Un gruppo di ragazzetti e ragazzette universitari, si mobilita per non far parlare chi non ha presupposti politici simili ai loro. Imbevono il loro comunicato di termini che finiscono con la "U" perché così si è inclusivi. Perché uso i vezzeggiativi "ragazzetti e ragazzette"? No, non è perché non ne ho rispetto, ma perché solo gli adolescenti annoiati e un po' viziatelli (quelli che si alzano da tavola prima di aver finito di mangiare perché non vogliono sparecchiare e la fatica più pesante della giornata è vestirsi per uscire la sera*) che vogliono essere progressisti (usando al "U")e temono il confronto con l'altro. Più o meno com'é accaduto ai giovani Universitari per la Vita, che hanno dovuto vedersi attaccare di nuovo da un gruppetto di coetanei che non sopportano il fatto di dover lasciare la parola - ogni tanto - a chi ha idee diametralmente opposte. La pecca degli UpV è quella di affermare che dal concepimento la vita è quella di un essere umano: considerazione che, evidentemente, sconvolge le deliranti proclamazioni sui vari diritti che un essere umano possiede sull'altro. E che dire dei poveri frequentatori dei rave party? Persone giovani del tutto private della libertà di rompere gli schemi col passato, asservendosi a chi educa loro che nulla sono per gli altri, istruendoli sul fatto che hanno la facoltà di rovinare la loro vita (il principio dell'autodeterminazione era un dogma pagno pure per me, sino a che non ho distrutto il duro involucro che conteneva il mio cuore, aprendolo alla Via, la Verità e la Vita).
Cos'hanno le personalità dei miei tre esempi (i ragazzetti universitari, quelli che hanno aggredito gli UpV e i giovani che partecipano ai rave party) in comune?
Esatto.
Sono dannatamente conformisti. Rispondono a pappagallo ad alcune questioni (ovviamente il cult riguarda il "diritto" all'aborto, che rimane un evergreen a tutt'oggi) senza assolutamente guardare le cose da un punto di vista differente da quello che viene proposto loro. Come quando io partecipavo alle manifestazioni portando la bandiera con la falce e il martello: mi pareva di affermare un sentito mio unico e irripetibile, mentre invece, da brava ragazzetta (ecco il vezzeggiativo) cercavo solo di uniformarmi a un gruppo di pari col solo e unico scopo di sentirmi accolta.
Quand'è che ho capito che sotto sotto c'era la fregatura?
Quando ho accolto la vita. Quando Rebecca, col suo minuscolo cuore (era lunga 1,6 millimetri) mi ha mostrato la sua esistenza, la sua possanza.
Quel minuscolo cuore è stato per me il richiamo al dover vedere la vita con altri occhi, perché concepire un figlio è il diritto alla Speranza di quel figlio. Dovevo crescere. Dovevo assumermi la mia responsabilità. Dovevo costruire una vita il più possibile sana per quel minuscolo battito cardiaco. Quello che i succitati lorsignori temono, quello che fa tremare chi è convinto che l'altro non abbia diritto di parola né le sue emozioni abbiano diritto di residenza; quello che teme profondamente la verità che riguarda la scintilla che dà vita all'essere umano e così aggredisce; quello che spera avidamente che i giovani siano costretti a ripiegarsi su loro stessi tanto da agognare al presunto diritto di autoinfliggersi dolore e morte... quello che spaventa tantissimo tali immondizie, è la libertà dei giovani.
La libertà di dire che sì, quel minuscolo ovulo fecondato è, inesorabilmente e incommensurabilmente, vita. Quella di essere talmente inclusivi accoglienti (ho corretto perché la mia amica Valentina ci tiene alla differenza etimologica) che tutti i bambini (e quindi la loro fisiologica maturazione nella vita adulta, quindi tutte le persone) hanno un valore enorme per il solo fatto di essere. Quella di emanciparsi dal dolore e dal nichilismo di chi gode nel vedere i giovani vittime dei loro istinti più biechi, più viziosi, più ... semplicemente, brutti.
Cosa desidero, quindi, per i miei figli?
La libertà.
Liberi dal conformismo. Desidero per loro il diritto di opporsi quando in classe tutti affermano che l'aborto è un diritto; quando degli educatori "cattolici" vorrebbero insegnare loro quanto sia giusta la legge Zan; quando nel luogo che frequantano per lo sport devono continuamente avere a che fare con persone che bestemmiano; quando i coetanei tentano in tutti i modi di convincerli che una "scopata" è certamente poco impegnativa... Questo desidero per loro. Come desidero e auspico che formino il loro carattere conoscendo le cose coi loro occhi, non con gli occhi di una cultura che afferma di essere pacifista e inclusiva, ma invia armi in luoghi lontani o non difende i nascituri affetti da Sindrome di Down.
*sto descrivendo come mi comportavo io quando ero ospite dai miei nonni che, bontà loro, tentavano di darmi una vita "normale" almeno quando ero in loro compagnia.
PS: so che c'è chi leggerà queste righe e solleverà il ditino indice affermando che, sotto sotto, io vorrei che i miei figli pensino quello che dico io. Un paio di considerazioni: compito del genitore è educare a quello che è Bene e quello che è male. Come si differenziano queste due opposte posizioni? Una delle possibilità è applicare il principio dello studiare quello che c'è sui libri e non quello che dicono gli slogan (i libri di Embriologia, ad esempio, esistono per questo). Un altro interessante principio è valutare, ad esempio, se un monito di una determinata cultura abbia risultati buoni o cattivi sulle singole persone (la teoria del gender, ad esempio, sta riducendo la vita di tanti bambini e adolescenti, a essere piena di sofferenze fisiche e psichiche a causa delle varie teorie sul blocco della pubertà). Un ulteriore spunto riguarda il principio che il Bene non è contraddittorio (se quello che compio ricade positivamente su chi mi circonda, è possibile che io stia cercando il Bene).
In seconda istanza posso garantire che la cornucopia dei miei peccati è talmente traboccante di errori che per i miei figli basta spesso guardare me, per capire come scattivare quello che ho detto e fatto abbastanza decentemente, dai liquami immondi della mia anima.