velluto, ma con molto affetto e concretezza. Giunta la "festa della mamma" ella non annullò l'evento e il rituale disegno con poesia, ma suggerì ad Andrea di considerare la nonna come una mamma (le nonne, alla fine, sono anche mamme): non mutando i piani di un'intera classe, favorì l'accettazione di una situazione che stava vivendo un bambino, senza farlo sentire diverso. Ecco se potessi dire che insegnante io, malamente, emulerei, io sceglierei la mia maestra.
Maleducazione, dicevo. In realtà i bambini e i ragazzi d'oggi non sono maleducati: sono diseducati. E sono vittime di un terribile equivoco: educazione non è rovesciare le proprie convinzioni dentro a qualcuno. Attualmente tutti vogliono educare, ma pochi lo sanno fare (io per prima). La maggior parte degli adulti, addestra. E se l'educando-animale non acquisisce il numero da esibire, l'educatore-addestratore, punisce, lascia correre o tenta di sostituirsi ad esso perché nessuno possa dire che la famiglia-circo non ha saputo compiere il suo dovere. E ogni ammaestratore tenta di domare l'animale sempre di più dell'altro. Per cui c'è la maestra che è convinta sostenitrice antirazzista (basta, oramai, frequentare facebook e vedere cosa pubblicano gli insegnanti, per farsi un'idea), che riempie di concetti antirazzisti i bambini. C'è il capo-scout, il sacerdote, il genitore.... I bambini e i ragazzi sono bestie che subiscono ogni tipo di ammansimento e addomesticamento: moderni esempi di cani di Pavlov, i giovani debbono subire suoni di campanelli per sovraprodurre saliva a comando. E perché l'educatore-domatore si comporta così? Perché ha paura. Perché teme che quel giovane non acquisisca quello che l'adulto pensa essere la cosa più importante, ne teme l'autonomia di pensiero, l'acquisizione di un'opinione propria, per non parlare della maturazione di un'opinione negativa del proprio educatore. E tale timore si riflette indirettamente (penso alle mamme che fin dalla prima elementare fanno i disegni e le prime schede dei figli e penso a quelle che in terza media si scannano sul gruppo whatzapp per capire come risolvere, loro, l'espressione 34 a pag. 175), o indirettamente (penso alle insegnanti che cercano di essere sempre sorridenti e felici, mandano messaggi sulle chat di classe con le foto dei bambini, corredandole di cuoricini e sorrisini). Ma la paura è il peggior nemico dell'educazione! E infatti, se non riescono, gli ammaestratori si scannano a vicenda accusandosi d'incapacità reciprocamente: per ciò un ragazzino che combina un casino è sballottato tra le colpe dei genitori, le colpe degli insegnanti e le colpe della società. Quindi poi il ragazzo è solo ad affrontare i propri errori, frutto - spesso - del fatto di non essere stato educato ma solo domato.
Educare è ben altro, per me.
Personalmente io sono un genitore pessimo, l'ho sempre detto e non temo che qualcuno, un giorno, mi possa rinfacciare errori mostruosi compiuti dai miei figli. Però ci ho provato. E non l'ho fatto perché non avevo voglia di lavorare o perché - come in alcune situazioni mi sono sentita dire - è più facile fare la mamma e la casalinga (fare la mamma è considerato fare la mantenuta fancazzista, da tante donne). Semplicemente mi è venuto d'istinto, trovandomi a volte di fronte a figli (i primi sono sempre un po' le vittime dell'incompetenza genitoriale: normalissima tra l'altro, per la mia generazione spesso priva di esempi) che assorbivano concetti e aspetti caratteriali che non mi piacevano per niente. Tentando di educare senza ammaestrare, ho provato a far venir fuori il carattere di ognuno in modo personale, andando controcorrente (si veda i drastici limiti che ho dato ai miei figli in tantissimi ambiti, dal cellulare al computer, dai tempi di libertà alle conoscenze con gli amici) ho voluto far sì che non si sentissero obbligati a essere uguali ai coetanei: e questo lo debbo agli esempi che ho vissuto guardando agli altri genitori ed educatori, che mi hanno trasmesso tanto.
E qui giungiamo al punto di partenza: i tempi attuali stanno richiedendo ai genitori di tornare a essere educatori. Perché per ammaestrare un bambino valorizzando magari solo il voto che l'insegnante fornisce, è impossibile in un'epoca durante la quale l'insegnante non può valutare. Perché stare con un bambino o un ragazzo, mostra i propri lati negativi e fa impegnare il genitore: capire che l'esempio è quello che conta, è il primo passo verso l'educazione consapevole. Tornare a far eseguire i compiti in autonomia, è un mezzo potente perché il bambino si autoregoli, magari approfondendo qualche ambito personale (Cigols ha ripreso in mano la stilografica perché si è reso conto che alcuni quaderni hanno pagine raccapriccianti). Per ciò che attiene i compiti, e parlo delle scuole elementari e medie, le mere indicazioni delle pagine dei libri, bastano e avanzano (io suggerirei la lettura di qualche classico: L'Isola del Tesoro, Piccole Donne...). Non serve - lo dico soprattutto agli insegnanti - costringere a incontri virtuali o inviare chili di pagine da stampare: c'è chi, come noi, non possiede computer a casa (io ho solo un umile tablet che si connette alla rete sempre piuttosto ballerina e che serve ai ragazzi grandi) né stampanti. Non serve assolutamente nulla inviare innumerevoli schede da compilare o da colorare, e non serve proprio a nulla che le mamme fotografino i loro bambini intenti nei compiti, per inviare alla maestra la prova del fatto che l'allievo si sta impegnando (in realtà il messaggio è diverso: la mamma deve mostrare la sua bravura nell'essere mamma, e di questo timore deve liberarsi).
Serve che i genitori si fermino. Serve che i genitori si blocchino e tornino indietro: nulla serve di più che un tempo per leggere un libro insieme, un tempo per fare un disegno, per giocare con le costruzioni, per fare un puzzle e per far eseguire gli esercizi che ci sono sui libri. Serve che i genitori smettano di avere paura (dei figli, della società, della loro incapacità). Serve che i genitori tornino a guardarsi allo specchio e capiscano che sono chiamati a esserlo. Questo tempo di stallo non è senza motivo, non è senza utilità. Tornare a fare gli educatori e smettere di ammaestrare (tipico del domatore è la paura che la bestia reagisca), potrebbe anche servire agli insegnanti per tornare, di fatto, a insegnare, ovvero istruire, fornire un certo bagaglio culturale che stimoli l'allievo ad acquisire una serie di competenze. Certo, per chi frequenta le superiori è differente: la didattica a distanza deve poter essere gestita in modo informatizzato, ma è possibile farlo perché i ragazzi hanno l'età per farlo autonomamente, senza includere i genitori nell'organizzazione. L'educazione, al tempo del Coronavirus, non è far credere che va tutto bene e che tornerà tutto come prima. Al contrario abbiamo di fronte a noi diverse splendide opportunità: far capire che la paura esiste e bisogna reagire pregando per il Bene, e optare che nulla torni come prima nel rapporto tra genitori e figli, ma diventi più vero, più autentico e, questo sì, privo di paura.
NB Oltre che suggerire i testi di Franco Nembrini (Di Padre in Figlio è bellissimo), suggerisco la visione del filmato qui riportato. Soprattutto circa al minuto 7.
Personalmente io sono dell'idea che sia molto difficile insegnare, oggigiorno. E che la scuola abbia esondato nel proprio ruolo. Percorsi didattici sull'uguaglianza di genere, l'ecologia, l'antirazzismo, la sessualità, il coding (non so neppure cosa sia: me ne ha parlato Lannina l'anno scorso, ma pure lei ha snobbato la cosa, probabilmente occupata a parlare di cosmesi in erba con qualche compagna di classe), la tecnologia, l'ambiente, eccetera, esulano drammaticamente dalla didattica. Io sono una di quelle madri che avrebbe davvero solo bisogno che la scuola impartisse un'istruzione: italiano, scienze, matematica... E invece mi tocca constatare che gli insegnanti spesso sentano su di loro il peso educativo e che le scuole, divenute aziende - come le ASL -, mirano a promuovere sempre il massimo della tecnologia, del divertimento e di tutte quelle attività che servono - lo dico francamente - molto a poco.
Alcuni esempi: le ricorrenze prosaiche come 'la festa della pace' (che per molte insegnanti è un'opportunità per parlare di pacifismo e osteggiare qualsiasi divisa militare, salvo che in occasione del coronavirus: allora i militari improvvisamente servono); la 'giornata di sensibilizzazione per la sindrome di down' (durante la quale si evita di ammettere che la stragrande maggioranza dei bambini con sindrome di down subisce la soppressione quando si trova nel pacifico grembo materno); la 'manifestazione per l'ambiente' (che fa saltare preziose ore di scuola e che però non piega le insegnanti all'uso spasmodico delle fotocopiatrici per schede e quant'altro); il concerto di natale (rigorosamente scritto minuscolo per far capire che non è importante il nome, ma l'evento) che serve solo per tirar fuori il peggio dalle mamme e dalle nonne che tentano di uccidere pur di realizzare il primo piano del loro bambino intento a cantare una canzone che spesso non c'entra nulla né con la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo (il Natale, per l'appunto, ricorda quel Bambino), né con la famiglia (per l'amor del cielo! È offensivo per tutti gli altri tipi di famiglia); la recita di fine d'anno che provoca nelle maestre delle sincopi e nelle madri la cosiddetta 'sete di protagonismo' e le cui ore ed ore di prove, tolgono alla didattica del tempo preziosissimo.
La mia maestra, Angelamaria Vaccaro Murgante, detta Gioietta, realizzava molte cose per gli allievi, ma tutte inerenti la didattica. Per Natale una semplice canzoncina (Astro del Ciel, di solito, oppure in quinta - facendoci saggiare la poesia del latino - Adeste Fideles) durante l'orario di scuola (un adulto per bambino e basta) e per la fine dell'anno una semplice mostra coi disegni realizzati da noi durante le ore delle tirocinanti dell'istituto magistrale. Certo, era una maestra che portava avanti i suoi progetti: fondò le Formiche Verdi (che eravamo noi) e riuscì a convincere il Comune di Milano a far fare dei lavori al parco pubblico adiacente la scuola elementare dei Bastioni di Porta Nuova (all'epoca era rifugio di tossicodipendenti e gabinetti pubblici per padroni maleducati di cani). Avevamo anche un giornalino a cui tutti, a gruppi di tre o quattro, contribuivamo con disegni e articoli. Invitò un paio di suoi amici di famiglia (Walter Bonatti e Oreste del Buono, per esempio) perché raccontassero le loro vicende (a turno dovettimo formulare delle interviste come in una vera e propria conferenza stampa) e ci portò in gita all'Isola Bella e a Roma dandoci rudimentali infarinature di storia dell'arte). Tuttavia era estremamente attenta alla calligrafia, all'ortografia, alla grammatica (queste tre materie che si fondono, avevano un quaderno solo e nessuna scheda: lei aborriva lo spreco di carta che le fotocopie portano), alla storia e alla geografia (un quaderno solo: la geografia si faceva anche con la cartina d'Italia appesa in classe), alla geometria e all'aritmetica (un quaderno solo). Per farci esercitare a leggere e, nel frattempo, studiare storia e la storia di Milano, ci fece leggere il capitolo dei Promessi Sposi che racconta la morte di Cecilia, oltre che alcuni versi del Paradiso.
Quindi veniamo a noi: per quanto attiene la scuola, io sostengo il fatto che alle insegnanti la scuola chieda molto. Probabilmente troppo. E che anche i genitori chiedano loro molto, avendo talvolta delegato completamente l'educazione dei propri figli. Se potessi permettermi una libertà, io suggerirei agli insegnanti di tornare a fare ciò che debbono: insegnare. Io non pretendo che a scuola i miei figli ricevano lezioni di affettività: è un problema della famiglia sia fornirle, sia non farlo, sia il come realizzarlo. Io pretendo che una maestra insegni, in modo accattivante e interessante, la grammatica, l'aritmetica... Dirò una bestialità, ma trovo pure che l'insegnamento della lingua, sia inutile, per lo meno fino alle superiori. Sì perché se a insegnare inglese ci deve essere un'insegnante italiana, tanto vale... E in anni di scuola dei miei figli e dei loro amici, quella che sa bene l'inglese (guarda i film e legge libri in inglese) è la Figlia G. Questo anche se alle elementari non lo ha praticamente fatto e con l'educazione parentale delle medie, non lo abbiamo toccato. Perché lo sa bene? Perché ha un'insegnante di grammatica e una lettrice inglese (ha optato per il liceo linguistico). E l'intenzione di studiarlo. Lillo, che vuole fare il geometra (sì, come il suo papà), fa un inglese morbido e molto semplice: se e quando avrà voglia, lo acquisirà: il cervello umano è elastico e si adatta... come dico sempre: se conoscerà una bella fanciulla turca, imparerà pure il turco (no, Cigols, non il turchino). E difatti a scuola le maestre e le insegnanti si trovano a gestire situazioni che non competono loro: l'educazione di bambini o lasciati a loro stessi, o del tutto troppo tutelati dai genitori.
Mi si potrebbe chiedere come gestirei io l'aumento della maleducazione dilagante in bambini e ragazzi, visto che chiacchiero tanto. È palese che ci siano bambini che hanno atteggiamenti dannatamente sgradevoli, oggigiorno. Non sono una di quelle persone dedita a credere all'infinita bontà dell'individuo, e se un bambino cresce in modo diseducato, ne risentirà lui stesso per primo, quando crescerà (basta vedere le facce e i discorsi dei venti/venticinquenni che si rifiutano di obbedire alla legge che dispone lo stare a casa per evitare contagi, attualmente: evidentemente la scuola non ha educato loro a nulla, e i genitori hanno abdicato al loro ruolo. Probabilmente alcuni genitori sono anch'essi adultescenti eredi dei vari "vietato vietare" di sessantottina memoria.
La mia maestra Gioietta non era tipo da tollerare tre cose: il disordine sul banco (lo specchio dell'ordine mentale, diceva lei); il disordine nei quaderni (ci faceva scrivere tutto con la stilografica e strappava le pagine brutte); la maleducazione (alzarsi senza permesso, urlare, dire parolacce, mangiare in modo sgradevole). Era una persona molto comprensiva, e si rapportava con gli allievi in modo autorevole, ma affettuoso. Quando ad Andrea morì la mamma, in seconda elementare, non venne trattato con i guanti di velluto, ma con molto affetto e concretezza. Giunta la "festa della mamma" ella non annullò l'evento e il rituale disegno con poesia, ma suggerì ad Andrea di considerare la nonna come una mamma (le nonne, alla fine, sono anche mamme): non mutando i piani di un'intera classe, favorì l'accettazione di una situazione che stava vivendo un bambino, senza farlo sentire diverso. Ecco se potessi dire che insegnante io, malamente, emulerei, io sceglierei la mia maestra.
Maleducazione, dicevo. In realtà i bambini e i ragazzi d'oggi non sono maleducati: sono diseducati. E sono vittime di un terribile equivoco: educazione non è rovesciare le proprie convinzioni dentro a qualcuno. Attualmente tutti vogliono educare, ma pochi lo sanno fare (io per prima). La maggior parte degli adulti, addestra. E se l'educando-animale non acquisisce il numero da esibire, l'educatore-addestratore, punisce, lascia correre o tenta di sostituirsi ad esso perché nessuno possa dire che la famiglia-circo non ha saputo compiere il suo dovere. E ogni ammaestratore tenta di domare l'animale sempre di più dell'altro. Per cui c'è la maestra che è convinta sostenitrice antirazzista (basta, oramai, frequentare facebook e vedere cosa pubblicano gli insegnanti, per farsi un'idea), che riempie di concetti antirazzisti i bambini. C'è il capo-scout, il sacerdote, il genitore.... I bambini e i ragazzi sono bestie che subiscono ogni tipo di ammansimento e addomesticamento: moderni esempi di cani di Pavlov, i giovani debbono subire suoni di campanelli per sovraprodurre saliva a comando. E perché l'educatore-domatore si comporta così? Perché ha paura. Perché teme che quel giovane non acquisisca quello che l'adulto pensa essere la cosa più importante, ne teme l'autonomia di pensiero, l'acquisizione di un'opinione propria, per non parlare della maturazione di un'opinione negativa del proprio educatore. E tale timore si riflette indirettamente (penso alle mamme che fin dalla prima elementare fanno i disegni e le prime schede dei figli e penso a quelle che in terza media si scannano sul gruppo whatzapp per capire come risolvere, loro, l'espressione 34 a pag. 175), o indirettamente (penso alle insegnanti che cercano di essere sempre sorridenti e felici, mandano messaggi sulle chat di classe con le foto dei bambini, corredandole di cuoricini e sorrisini). Ma la paura è il peggior nemico dell'educazione! E infatti, se non riescono, gli ammaestratori si scannano a vicenda accusandosi d'incapacità reciprocamente: per ciò un ragazzino che combina un casino è sballottato tra le colpe dei genitori, le colpe degli insegnanti e le colpe della società. Quindi poi il ragazzo è solo ad affrontare i propri errori, frutto - spesso - del fatto di non essere stato educato ma solo domato.
Educare è ben altro, per me.
Personalmente io sono un genitore pessimo, l'ho sempre detto e non temo che qualcuno, un giorno, mi possa rinfacciare errori mostruosi compiuti dai miei figli. Però ci ho provato. E non l'ho fatto perché non avevo voglia di lavorare o perché - come in alcune situazioni mi sono sentita dire - è più facile fare la mamma e la casalinga (fare la mamma è considerato fare la mantenuta fancazzista, da tante donne). Semplicemente mi è venuto d'istinto, trovandomi a volte di fronte a figli (i primi sono sempre un po' le vittime dell'incompetenza genitoriale: normalissima tra l'altro, per la mia generazione spesso priva di esempi) che assorbivano concetti e aspetti caratteriali che non mi piacevano per niente. Tentando di educare senza ammaestrare, ho provato a far venir fuori il carattere di ognuno in modo personale, andando controcorrente (si veda i drastici limiti che ho dato ai miei figli in tantissimi ambiti, dal cellulare al computer, dai tempi di libertà alle conoscenze con gli amici) ho voluto far sì che non si sentissero obbligati a essere uguali ai coetanei: e questo lo debbo agli esempi che ho vissuto guardando agli altri genitori ed educatori, che mi hanno trasmesso tanto.
E qui giungiamo al punto di partenza: i tempi attuali stanno richiedendo ai genitori di tornare a essere educatori. Perché per ammaestrare un bambino valorizzando magari solo il voto che l'insegnante fornisce, è impossibile in un'epoca durante la quale l'insegnante non può valutare. Perché stare con un bambino o un ragazzo, mostra i propri lati negativi e fa impegnare il genitore: capire che l'esempio è quello che conta, è il primo passo verso l'educazione consapevole. Tornare a far eseguire i compiti in autonomia, è un mezzo potente perché il bambino si autoregoli, magari approfondendo qualche ambito personale (Cigols ha ripreso in mano la stilografica perché si è reso conto che alcuni quaderni hanno pagine raccapriccianti). Per ciò che attiene i compiti, e parlo delle scuole elementari e medie, le mere indicazioni delle pagine dei libri, bastano e avanzano (io suggerirei la lettura di qualche classico: L'Isola del Tesoro, Piccole Donne...). Non serve - lo dico soprattutto agli insegnanti - costringere a incontri virtuali o inviare chili di pagine da stampare: c'è chi, come noi, non possiede computer a casa (io ho solo un umile tablet che si connette alla rete sempre piuttosto ballerina e che serve ai ragazzi grandi) né stampanti. Non serve assolutamente nulla inviare innumerevoli schede da compilare o da colorare, e non serve proprio a nulla che le mamme fotografino i loro bambini intenti nei compiti, per inviare alla maestra la prova del fatto che l'allievo si sta impegnando (in realtà il messaggio è diverso: la mamma deve mostrare la sua bravura nell'essere mamma, e di questo timore deve liberarsi).
Serve che i genitori si fermino. Serve che i genitori si blocchino e tornino indietro: nulla serve di più che un tempo per leggere un libro insieme, un tempo per fare un disegno, per giocare con le costruzioni, per fare un puzzle e per far eseguire gli esercizi che ci sono sui libri. Serve che i genitori smettano di avere paura (dei figli, della società, della loro incapacità). Serve che i genitori tornino a guardarsi allo specchio e capiscano che sono chiamati a esserlo. Questo tempo di stallo non è senza motivo, non è senza utilità. Tornare a fare gli educatori e smettere di ammaestrare (tipico del domatore è la paura che la bestia reagisca), potrebbe anche servire agli insegnanti per tornare, di fatto, a insegnare, ovvero istruire, fornire un certo bagaglio culturale che stimoli l'allievo ad acquisire una serie di competenze. Certo, per chi frequenta le superiori è differente: la didattica a distanza deve poter essere gestita in modo informatizzato, ma è possibile farlo perché i ragazzi hanno l'età per farlo autonomamente, senza includere i genitori nell'organizzazione. L'educazione, al tempo del Coronavirus, non è far credere che va tutto bene e che tornerà tutto come prima. Al contrario abbiamo di fronte a noi diverse splendide opportunità: far capire che la paura esiste e bisogna reagire pregando per il Bene, e optare che nulla torni come prima nel rapporto tra genitori e figli, ma diventi più vero, più autentico e, questo sì, privo di paura.
NB Oltre che suggerire i testi di Franco Nembrini (Di Padre in Figlio è bellissimo), suggerisco la visione del filmato qui riportato. Soprattutto circa al minuto 7.