Qui la puntata intera che racconta la storia di Cristian |
Non è mia abitudine guardare la televisione. Non so proprio cosa trasmettono. Per questo la Tata, che la sera mentre stira ascolta alcuni programmi che trattano di vita delle persone e di casi di cronaca, mi informa di quello che ha visto e ascoltato. Lei mi fa da "urlone" come quei ragazzini che vendevano i quotidiani strillando la notizia più interessante del giornale. Così trovo il video di questo programma e lo rivedo alcune volte.
Da quando ho pubblicato il mio libro, alcune donne* mi confidano che sono cresciute in situazioni complicate, fatte per lo più da relazioni con genitori - e specialmente madri - che hanno creato voragini di dolore nel loro cuore.
Le lacrime di questo ragazzo che pare essere buono e gentile, abbandonato prima da papà e poi da mamma, che ha cresciuto la sorella minore, sono quelle di chi ha subìto l'abbandono fisico (Cristian è stato proprio lasciato solo) o, al contrario, una presenza genitoriale psicologicamente devastante.
Ogni qual volta ascolto storie di padri e di madri che - per rispetto nei confronti delle loro emozioni e dei loro sentimenti - abbandonano i figli che loro stessi hanno messo al mondo (o adottato, non dimentichiamocelo), sento nel mio cuore l'atrocità di aver creato culturalmente la possibilità che degli adulti si accoppino, facciano figli e poi, semplicemente, decidano che la loro vita è più importante a dispetto di quella dei figli stessi. Le scuse sono sempre le stesse. Tra queste c'è e va riconosciuta la loro sofferenza di figli. Un dolore, quindi, generazionale, che dilania come una maledizione, figli, figli, figli...
Come mi racconta Giovanna, l'atrocità di essere stata l'"oggetto del contendere" (lo chiama proprio così) tra mamma e papà, l'ha cresciuta in un modo di vedere le relazioni tra uomo e donna, tra madri e figli, da padri e figli e tra fratelli e sorelle, come un attrito costante. Lei non si ricorda di aver mai visto i genitori parlare in modo civile.
Ovviamente, aggiunge Laura, va da sé che sia stato un danno enorme la possibilità di rendere il matrimonio (quello civile o quello religioso) qualcosa che può esserci o meno, tanto basta andare a vivere insieme e dopo andare a vivere da soli litigando sui figli. I bambini sono tutti importanti, la distinzione tra figli legittimi o naturali (nati da matrimonio o meno) non era corretta, ma proprio perché i bambini dovrebbero essere importanti, per metterli al mondo occorrerebbe necessariamente il morire un po' a se stessi, alle proprie esigenze di adulti che se è pur vero talvolta affrontano violenze familiari molto brutte, ma nella maggior parte delle volte, molto banalmente, affrontano solo il fatto di non essere più disposti ad andare d'accordo reciprocamente impegnandosi per il bene dei figli.
Lucia mi fa ricordare le frasi peggiori che io ho sentito per giustificare una separazione. Frasi che ho vissuto anche nella mia situazione di figlia di separati: «E' per il suo bene» (quello dei figli), oppure il laconico: «I miei figli hanno il diritto a una madre/padre felice» e via via egocentrizzando. Ma da quando il bene di un figlio è quello di vedere i genitori separati?
La verità - dice Carolina - è che la gente ha rapporti sessuali sapendo perfettamente che può non prendersi la responsabilità delle conseguenze: dall'aborto alla separazione, tutto quello che la società ha creato, ha avuto come obiettivo la distruzione della psiche dei figli. Figli che non solo vengono avvelenati dalla consapevolezza di essere stati frutto di un rapporto sessuale e di una pulsione momentanea, ma anche figli che vivranno tutta la loro vita certi del fatto di essere stati messi, dal momento del concepimento, al secondo posto su tutto.
Chiara è vissuta con una madre narcisista e un padre inesistente. E anche il fatto di vivere la propria vita con un genitore di quel genere, è mostruoso. Quindi non soltanto Chiara è stata concepita da due persone che sentivano il diritto sfogare i loro appetiti erotici (alla fin fine nelle scuole si viene istruiti a questo, dagli "esperti" di educazione sessuale) e che non hanno mai preso in considerazione il doversi confrontare con la responsabilità, ma ha dovuto crescere con chi non perde mai l'occasione di far notare alle figlie che sono educatrici incapaci dei loro figli (per esempio)... Sì perché i genitori narcisisti sono una specie di genitori che hanno scelto la carriera scolastica e spesso l'ambito lavorativo dei loro figli e figlie perché era quello che loro avrebbero voluto per loro stessi; sono genitori che rinfacciano qualsiasi spesa sostenuta per i figli (dalla scuola al dentista); si parla di genitori che comprano i figli (spesso pure i nipoti) per ingraziarsene la pazienza e la sopportazione; o anche di genitori che non sopportano più i figli quando questi, giunti all'adolescenza, sono difficili da gestire: un po' come accade per Biancaneve, la Regina non riesce a competere con la sua bellezza e vorrebbe farla fuori...
In questo racconto si aggiunge anche la mia cara amica Eleonora che, anch'essa cresciuta con genitori separati, ha avuto un padre narcisista. Il dramma di chi vive con tale situazione familiare sta nel fatto, solo per fare il suo esempio, che il genitore narcisista è del tutto incapace nel percepire i bisogni e le emozioni dei figli. Oppure, sempre Eleonora, mi racconta che spesso i genitori mettono in lotta i fratelli uno contro l'altro, per comandare le relazioni tra loro (un divide et impera affilato) o non accettano i partner dei figli e mettono zizzania...
Barbara mi scrive che lei era certissima del fatto che i suoi genitori avessero fatto bene a separarsi: urli, strepiti, aggressioni verbali... «Meglio così» ha sempre pensato, piuttosto che finire sul giornale per fatti di violenza familiare pesanti e gravissimi. Tuttavia, crescendo, mi racconta di quanto si sia resa conto che meglio-così-un-corno, che i suoi genitori le hanno coscientemente reso la vita un inferno senza prendersi mai la responsabilità di fermarsi e ragionare che il meglio dei figli è avere una famiglia unita. Il fatto di potersi permettere di non andare d'accordo; di non rispondersi male per problemi personali; di non scontrarsi per fatuità; di non sentire il dovere nell'impegno lavorativo e/o affettivo, e chi ne ha più ne metta, è frutto anche di una cultura che lascia liberi gli adulti di comportarsi male. Ecco, Barbara non trova una parola differente ma definisce tutto questo insieme di atteggiamenti e comportamenti come un "male". Non è una parola messa a caso, lo dico a Barbara, perché il Male c'è, gode di ottima salute.
Il narcisismo esasperato di chi - probabilmente avendo vissuto un'infanzia priva di rispetto e affetto a propria volta - si sente in diritto di non fermarsi, di non curarsi, di non maturare la propria affettività in vista dell'eventuale o già concreto ruolo genitoriale, spezzando la coazione a ripetere dell'egoismo ricevuto, è simbolo di un tempo nel quale è vietato vietare perchè bisogna pensare a se stessi. In sostanza si parla di persone per le quali il primo prossimo è il sé medesimo, a discapito di tutto, primo tra questi, i figli.
Già, i figli, "cosificati" e ridotti a oggetti da manipolare o sfruttare per i propri fini senza prendere in considerazione o facendolo ma "spengendo" il grillo parlante che vorrebbe svegliare la coscienza.
Quello che mi ha fatto più impressione di tante testimonianze che grossolanamente ho riportato qui, ma che io medesima ho vissuto, è quanto queste amiche sappiano di essere state la cloaca che raccoglie ogni difficoltà, immaturità, mancanza di rispetto, cattiveria e ogni sorta di decisione personale presa sull'onda di emozioni istantanee, di uno o entrambi i genitori.
I figli di genitori separati sanno di essere - come il piccolo Cristian ("piccolo" per affetto, non per sminuizione) della puntata sopracitata - spesso al secondo posto se va bene, altrimenti al terzo o quarto o, addirittura, di non avere alcun posto nella vita dei genitori. Genitori, si badi bene, che non è detto che siano separati o che spariscano dalla circolazione e abbandonino i figli, ma che siano presenti in modo sbagliato nella vita dei figli.
Francesca, per esempio, ha due genitori sposati da cinquant'anni, ma sua madre usa sempre il ricatto affettivo o il vittimismo, tantoché lei - dopo anni di psicoterapia e di "accompagnamento pastorale" - ha imparato a non rispondere al telefono sempre quando la madre chiama per vomitarle addosso le sue sventure di normale pensionata, dopo una vita passata a recitare la parte della figlia devota che nascondeva alla madre qualsiasi cosa per paura di essere giudicata male.
Il piccolo giovane Cristian, obbligato a crescere da due genitori che hanno messo al mondo dei figli ma li hanno abbandonati per farsi la loro vita, versa lacrime di gratitudine anche solo perché mamma - al termine della puntata - gli concede di vedersi ogni tanto... La frase in cui più mi sono identificata nel mio dolore di figlia riguarda il fatto che questo ragazzo afferma di essere stato in pena per lei, per la sua salute, mentre la madre - lavatasene le mani dei figli - se n'è stata serena e pacifica con il "compagno" (che schifo mi fa questo termine, lo ammetto senza vergogna) a realizzare la sua vita affettiva probabilmente sentendosi in diritto di escludere i figli avuti da un altro uomo, per il semplice motivo che quei figli li ha condivisi con una persona sgradita. Io da sempre sono quella che ahimé è figlia della persona sbagliata, dichiarazione che mi fu fatta anni prima della separazione ufficiale dei miei genitori (avevo 7 anni, la separazione giunse cinque anni dopo). E per tale motivo, come se la colpa fosse mia, fosse di quei figli, fosse di quel coito non interrotto, i figli di genitori separati (non tutti, grazie a Dio, ma tanti e con allarmante frequenza) sono elementi utili a battaglie legali anche pubbliche, elementi utili a imporre sofferenze ad altri, elementi necessari per la propria realizzazione genitoriale, ma elementi dei quali servirsi solo al momento giusto. Nessuna empatia, nessuna magnanimità, nessuna Carità: oggetti.
«Volevo solo vedere se stava bene» dice tra le lacrime Cristian, il figlio abbandonato, deframmentanto, parcellizzato da due genitori (prima il padre, poi la madre) che ha solo bisogno di amore. E quanti Cristian ci sono al mondo? Quanti figli non hanno colpe alcune ma vengono distrutti emotivamente da adulti mostruosamente egocentrici, narcisisti, morti nell'anima e incapaci, inadatti, inadempienti in tutto. Quanti Cristian esistono?
Le lacrime di Cristian sono le mie, sono quelle di tante donne, che da quando ho pubblicato il mio libro, mi confidano di portare nel cuore un dolore mostruoso causato da chi genera figli in modo sconsiderato (figli, lo sottolineo, spesso desiderati, come lo sono stata io, o addirittura pretesi) senza prendere in considerazione che diventare genitore significa morire a se stessi. Questo non vuole dire ignorare sofferenze personali o soprusi (sono costretta a sottolinearlo perché sento i grugniti di sottofondo di chi mi risponderebbe che allora si torna ai tempi nei quali le donne erano sottomesse eccetera eccetera), ma vuole dire maturare una coscienza al di là delle sofferenze subìte nella propria condizione di figlio, lavorando su se stesso perché quando si diventa genitori si è chiamati a guarire anche la propria filialità. E' facile? No. Mai. Non è mai facile. Io ho rischiato di mollare tutto, la mia famiglia e i miei figli nel peggiore dei modi, perché non avevo fermato il mio dolore di figlia. E quindi non ero ancora madre. Per codardia o superficialità o mero desiderio di cancellare tutto con una passata di cimosa, avevo bypassato la mia immaturità condannando i miei figli a una madre a metà. In conseguenza di un evento prepotente della mia vita matrimoniale, ho poi deciso di mettere un punto e sto guarendo: adesso sono (più o meno) una madre.
Sottolineo il fatto che sapere d'esser Figlia di Dio, che mi ama, è stata la medicina più potente di tutte. Necessaria per la mia vita e per quella dei miei figli.
Vorrei solo dire a Cristian che probabilmente sarà un buon padre come lo sono tutte le donne che mi hanno donato parte della loro vita, raccontandomela. Sono ottime madri che hanno lavorato su loro stesse, che sono più mature dei loro genitori, ma che avrebbero avuto il diritto per lo meno al rispetto. E siccome ci sono ottime madri, ci sono anche ottimi padri.
*sono una donna, ho confidenza con donne, per cui scrivo al femminile. Questo non significa affatto che gli uomini non siano coinvolti in queste situazioni e non vuole dire che gli uomini - il racconto di Cristian è l'esempio - non soffrano. Anzi.