mercoledì 8 febbraio 2023

Dignità ai figli (Blanco è un capriccioso e Amadeus un pessimo adulto)

Tra i film che nella nostra famiglia hanno raggiunto i vertici di numero di "proiezioni" c'è certamente Cantando sotto la Pioggia. Io ne sono sempre stata una fan sfegatata: ascoltavo anche la musicassetta con la colonna sonora, quando ero piccola. Gene Kelly è uno dei nostri attori preferiti... anche se si contende il posto con i grandi "vecchi" come Cary Grant e James Stuart, Sean Connery e Humphrey Bogart... C'è anche qualche attore giovane, che apprezziamo, ma sui nomi chiedete alla Figlia G e a Lannina perché io non me li ricordo.

Ordunque il personaggio interpretato da Gene Kelly in Cantando sotto la Pioggia, introduce il racconto della propria vita, riassumendo le indicazioni dei genitori in una semplicissima frase: «Dignità, solo e sempre dignità». Ecco, vorrei cominciare il discorso sull'adolescenza con questo punto ben chiaro: diamo ai nostri figli la loro dignità. 



Cominciamo con un concetto: io do dignità a qualcuno se gli faccio spazio nella mia vita. Per esempio io do dignità al neonato se ascolto i suoi bisogni. Ma anche al bambino di due anni. A tre anni do dignità al bambino se infondo in lui la fiducia nei suoi confronti iniziando a dargli l'esempio, fornendogli delle piccole regole e ascoltandolo nelle sue necessità. L'aver bisogno di mamma è uno dei primi segni di ricerca della propria autonomia per il bambino piccino e quando un figlio può fisiologicamente affrontare qualcosa risolvendosi da solo il problema (a 18 mesi può tranquillamente camminare o affrontare le scale per cercare il gatto al quale tirare la coda per giocare, ad esempio), lo si lascia maturare creativamente. A ogni età è possibile dare dignità alla persona infondendo fiducia nelle sue possibilità di risoluzione creativa dei problemi: se con la frequenza della scuola io genitore non gli permetto di sbagliare, di prendere una sgridata per un compito non consegnato o, al contrario, di prendersi il merito di un bel lavoro svolto, io creo una persona senza una dignità.  Rifare il letto ho già spiegato come sia un gesto d'amore, ma non soltanto: sapere di sapersi rifare il proprio letto è autostima, e sapere di doversi rifare il letto è autonomia. E un dato a cui tengo molto riguarda l'incidere sulla realtà: agire per modificare la realtà è fondamentale, per un adolescente. 

Ogni genitore vorrebbe rimuovere dai figli gli ostacoli ch'egli -  magari - dovette superare nell'infanzia e che gli hanno lasciato dell'amarezza: è normale, per esemio, farsi di fianco al figlio che ha difficoltà scolastiche che l'insegnante non vede rimuovendolo dalle grinfie di quest'ultimo: sarebbe cattiveria se un genitore non prendesse le parti del figlio in tali oggettive circostanze. Si narra ad esempio che nel 1961, il Nonno Emilio fosse tornato a casa da scuola con un elenco da scrivere come punizione: 100 volte "Non si risponde al Maestro". Era stato accusato di aver fatto un versaccio mentre l'insegnante era voltato verso la lavagna e si era preso la punizione. Il papà del Nonno Emilio, il Nonno Enrico (classe 1913, 7° di 10 figli, soldato nella II Guerra Mondiale e prigioniero nella Guerra di Grecia), alle 22 e dopo più di cinquanta frasi copiate (penna e calamaio, eh) intervenne interrompendo il figlio e chiedendogli se fosse stato lui a fare il versaccio al Maestro. Il Nonno Emilio giurò che no, era stato Carlo. A quel punto il Nonno Enrico scrisse «Adesso basta» sul quaderno del figlio e il Mastro non replicò. Il Nonno Emilio crebbe certo del fatto che il suo papà - che pur losgridava al momento opportuno - gli aveva dato dignità e fiducia. 

Quando noi abbiamo una quasiquattordicenne che ha una stanza che sembra una sorta di tana (Lannina, tesoruccio, sto parlando con te), e nonostante la medesima sia riuscita nell'impresa titanica di conquistarsi un 5½ a matematica per risollevare un 4 di media (evento che mi ha fatto sperare nella chiusura del buco dell'ozono), avere l'obbligo di riordinare le settemilaquattrocentotrentacinque magliette che soffrono appallottolate sulla scrivania, non è solo un favore a mamma (o il terrore che mamma ne faccia un falò in giardino) ma è un gesto che va ad alimentare la propria autostima. L'organizzare la giornata perché dopo la scuola, dopo il corso di latino, dopo le due ore di allenamento ninja, si ha la necessità di studiare la fecondazione umana per Scienze, il sesto canto dell'Inferno per Italiano, la politica di Napoleone Bonaparte per Storia e si deve per forza riordinare la camera altrimenti mamma s'incaz se n'ha a male*, è un modo per imparare a suddividere la propria giornata in modo tale da farci stare tutto, e quindi riuscirci aumenta l'autostima, non riuscirci dovrebbe essere di stimolo per impegnarsi meglio la prossima volta. 

Io sono sempre stata una che al primo problema indietreggiava (mi raccontano che il mio motto, da piccola, fosse «Non voglio, (perché) non ci riesco»): la mia conoscenza della matematica è rimasta al Teorema di Pitagora poiché ogni volta che mi sedevo a fare i compiti, mai sola ma sempre coi miei genitori (errore madornale n° 1), prendevo un sacco di sberle che tanto non mi facevano capire comunque nulla (errore madornale n° 2) e rinunciavo in partenza a capire come fare (conseguenza anche d'insegnanti incapaci, ergo errore madornale n° 3 avermi condannato a docenti inetti). Quando mi sono trovata ad affrontare problemi che mi spaventavano, ho avuto l'istinto di fuggire infilando la testa nella proverbiale sabbia: quello che non mi aspettavo è che quando la vita ti fa trovare dei problemi e tu ne scappi, è perché non ti senti degno di saperli risolvere sia che il problema te lo sia creato tu, sia che qualcun altro ti ci abbia "cacciato dentro".
Sapere di essere degna figlia di Dio che mi ama alla follia e scovare questa sorgente d'acqua viva d'amore dentro il mio cuore, mi ha fatto scovare la forza della mia dignità (facendo pace sia con il fatto che sono discalculica ma che negli anni '80 ero solo 'pigra', 'distratta' e/o 'ritardata', facendo pace con chi - incapace di pazienza e di adultità - non aveva pazienza con me e non voleva farmi maturare la mia autonomia, e facendo pace con il fatto che in mancanza di ogni capacità di capire come calcolare lo sconto del 30% di una cifra ricorro al marito o la Tata che sanno fare i calcoli). 

Quindi come prima cosa affiancare i figli per le loro difficoltà non significa sostituirsi a loro. Ora giunge un ostacolo bello grosso: se un genitore volesse un figlio bravo a scuola e per questo lo aiutasse nelle espressioni sino alle terza media, il problema non è il bambino, ma la mancanza di autostima che spesso il genitore possiede nel suo cuore e che lo "condanna" a volere per sé i buoni risultati (scolastici e/o sportivi, ad esempio) che il figlio guadagna, un po' come se nella sua mente si affacciasse la questione "Se mio figlio è bravo a scuola, io sono un bravo genitore". Io avrei tanto voluto dei figli appassionati di musica che agognassero lo studio di uno strumento (ionon ho mai imparato): nessuno dei miei figli suona nulla, ovviamente, e quando io ho capito che quell'obiettivo era mio, non loro, mi sono rasserenata: se vorranno imparare uno strumento, lo faranno anche da adulti. Quindi uno dei primi ostacoli all'autonomia del figlio è quanto noi investiamo sul figlio dei nostri piani sulla nostra vita. Facciamo pace col fatto che il figlio è altro da noi. Facciamo pace col fatto che per la sua autonomia noi dobbiamo morire a noi stessi. Se non comprendiamo e accettiamo quest'ultimo punto, nel momento in cui un figlio tenterà metaforicamente di "ucciderci" durante l'adolescenza (fase nella quale inizia a giudicarci degli incapaci deficienti), il nostro cuore si dilanierà e sarà un testa a testa nel quale noi e il figlio ci faremo malissimo (soprattutto ne uscità male la nostra relazione). 

Facciamo un secondo mente locale sul processo psicologico elementare: se le persone intorno a me hanno fiducia in me anche se sono giovane, io posso farcela. Se sbaglio mi aiuteranno a capire gli sbagli, se faccio bene so che posso farcela. Non è un ragionamento difficile, ma intorno a questo ragionamento oserei dire semplicissimo, c'è il fattore "adulto". Se quest'ultimo deve risolversi i suoi problemi legati il suo passato e non riesce a evitare di proiettare sulla relazione con l'adolescente i suoi fantasmi, s'innescherà un meccanismo perverso che porterà a risultati pessimi. Un altro punto fondamentale riguarda cosa pensa la società dei giovani. Per farlo vorrei che si osservasse con attenzione questa scena terrificante (al minuto 3.52 se uno non vuole ascoltare - come ho fatto io - qualcosa che è al di là del concetto di "musica"):  



Questo vivace, maleducato, irritante ragazzino pieno di tatuaggi piuttosto bruttini che ha ditrutto i fiori (ma non c'è l'urgenza ambientalismo tra i giovani?) tenta di giustificare il suo aberrante comportamento - che per me gli avrebbe fatto vincere un calcio nel sedere dritto dritto verso la squalifica e una sgridata piazzata sul ghigno e sulle scuse arrangiate lì per lì - adducendolo a un malfunzionamento tecnico. Amadeus, padre di una generazione alla quale ogni dignità è stata "cauterizzatamente" rimossa, esercita la sua paternità devastata e devastante in modo chiaro e inequivocabile. Il piccinocarinoviziatello (il prossimo che mi dice che un neonato che vuole mamma è viziato, lo mangio) arriva pure a dire che lui si è comunque divertito ma che show-must-go-on per cui ha preferito fare un macello sul palco piuttosto che fermarsi garbatamente e chiedere di ricominciare l'esibizione. Amadeus è il padre vuoto, l'uomo con zero virilità, l'adulto a zero-impatto-pedagogico che attualmente copre una fauna della popolazione maschile piuttosto vasta e numerosa. Infatti non prende per un orecchio il fanciullino, ma lo giustifica. 

Se c'è una mancanza di dignità impressa nella generazione attuale di giovani, la colpa è dei genitori come Amadeus, che chiede al pubblico di non arrabbiarsi con il chiuhauha che continua a dire che lui si è divertito comunque (a ditruggere il palco), o degli adulti come le persone incaricate di educare direttamente, nel pieno delle loro facoltà. 

Se fosse la dignità dei giovani, quella che interessa a chi adesso ha la mia età e dovrebbe educare, i cellulari dovrebbero vaporizzarsi e con essi i social dove i ragazzi e le ragazze mostrano tutta la loro debolezza psichica nell'aggredire coetanei verso i quali provano solo antipatia (come Blanco verso il non funzionamento del microfono). Abbiamo rimosso la dignità dal necessario percorso di crescita, quando abbiamo voluto sostituirci a loro, quando abbiamo voluto condannare la genitorialità a essere un mezzo di soddisfacimento personale nel momento in cui i bambini sono picirillini e carucci (ecco la corsa al diritto ai figli), ma non quando i genitori sono chiamati a dimostrare la loro premura verso i figli magari evitando di separarsi nonostante la criticità che sorgono nella coppia. Abbiamo rimosso la dignità ai figli quando consegnamo la loro educazione a esperti del momento o a PTOF di oscura provenienza sovranazionale. Abbiamo rimosso la dignità ai figli quando chiacchieriamo di bullismo, ma se una donna è in attesa ne parliamo apertamente come di una deficiente che si approfitta del fatto che la maternità sia pagata. Ci si continua a stupire della cattiveria che i giovani riservono a se stessi o agli altri, ma in pochi nutriamo dubbi sull'effettiva riuscita della giornata dei calzini spaiati, mentre i bambini con difficoltà (dall'essere DSA all'essere portatori di una disabilità più o meno complessa) vengono abortiti subito quando vi è una diagnosi che creerebbe un problema sociale alla creatura, o quando si isola un bambino dislessico, o banalmente s'ignora un bambino disabile. E siamo noi adulti a farlo, dimentichi del fatto che per educare un piccolo, spesso basta l'esempio. Eppure c'è una sordità intenzionale verso i bambini che danno difficoltà esprimendo la sofferenza con agitazione e atti di ammutinamento verso l'adulto: si pensa di poterli mettere nel banco ad ascoltare una lezioncina sulla buona educazione, mentre i genitori divorziano, mentre i genitori parano male a vicenda dell'ex "compagno/a", mentre i genitori sono in carriera (costretti da una società antinatalista) e delegano alla scuola e agli esperti l'educazione dei figli.


Riappropriarci del ruolo educativo è il mezzo più importante per dare dignità ai nostri giovani. Educarli al rispetto dell'altro, è fondamentale per loro stessi. Blanco e Amadeus lo hanno dimostrato: entrambi non hanno un briciolo di dignità.


*vernacolo toscano. Lettereralmente "ci rimane male".