Il Piccinaccolo abbraccia la Pantuffola guardando fuori dalla finestra. Noi lo chiamiamo "il gioco delle vicine guardone". |
Concepito il giorno in cui mi sottoposi a una TAC cerebrale per escudere patologie all'encefalo (mal di testa ricorrenti), il Piccinaccolo ha fatto il suo ingresso nel mondo uterino quando Checcolens aveva due anni. Quando effettivamente scoprimmo che il Piccinaccolo era lì beato nella sua acquetta, lo Sposo mi guardò seriamente e dichiarò: «E questo 'ndo ce lo mettiamo?». Il problema non era da poco. Abitavamo in una casa di 60 metri quadri composta da cucina-salotto open-space; una camera singola piccola dove già soggiornavano la Figlia G (letto sopra), Lillo, Lannina e Cigolens (letto sotto affiancato a letto estraibile); camera da letto matrimoniale con lettino ikea attaccato; bagno. Il problema era grave perché la nascita di un sesto pargolo ci metteva realmente nei guai con gli spazi. Anche se la casa possedeva due enormi balconi di cui uno parzialmente chiudibile con tende plastificate e abbastanza utilizzabile anche durante le giornate calde invernali, era fondamentalmente impossibile che ci stessimo tutti. Già la Figlia G aveva una scrivania minuscola per i compiti, Lillo li faceva in salotto e di lì a poco avrebbero avuto bisogno di spazio pure Lannina e Cigols.
La ricerca di una casa che avrebbe dovuto contenerci tutti era allucinante per costi e sostanza. Giusto per curiosità lo Sposo chiese al vicino di casa della proprietaria dove a tutt'oggi e da anni affitta lo spazio per lo studio dove lavora, il costo della casa. Il prezzo era improponibile. Ci venne da piangere anche solo al pensiero di affrontare un mutuo del genere. Che fare?
Certo che Nostro Signore è proprio un tipo strano. Quando pare che giunga il problema più grosso che si possa affrontare, ecco che - basta chiedere - l'aiuto giunge inaspettato. Un pomeriggio arrivammo allo studio dal papà io e tutti i bimbi: l'allegra ciurma era munita di palla per andare a giocare al parco munendosi di bombolone carico di zucchero, quando spuntò il proprietario della famosa casa che c'invitò a entrare nel giardino. Era la prima volta che c'incontrava e facemmo due chiacchiere tentando di non far devastare il prato trascurato, ma non di nostra proprietà. Il padrone ci regalò dei limoni e l'incontro terminò lì.
Giorni dopo il medesimo proprietario della casa chiese allo Sposo di fare due parole. In breve ci fece a noi la proprosta di acquisto perché si era commosso nel vedere tutti i bambini insieme: era cresciuto in una famiglia numerosa e lo commuoveva vedere i bambini picchiarsi giocare amabilmente in giardino. Nel giro di pochi mesi lo Sposo ristrutturò la casa e ci andammo a stare quando all'arrivo del Piccinaccolo mancava un mese circa.
La sua nascita è stato il più bel travaglio che io abbia mai vissuto: in casa, in compagnia di una mia splendida collega, me ne stavo rincantucciata tranquilla. Esordì la mattina che il fabbro stava montando le inferriate e mentre la Figlia G cucinava, io mi agitavo ritmicamente nella poltrona che mi aveva regalato la mia mamma (poltrona si chiama proprio "Poltrona per Allattamento" e a tutt'oggi è usatissima) mentre leggevo il mio romanzo preferito (Beach Music di Pat Conroy). Quando fummo giunti all'ora di pranzo arrivò la mia collega Elena e ci chiudemmo in camera.
La differenza abissale tra il modo di affrontare alcune situazioni cruciali (come un travaglio) di un maschio e di una femmina, mi fu chiarissmo: la Figlia G (all'epoca 17enne) entrava, mi abbracciava e mi pettinava, assolutamente non impaurita dalle contrazioni ravvicinate e dai miei mugugni. Lannina (all'epoca 8enne) mi baciava e mi accarezzava il viso dicendo: «Brava mamma...andrà tutto bene». Dello Sposo nessuna traccia: seppi dopo che aveva fatto incetta di bistecche e rosticciana da cuocersi serenamente nel caminetto, speranzoso del fatto che avrei partorito a casa. Lillo (all'epoca 14enne) si affacciava nello spazio dei cinque centimetri tra lo stipite e la porta di camera mia, per nulla ansioso di entrare a confortarmi. Lo faceva allora la mia collega - confortare lui - mimando la frase: «Stai tranquillo, mamma sta bene, va tutto bene» mentre io, oramai giunta quasi a dilatazione completa, ero ben lungi dal sentirmi benissimo (ho una soglia del dolore bassissima).
Tra il viaggio in ospedale (con uno Sposo sconfortato dall'abbandonare la rosticciana a cui Lillo e Checcolens fecero abbondante festa) e la nascita del Piccinaccolo, passarono neanche un'ora e mezzo, intervallato da tutta una serie di piccoli eventi dei quali ancora ridiamo. Dall'infermiere del pronto soccorso che chiede allo Sposo di cosa io stia soffendo per farci accedere al corridoio dove si trova il Blocco Parto (risento la mia voce gutturale esclamare «Secondo te? Imbecille!!»), alla ginecologa del Blocco Parto medesimo che, stanca di un pomeriggio evidentemente affaccendato (c'erano molti travagli e nascite in contemporanea) tenta di liquidare la mia situazione affermando «Figuriamoci! 7 centimetri di dilatazione! Mancano ore! La faccio accomodare in sala d'attesa perché non c'è spazio!» e lo Sposo che ribatte serenamente: «Guardi che è il sesto: magari sarebbe meglio darle un lettino dove sgravare in pochi secondi altrimenti lo fa in corridoio!!» e la ginecologa che ulula: «Oddio! Il sesto! Venite subito» e poi: «Oh mamma! Nasce tra cinque minuti!». Mi rivedo sentire da lontano la voce della mia collega Flavia - bravissima - che chiamo tra una contrazione e l'altra. Flavia accorre e, tra sé e sé si chiede dove farmi partorire perché in quel momento eravamo nella sala dove fanno i tracciati e c'erano due mamme che allarmatissime non sapevano che erano a rischio di essere spettatrici di un parto imminente. Da ostetrica a ostetrica le chiedo cosa avessero a disposizione... Flavia mi dice che c'è una sala parto occupata da una primigravida all'inizio del travaglio. Ci scambiamo uno sguardo d'intesa. Una volta spostata in una saletta intima la signora che ancora non era pronta per partorire, dò due spinte e - facendo una doccia di liquido amniotico a Flavia - il Piccinaccolo nasce con la mia povera collega fradicia e con indosso solo due guanti. Quando il ginecologo arriva, il mio "pisellante" (come lo chiamo appena Flavia lo solleva a me*) è già beato a guardarsi con la sua mamma. Quando arriva la neonatologa, il Piccinaccolo è lì che ciuccia: «Ah Rachele, sei tu. Ti lascio allora, vedo che va tutto benissimo. Lui lo guardo dopo...» mi dice congedandosi con un sorriso.
Il Piccinaccolo mostra il suo carattere già qualche giorno dopo: chiamato subito "appanicatore", lui è il classico bambino che se piange, urla di gola. Come giustamente sentenzia il Nonno Emilio - compositore e docente del Conservatorio - la sua carriera potrebbe essere quella di cantante lirico: quando piange lui non sente assolutamente il suo pianto, perché la sua voce è "in avanti". Per prenderlo un po' in giro gli diciamo che la prima frase che imparerà sarà quella che tutti i cantanti lirici ripetono per esercitarsi: "Pippo dammi la mela!".
La sua madrina, autrice di qualche libro interessante (il mio è sarcasmo affettuoso) gli dedica diversi scritti, un'agenda preziosa e una penna stilografica molto elegante, il giorno del suo Battesimo, oltre che un Crocifisso d'oro. Non è da tutti avere una "zia" di quel genere - quello delle zie famose - e lui attualmente non ha ancora compreso la grazia di una madrina così. Lo scoprirà poi.
Diventato fratello maggiore anch'egli abbastanza presto, il Piccinaccolo sa di doversi far ascoltare: i suoi panti notturni sono stremanti per chiunque. Ammetto senza difficoltà di avere avuto momenti di assoluta non pazienza quando si è lasciato alle sue lamentazioni di un volume superiore ai 100 decibel a ogni ora del giorno e della notte.
Quello che mi ha sempre fatto riflettere è il suo modo di affrontare, sin da piccolo, le "sgridate": lui ascolta con gli occhi gonfi di lacrime ed emettendo un sonorissimo «Mhhhhh...Mhhhhh... Mhhhhh» tutto di gola, la mamma e il papà che gli dicono di spiegarsi, di non urlare, di stare tranquillo che tutti lo ascoltano. Quando poi - talvolta in modo rude - (io soprattutto) lo abbiamo redarguito, lui vuole essere abbracciato e chiede di darmi un bacio. Molto spaventato dall'essere abbandonato (mai accaduto), mi è sempre sembrato una persona pronta a capire l'oggetto della discussione e delle "accuse" a suo carico (nello stile Cigols), ma bisognosa di essere rassicurata del fatto che l'amore nei suoi confronti non muta con gli errori da lui commessi (assolutamente non nello stile Cigols che è disposto a "fare la pace" ma in modo cordiale non troppo affettuoso).
Essendo nato a fine dicembre, il suo mondo scolastico è iniziato molto presto: a due anni e mezzo ha iniziato la Scuola dell'Infanzia nell'immediato post-covid. Quell'anno i bambini furono obbligati a non essere accompagnati dai genitori nel periodo dell' "ambientamento" così il Piccinaccolo, con il solo ausilio di Checcolens, affrontò a due anni e mezzo l'ingresso all'asilo. Lì notai la sua tempra capace di incassare le sfide: se l'educatore è capace di una "dolce fermezza" lui si adegua in modo sereno, se l'educatore è insicuro, lui è spaventatissimo. Infatti lo Sposo non è mai stato in grado di "resettarlo" in modo da tranquillizzarlo: al contrario, il suo agitarsi quando il Piccinaccolo è nei suoi momenti "no", lo condanna all'agitazione maggiorata del 400%. Ma questa prerogativa dello Sposo di non saper gestire i momenti di sconforto dei figli piccoli è proverbiale, per cui non me la prendo più.
La fortuna del Piccinaccolo è la sua duttilità, che non è resilienza, poiché quando è certo della sua decisione non lo si smuove di un millimetro: le sue insegnanti - tra le quali spicca, negli ultimi due anni, la maetlababbala - hanno compreso questo lato del suo carattere per cui insistono se lui è ben disposto a rispondere positivamente, ma non insistono se lui blocca ogni tentativo di comunicazione. Per fare un esempio semplice, basta raccontare del rapporto con il suo logopedista. Il Piccinaccolo capì che noi non lo comprendevamo: probabilmente l'aver avuto per due anni di fila delle maestre costrette a tenersi la mascherina, ha fatto maturare in lui tutta una serie di difetti pronuncia molto evidenti che ci hanno costretto a ricorrere alla logopedia. Per questa impresa non era entusiasta sino a che il logopedista ha compreso che occorreva fermezza affettuosa: in pochissime sedute il Piccinaccolo ha ribattezzato lo specialista "dottore dei giochi" ed è diventato un affezionato "allievo".
Tra le cose che lo fanno impuntare c'è l'assoluta abitudinarietà. Per la sua serenità lui deve: preparare gli abiti la sera prima; quando si desta deve prepararsi il caffelatte sempre nello stesso modo e consumare la colazione in braccio al papà; in seguito vestirsi e andare a scuola. Al ritorno da scuola deve fare merenda e poi giocare coi fratelli. Per molte cose ha una procedura che va assolutamente ottemperata: prima dei calzini ci si puliscono i piedi, prima di mettere il pigiama ci si fa il bidet. Queste procedure sono ben chiare e non possono essere mutate se non prendendolo per il verso giusto e mostrandosi fermi. Quando lui si sveglia, di solito ulula sino a che il Papo non lo prende in braccio e non lo porta a fare colazione. Tuttavia se quella mattina ci sono solo io in casa perché lo Sposo è uscito prima per lavoro o per i pesci (ricordo che lo Sposo pensa di essere Sampei) e devo fare io il giro delle scuole, il tempo è poco e quindi è necessario non perdersi in procedure ululate stile "anguille urlanti" di Fantastica memoria, allora è necessario adattarsi agli orari. Fortificando la sua capacità di adattarsi e rafforzando il suo coraggio nell'affrontare la realtà diversa dal resto delle mattine, lui attiva un protocollo "Fast Forward" e spontaneamente riesce - mantenendo lo sguardo serissimo e contratto per tutto il tempo - a non perdere tempo con le procedure. Il suo sguardo si rasserena in macchina, mentre andiamo a scuola e, soprattutto, quando entra in classe, abbracciato dalla maestra.
Quello che ho notato essere un enorme pregio del Piccinaccolo è l'essere generoso allo stremo: un amico con il quale può avere un diverbio, può contare sul suo perdono perché il Piccinaccolo è incapace di serbare rancore. Nel suo ottimismo infinito, quando sa di essere con i membri della sua famiglia, lui è sereno sempre e comunque: nulla lo turba quando sa di poter affrontare le difficoltà in compagnia. Per questo motivo l'andare alla "cuolamentale" (scuola elementare in piccinaccolese) lo eccita e lo interessa moltissimo anche perché farà la strada accompagnato a scuola dal Lillo e sapendo che in terza ci sarà Checcolens. Possiede una memoria di ferro: quando va a pesca con il papo, infatti, parla il linguaggio del pescatore di professione. Non si turba se deve "slamare" un pesce, se ha da montare un "galleggiante", disporre un "Gig" per il papo, preparare la "pastura" e porgere il "raffio" o, banalmente, se deve tenere la rotta con il volante della barca. Inoltre è molto preciso: se quel gioco sta lì in quel punto, lui deve poterlo mettere lì quando lo riordina: questo causa momenti di urlante panico se non succede o non gli riesce, ma grazie alla sua insistenza costringe il fratello più disponibile in quel momento, ad aiutarlo.
Cosa ci riserverà il Piccinaccolo? Non lo so, ma ho l'idea che tutti questi tasti che lo definiscono (abitudinario, appanicatore, preciso, versatile, ottimista) possano volgere a suo beneficio, mi affascina.
Continua a non affascinarmi per nulla il fatto che a mezzanotte o mezzanotte e cinque minuti, si svegli per venire nel nostro letto, ma tanto durerà ancora per poco.
*Levatrice: "colei che sol-leva il bambino" per darlo alla sua mamma. Il termine è molto più acconcio di quello di "ostetrica" che significa "colei che sta davanti".