lunedì 10 ottobre 2022

"Ma chi me l'ha fatto fare di diventare madre?" è LA questione

Avere un figlio, per una certa percentuale di mamme, è una faccenda mostruosa. Se ne accorgono quando nasce o forse dopo qualche mese/anno. Lo capisco perfettamente. Io stessa avrei cancellato tutto (gravidanza, matrimonio, figlia), se avessi potuto. E non perché la Figlia G non è stata assolutamente programmata (in realtà quando si decide di avere rapporti sessuali si decide di avere figli), perché questa percezione l'ho avuta anche in altre circostanze. Tuttavia mi chiedo perché questo sia accaduto. E non solo a me. 
Ero sola.

Per esempio analizzai le parole di una tizia che raccontò dell'amore per la figlia che però denunciava - con lo scopo di creare un movimento - il suo non apprezzamento nei confronti della maternità.



Questo è ciò che scrissi:

«Con che facilità si parla delle difficoltà di essere madri (rispondo a Karla Tenório)

"Ho una bambina di 10 anni e sono una madre pentita. Ho deciso di trasformare il mio malessere in un movimento solidale per le donne come me: quelle a cui non piace essere madre, che soffrono e si sentono in colpa a causa della maternità".
Movimento "solidale" (ovviamente adultocentrico) che è diffusissimo per il semplice motivo che va contro l'infanzia, ma lo fa in modo subdolo, non chiaro, perché il messaggio è che avere dei figli non è particolarmente piacevole (specificherò dopo), ma dirlo così non è politicamente corretto: per cui è più facile vedere la genitorialità dalla parte della donna e parlare della condizione di madre.
"Karla (...) ha più volte ribadito nelle varie interviste di amare molto sua figlia, ma di rigettare l'idea romantica della maternità". [...] Sono raccontate le vicende di tante mamme che affrontano immense difficoltà coi figli, eppure hanno un amore infinito, per costoro?
"Ha deciso di diventare madre spinta dall'entusiasmo del suo compagno, ma senza troppa convinzione. 'All'inizio avevo perso la cognizione del tempo, mi sono chiusa al mondo, sono diventata una sorta di badante. Ad esempio, portavo un taccuino in cui annotavo quanti minuti mia figlia prendeva il latte da ogni seno. Non ho mai avuto una babysitter, ho smesso di fare tante cose, ho smesso di accettare dei lavori perché mi sentivo in colpa e volevo essere una buona madre. I sintomi del rimpianto materno sono la frustrazione, la sensazione che la vita stia finendo, l'abbandono, lo scoraggiamento a sviluppare nuovi progetti di vita".
Ovviamente la colpa dev'essere dell'uomo, del compagno (che è un termine che a me fa sempre pensare a due scolari): chi parla di patriarcato, ha pane per i suoi denti, evidentemente. Che costui, poveretto, abbia magari insistito o meno, non importa: si dice che un uomo non ha il diritto di proporre, ventilare, pensare che gli piacerebbe la paternità. E invece sappiamo che non è così: paternità e maternità sono due desideri legittimi che vanno ovviamente modulati responsabilmente, ma che debbono trovare residenza, se c'è un rapporto di coppia costruito sull'amore. La parte seguente della dichiarazione, l'ho vissuta da ostetrica tante volte. La donna è costretta a pesare il bimbo prima e dopo la poppata, redigendo spesso foglietti sul peso, le cacche, i vomitini, i minuti al seno (che devono essere decisi dal pediatra): questo modello di accudimento, nipote della pedagogia del distacco degli anni '50/'60, mira(va) proprio a questo, ovvero creare delle madri scontente del loro status. La donna, distaccata chirurgicamente dalle sue capacità di sopperire ai bisogni fisiologici del neonato, strappata dal 'villaggio' dell'aiuto fornito dalle altre donne che esiste nelle culture tradizionali, spronata a 'tornare come prima', 'dedicarsi a se stessa', 'affidare il figlio ad altri per abituare il figlio a cavarsela da solo', ha obbedito trovandosi di fronte - spessissimo - a baby-blues o depressione post-parto. Quest'ultima è una patologia che Karla denuncia di aver provato, e mi dispiace tanto. Io la combatto e l'ho combattuta anni. A volte ho vinto quando le donne sono riuscite a non vivere il figlio come un antagonista, ma un alleato del benessere della famiglia. Purtroppo la brava madre non esiste e nessuno l'ha detto a Karla, dicendole che ammettere di essere stanche, con un neonato, è NORMALE. Infatti è per questo che la donna deve poter ricevere aiuto da altre donne! Questo dovrebbero fare le amiche, le sorelle, le cugine: è da sempre stato così e la negazione di questo, produce situazioni anche gravi, come quella denunciato da Karla.
"Mi ci sono voluti dieci anni per uscire allo scoperto, per definirmi una madre pentita, perché mi sembrava di essere l'unica, ma non è così". Purtroppo, Karla, non sei stata aiutata e sostenuta. e la prova di quello che dico sta nelle tue parole: "La maternità implica tutta una serie di nozioni, dall'igiene del bambino alla sua formazione, devi essere un po' psicologa per capire ogni fase dello sviluppo e avere abbastanza soldi per pagare tutte le spese. La maternità è un azienda ad alto rischio, senza riconoscimento e senza ritorno". Il fatto è che la cultura del distacco ha fatto perdere, alle neomadri, tutte le competenze che le donne hanno sempre posseduto e hanno sempre trasmesso. Non devi essere nulla, per tuo figlio, se non una MAMMA. La Mammitudine è una condizione non facile, ma nessuno ha detto a Karla che quello che stava vivendo era normale. Quante volte capita di voler scappare via dalla stanchezza e dalle esigenze dei bambini? Tante: ci si raccoglie, si chiede aiuto, ci si conforta con altre mamme, e si riparte!
"A sorpresa, questa mamma così poco romantica, ha avuto una figlia modello. Che culo. .Mia figlia, Flor Inae, è una persona incredibile, è una storia di successo, perché è una ragazza obbediente, brava, che ha dei valori e io la amo". Le mamme non devono essere romantiche. Nella Mammitudine non c'è romanticismo, c'è uno status di grande amore per un figlio e un assumersi l'onere e l'onore che questo comporta: sia che il figlio sia quello che avremmo voluto, sia che non lo sia. Karla dichiara di amare sua figlia perché è obbediente ed è brava: entrambi valori che si pensano essere positivissimi, in un figlio. Concetto che mi trova in disaccordo, poiché si dà a un figlio un valore se egli è quello che noi genitori abbiamo voluto per noi, non dandogli una dignità in quanto persona: quindi il figlio è amato se sviluppa quello che noi vogliamo, concetto prolungamento di quello di 'figlio desiderato', faccia della stessa medaglia di chi afferma che è giusto il diritto di un figlio, e di quella del fatto che la legge 194 ha fatto nascere solo figli amati. No, Karla, tu non devi amare tua figlia perché è quello che tu avresti voluto, tu la ami perché è la bambina che tu hai cullato e perché sei sua madre. È per questo che la ami, nonostante la convinzione del contrario. "Non voglio solo dire che sono una madre pentita, voglio offrire il mio dolore per parlare di qualcosa di profondo, che colpisce molte persone. Nella nostra società, siamo figli e nipoti di molte madri pentite. E le donne dovrebbero sentirsi accolte, provare sollievo. Penso anche all'importanza di mettere in guardia le donne che non hanno ancora avuto figli, e quelle che stanno pensando di avere figli, su cosa sia veramente la maternità. È necessario porre fine al lato romantico dell'essere madri, che è molto dannoso per tutti".
Il fatto è che vivere la condizione di adulti, significa assumersi la responsabilità di imporsi un comportamento maturo. L'amore, infatti, non è quell'emozione cuoriciosa che esprime il love is love: amare significa esserci nelle immense difficoltà, perché nelle facilità non dimostra nulla. L'amore non è un sentimento romantico, ma è un sentimento roccioso che deve tirar fuori intenzionalmente, da chi lo prova, la forza massima possibile per aggredire e sopportare (anche piangendo e soffrendo: nessuno nega mai che questo comporti difficoltà) situazioni d'immenso disagio. Non c'è un lato romantico, nella Mammitudine, ma c'è una potenza enorme di chi vive le difficoltà cedendo spiritualmente e fisicamente, ma non retrocedendo mai, nel suo impegno quotidiano. È difficoltoso? Sì, ed è per questo che le donne si dedicavano al bambino insieme ad altre donne, realtà che si è persa perché si è preferito dire che la donna doveva cavarsela da sola (magari dando il figlio a estranei).
Cara Karla, sei solo la conseguenza di una politica anti-maternità e anti-bambino, sei solo il frutto di una ideologia contro l'infanzia. Tu, come tante donne come te».


Aggiunsi:
«A tutti coloro che commentano che "Chissà come si sentirà sua figlia":
1) non lo sappiamo: se gliene ha parlato può averlo fatto in tono negativo ("Non avere figli perché fa schifo"), o in tono positivo ("Se mai avrai figli, io ti aiuterò a non sentirti così").
Vorrei ricordare che a me TUTTE le donne della mia famiglia hanno sempre detto che la maternità fa schifo, ma mi sono ricreduta da sola.
2) Riuscire a esternare le migliaia di difficoltà che si possono avere da neo-madri o da madri, è cosa buona. Anche coi figli e soprattutto le figlie. Lo si può fare sia che i figli siano piccoli, sia che siano adolescenti, sia che siano adulti.
a) figli piccoli: spiegare al proprio bambino che anche la mamma è stanca, anche la mamma piange, anche la mamma si arrabbia talvolta inutilmente, anche la mamma sbaglia, serve per creare una relazione. I figli debbono sapere che le mamme non sono super eroine sempre al top, ma persone che spesso sono fragili. Questo aiuta i bambini a consolarci e perdonarci (Dio solo sa quante volte io ho chiesto scusa ai figli) e aiuta noi adulti a non doverci conformare all'idea che ci sia una "madre perfetta" che non esiste: siamo tutte poveracce ed estremamente votate all'errore. Quindi l'umiltà di ammettere l'errore in una reazione con il figlio, spiegando che anche mamma sbaglia, aiuta la relazione con il figlio medesimo.
b) figli adolescenti. Dire a un figlio che abbiamo fatto degli errori con lui, quando era piccolo, ci rende normali e lo proietta a un futuro nel quale gli errori possono essere perdonati. Io non ho allattato la prima figlia, l'ho fatta piangere, l'ho strattonata e le ho urlato che la odiavo (era molto piccola). Quando è cresciuta ho condiviso queste mie difficoltà con lei perché volevo che capisse che diventare mamme non è facile, ma ci si può riuscire e può diventare un'avventura fantastica, infondo si può anche rimediare agli errori. Lei ha capito come ci si comporta coi bambini piccoli, dal racconto dei miei errori.
c) figli adulti: siamo tutti genitori alle prime armi. Vivere la genitorialità dei figli abbandonandoli o fornendo consigli, è SBAGLIATO. Rimediamo ai nostri errori condividendoli coi figli, perché loro possano imparare e sentirsi meno soli.
Una preghiera a tutte le donne: adesso che la cultura sa che la neomamma non deve stare sola ma va supportata, chi ha subito questo modo di vivere la sua maternità, deve rimediare. Può farlo chiedendo a una neomamma se può aiutarla cucinando, pulendo casa, portando gli altri figli a prendere un gelato, lavando panni... L'amore per i bambini, passa da quanto amiamo le loro mamme».

Conclusi:
«La storia di questa donna è la stessa di tante di noi: i suoi sentimenti avrebbero dovuto trovare residenza dieci anni fa, sarebbero dovuti essere accolti e lei avrebbe dovuto essere aiutata a chiedere aiuto. Se fosse stato così, lei oggi avrebbe altri 4 figli e sarebbe esaurita, stravolta, assonnata e felice, innamorata e incinta.
Ma non è così per alcune ragioni:
- La società ti dice che è bello essere mamme: vedasi tutti i cuori sotto i post di attrici eccetera. La maternità affascina ed è, oggettivamente, una situazione che trasmette bellezza. [...]
- Quando poi sei straziata dalla stanchezza e pensi "Dio mio che palle non ne posso più", allora ti crei l'idea di essere sbagliata. Ma è lì che dovrebbe stare il sostegno di altre donne. Lì ci dovrebbe essere accoglienza: ci dovrebbe essere l'amica che ti conforta, ti prepara un the, ti tiene i figli e ti dice "rilassati". E invece no, perché "ulli, ulli, trulli: chi li fa, se li trastulli": quando noi mamme chiediamo aiuti dallo Stato - per esempio -, i commenti sono sempre "cazzi vostri", "pancine schifose", "figliate come conigli ma non chiedete aiuto" eccetera (roba scritta a me). Per non parlare delle vessazioni lavorative che ogni giorno le donne debbono sopportare: se poi sei casalinga sei praticamente un essere inferiore.
- Inoltre viene detto "MAMMA Ѐ BELLO" ma pure "MOSTRA SOLO IL BELLO PERCHÉ IL BRUTTO NON INTERESSA". Quindi le madri non riescono ad accettarsi ed accettare che la Mammitudine include il bisogno di condividere il peso di tutte le fatiche con altre donne (i maschi non me ne vogliano, ma lamentarsi parlando è precipuo della cultura femminile). Quindi la colpa sta nella cultura che prima ti dà a intendere che DEVI essere felice di essere mamma, ma se poi ti lamenti sono affari tuoi perché la medesima cultura non dice alle altre donne che hai diritto a essere aiutata.
- Le altre donne, disabituate a contemplare di non farsi gli affari propri, non stanno a fianco della malcapitata, ma stanno ben lontane e, se intervengono, lo fanno spesso male (suggerimenti, consigli eccetera). Questo è così drammatico che sono nate le figure per aiutare le mamme (le doule, che io ho sempre sostenuto) laddove invece ci sarebbero volute mamme, nonne, cugine, amiche...
- La perfidia di questa situazione ideologica sta nel non voler modificare la situazione culturale tornando a essere "villaggi per i bambini" e nel dar voce alle mamme che hanno bisogno di essere sostenute, dando invece voce a a persone come la povera miserrima Karla, che è mero strumento propagandistico. La poverina ha trovato un equilibrio, ma invece di guardare dove il dito puntava (il chiedere aiuto, lo stare con sua figlia senza affrontarla sul campo di battaglia), ha preferito guardare il dito (odiando lo status di madre e, menomale, non la figlia).
L'ho scritto e lo ripeto: l'amore per i bambini, passa dall'amore per le madri. L'amore per le madri, darà amore ai bambini».

Periodicamente questi racconti di madri tristi e pentite, fa il giro dei social: questo accade - come dice la mia amicaBeli - e bisognerebbe riflettere che: «In realtà madri non pronte a fare le madri e in grande difficoltà con i figli ci sono sempre state, solo che una volta non venivano lasciate sole. Un tempo non era strano che una zia o una cugina si dedicasse molto al figlio di una parente in difficoltà, che spesso si risolveva con la crescita del piccolo. Oggi le madri sono spesso sole. L'idea che il figlio sia una scelta comporta per troppi che poi sono affari solo tuoi, un figlio non è un bene per la comunità. Mi capita di parlare con madri che, con figli oggi più grandi, ti confidano che da piccoli non ce la facevano, li chiudevano in camera al buio per esasperazione o li picchiavano molto per mancanza di pazienza. Amano i loro figli, ma sono state sopraffatte dal compito e non hanno ricevuto adeguato aiuto.
Gli eccessi di esaltarle come misura di libertà dal peso di fare figli o di psichiatrizzarle a tutti i costi, mancano il bersaglio fondamentale: stare dalla parte delle donne e dei loro bambini.
Occorre tornare a chiedere aiuto e considerare un bambino un bene per tutti.
Ma la domanda vera è se vogliamo stare dalla parte delle donne o vogliamo fare propaganda.
La propaganda non aiuta nessuno».

E io sono d'accordo.