Prendiamo in considerazione qualche riga dell'esperta:
«Quando [...] le intemperanze giovanili diventano troppo frequenti si
incomincia a ricercarne le cause (anche il medico più malaccorto al
ventesimo bubbone incomincia a sospettare che vi sia qualcosa che non va
nell’ organismo) e, guarda la coincidenza, la più importante si è
trovata nel patriarcato. [...] si scrive patriarcato ma si legge famiglia cristiana [...]. È da diversi decenni che è andato affermandosi nel campo
dell’educazione familiare un radicale cambio di paradigma [...]. Questo ha
significato anzi tutto il recidere i legami con la Tradizione e le
tradizioni [...]. Il passato era sbagliato e comunque non ha
più nulla da dirci tanto meno da insegnarci; meglio affidarsi alle
scienze pedagogiche, alla tecnica – tecniche ispirate al criterio
supremo della funzionalità. Nelle famiglie ci si rivolge a pediatri, a
manuali su come diventare ‘genitori efficaci’, a psicologi e forum di
madri ansiose, nelle parrocchie fioriscono come pratelline in primavera
gruppi, iniziative, comitati e comitatini. [...].Vediamo allora come se la cavavano le generazioni passate ancora
prive dei dettami scientifici. Mi ricordo di quando a passeggio con
mamma e papà mi mettevo a correre seguita immancabilmente dal grido
malaugurante: "Non correre che puoi cadere - spesso seccamente predittivo che cadi”. Per il malefico potere insito nella natura genitoriale, non
riuscivo a fare 10 metri che ero già a terra con le ginocchia escoriate e
il ghiaietto appiccicato alla ferita. Non avevo ancora deciso se e
quanto piangere quando mia madre scendeva a picco sopra di me e mi
scuoteva il braccio come fosse la pompa dell’acqua nei vecchi acquai,
qualche volta aggiungeva uno sculaccione pro forma e un “te l’avevo
detto, guarda ora il vestito”. Orribile, vero? Ma istruttivo:
imparavi sul campo che le azioni hanno inevitabili conseguenze e che non
necessariamente gli adulti, gli altri te la faranno passare sempre
liscia. [...] Oggi succede che un ragazzino sui 10 anni, capace quindi di leggere,
preso da giovanil irrequietezza, in un Grande Magazzino apra la porta di
sicurezza e faccia scattare l’allarme: si spaventa e corre tra le
braccia amorose del padre che lo rassicura- non è successo niente! Eh
no, caro signore, è successo che il segnale sonoro abbia appunto
allarmato le persone, che gli addetti siano dovuti accorrere a
controllare e a disattivarlo: ora non dico che dovesse chiudere il
bambino per due giorni nella legnaia, anche perché probabilmente non ce
l’ha, ma un’inflessione (leggerissima) di rimprovero nella voce avrebbe
potuto mettercela. [...] il progetto in qualche modo si autoalimenta nello stesso processo di
formazione, come la dinamo si carica con il movimento stesso: il giovane
che sin da piccolo è stato abituato ad ottenere ciò che vuole ed è
convinto che non solo i genitori ma tutto il mondo sia chiamato ad
assecondarlo non si smuove più da quella posizione, anzi ha solo
ampliato il suo raggio d’azione sino al cambio di genere, ed oltre. I
nostri baldi giovani, sempre pronti a manifestare – a costo zero
d’altronde – contro le politiche fasciste del governo (si sono fatti vaccinare per poter continuare a divertirsi nei locali).[...] Hanno riscritto il palinsesto delle regole educative, nuovi talebani che
non conoscono deroghe al loro approccio gentile e comprensivo e al loro
sfrenato protezionismo. [...] Orbene, tra tutti questi riferimenti alti, ci siamo dimenticati dei bambini che ormai saranno cresciuti. Anche i piccoli Turetta crescono».
Potrebbe essere condivisibile potrebbe, ma.
Dire "Ai miei tempi..." è sempre un rischio. Questo per una serie di fattori tra cui il fatto che l'educazione de "I bei tempi andati" è quella che ha fabbricato i genitori della generazione antecedente alla mia, spesso causa di malesseri nella mia generazione, che poi ha dato vita a quella odierna. Ci si fa sempre una figuraccia quando si paragona i tempi andati con i tempi moderni, poiché se va "male" oggi, vuole talvolta dire che tanto bene ieri non è andata. I genitori di oggi devono rispondere alle sfide di oggi, non quelle di mezzo secolo fa e più...
Un secondo esempio famoso. Un padre scrisse: «Se si è convinti che non ci siano bisogni reali, condizioni disturbanti o dolorose, o malattie, si può star certi che gli strilli sono la pura e semplice espressione di un capriccio […] bisogna procedere […] mediante rapida distrazione dell'attenzione, parole severe, gesti minacciosi, colpi contro il letto... o quando tutto ciò non sia più possibile mediante moderati avvertimenti corporali, segnati da brevi pause e ripetuti uniformemente fintanto che il bambino non si acquieti o si addormenti [...]. Un tale procedimento è necessario soltanto una o al massimo due volte, dopodiché si sarà padroni del bambino per sempre. D'ora innanzi uno sguardo, una parola, un solo gesto di minaccia saranno sufficienti a dominare il bambino». Costui si chiamava Daniel Gottlieb Moritz Schreber (padre di Daniel Paul e Daniel Gustav: uno morì suicida e l’altro "pazzo"). Fu reso famoso dalla pubblicazione La famiglia che uccide sugli effetti della cosiddetta Pedagogia Nera (che è parte delle radici del nazismo).
Nel passato le emozioni e i bisogni fisiologici del bambino (soprattutto quello di contatto fisico diurno e notturno), non erano assolutamente presi in considerazione - come suggeriva di fare papà Daniel Gottlieb - ed è vero che gli adulti erano responsabili: infatti quanti diciottenni (tra cui il mio bis-nonno Paolo, classe 1899), erano entusiasti di partire per la guerra? Moltissimi. Non foss'altro perché venivano passati per le armi se avessero disertato. Erano per forza responsabili: ma a che prezzo? Le loro immense sofferenze (ricordiamoci gli "scemi di guerra") sarebbero potute essere evitabili.
Una volta i bambini imparavano le regole che servivano per la vita: le ammonizioni dei genitori erano vitali e, adesso che mancano, ne constatiamo i risultati. L'esempio è sempre il medesimo: si passa dalla lamentela verso un non meglio identificato passato meritevole di stima, a un presente del quale si vedono gli effetti proprio nella maleducazione dei bambini, tirati su a lassismo educativo.
Si denuncia l'assoluta mollezza attuale dimenticando che spessissimo i bambini che da adolescenti hanno concessi privilegi innenarrabili, da piccoli sono stati neonati ben poco ascoltati. Di questo ne ho l'assoluta certezza poiché alcuni adolescenti che osservo, hanno uno spiccato istinto che li muove ad imitare i coetanei: sono giovani che seguono il branco, che si uniformano, che hanno bisogno di una guida e che spesso credono con più fervore a chi sta fuori dalla famiglia, rispetto ai propri familiari ("giochino" utile a chi gode ed approfitta della dissoluzione delle relazioni familiari). Evidentemente in famiglia l'instaurare un dialogo non era una priorità.
Provo a spiegarlo con altre parole: certi bambini, sin da piccoli, vengono allevati con l'incubo dell'
autonomia, con lo spauracchio della
dipendenza (soprattutto affettiva). Tuttavia - essendo archetipicamente esseri bisognosi di interdipendenza (nessuno si salva da solo) - quella mano tesa verso chi potrebbe fornire loro delle certezze, sono spinti a
cercarla altrove rispetto alla famiglia (
Neufeld e Maté saprebbero dirlo molto meglio). Gli amici, avremmo detto decenni fa, il web e gli influencers, a tutt'oggi. E ne vediamo le conseguenze. Il dramma è che mancano l'esempio e il tempo di fornirlo ai bambini e ai giovani. Tale mancanza di tempo si struttura o in una educazione autoritaria (ci sono ancora genitori che pretendono l'8 in tutte le materie altrimenti sono botte) o in quella lassista (propria dei g
enitori vivi che hanno figli "orfani").
La soluzione del dramma, tuttavia, non sta nel tornare ai bei tempi andati, perché bisognerebbe comprendere un dato di fatto: per essere autoritari basta essere banalmente stronzi carogne, per essere lassisti basta semplicemente farsi i cazzi gli affari propri...
È per essere autorevoli, presenti, coscenti del proprio ruolo genitoriale che bisogna avere un po' di palle coraggio.
Se si fosse temerari si capirebbe molto bene che «Anche i piccoli Turetta crescono» è una frase che nasconde l'idea che l'educazione sia un rapporto di forza costante tra chi perde e chi vince quante volte la mamma che ascolta il bambino che piange, viene apostrofata con il laconico: «Eh però così ha vinto lui»?). Perchè io, personalmente non sono preoccupata dei Turetta (per usare il nome di un assassino) che crescono, ma sono molto più preoccupata dell'esistenza delle varie Cecchettin (della quale non conosco nulla, per cui è solo un esempio collegato all'uso del nome del suo assassino) che maturano in famiglie, magari, che non prendono mai in considerazione il dover dare ai figli attenzione, amore, ascolto, tempo passato assieme per costruire un rapporto fatto di reciproca fiducia. Un bambino che sa che la propria famiglia è un luogo dove chiedere aiuto e che quella richiesta d'aiuto è sempre preso in considerazione, sa di essere cresciuto in seno a chi ha accolto nelle sue necessità, sa di avere voce nelle sue paure e nelle sue difficoltà, sa di essere (stato) creduto, ed è coscente di avere una certa fiducia in se stesso.
Perchè possono crescere pure i vari narcisisti violenti (uomini e donne), ma se si trovano di fronte delle persone che non hanno una famiglia presente e unita nella quale riporre fiducia sentendosi custoditi e protetti, allevate magari con l'obiettivo dell'indipendenza (a partire dall'oggetto trasizionale per sostituire la figura di attaccamento) e dell'arrangiarsi, che magari hanno solo delle amicizie sulle quali contare (che potrebbero solo essere virtuali), per me è chiaro che siamo ben lontani dal capire come evitare che ci siano costanti spargimenti di sangue.
La "pedagogia nera" porta proprio a quello che teme l'esperta quando afferma che, a suo parere, è il lassismo educativo ad aver portato al fatto che i giovani abbiano preferito adeguarsi alle politiche sanitarie sull'obbligatorietà vaccinale, piuttosto che combattere per la loro autentica libertà. Non è infatti a causa dell'eccessiva mollezza genitoriale che i giovani non hanno maturato pensiero critico, autonomia mentale, anticonformismo e desiderio di libertà, ma è casomai a causa dell'amore condizionato nel quale sono cresciuti, nella solitudine, nella costante consapevolezza che la famiglia non ascolta le loro idee e non le rispetta. La "pedagogia nera" si costruisce infatti sul fatto che un bambino/un adolescente/un adulto, si abitui a pensare che per essere accettato e accolto sia necessario apparire in un certo modo. Qualunque modo sia. Ecco spiegati i giovani senza spina dorsale che si adeguano a teorie gender o a comportamenti conformisti.
Dopo aver ricevuto qualche spunto (di critica o di valorizzazione) sulle mie parole pronunciate durante
questa vibrante e arricchente chiacchierata con il prof. Mora, vorrei aggiungere due parole sull'argomento "spirito critico".
Una delle prime informazioni fondamentali che dobbiamo tenere a mente riguarda quello che la mia amica Giada definisce "attaccamento prolungato": sì, proprio
quello che i criticoni temono di più, ossia il fatto che i
l bimbo mantenga con i genitori (l'attaccamento a mamma abbraccia e include anche il papà molto presto, verso l'anno di vita)
un legame profondo tantoché abbia bisogno di loro di giorno e di notte. In realtà l'essere umano è stato concepito (non uso questo termine a caso) proprio in questo modo (studiare l'antropologo
Ansley Montague è utile): e sono proprio le caratteristiche dell'infanzia a rendere vitale l'uomo, ad averlo fatto vivere per tutti questi secoli. La lentezza con la quale il figlio matura le proprie certezze, la propria sicurezza nell'allontanarsi dalla famiglia, e la fiducia nel fatto di essere importante per mamma e papà, è fisiologica.
I passi "fuori" dal nucleo familiare (per andare a scuola, per stare con gli amici...) sono lenti per alcuni, veloci per altri, ma l'importante è che mamma e papà cerchino di essere sempre la fonte affettiva più importante. Ecco perché, nel video dell'intervista, all'inizio, racconto della mia esperienza con Lannina consapevole del fatto che un esperto esterno non ne sa più di mamma. Alcuni mi potrebbero replicare che io ho alcune competenze professionali, ma questo non è vero: il Corso di Laurea non mi ha preparato a nulla che riguardasse i termini "muco" e "cervicale", né minimamente ha riempito le mie lacune sulla fisiologia. Ho fatto da sola: e siccome non sono un pozzo di scienza, come dice Forrest Gump, se l'ho fatto io, lo possono fare tutti. Quindi occhi bassi e studiare (Quante volte l'ho scritto?). Chiediamo aiuto a chi magari ne sa di più, condividiamo le competenze... Insomma: essere genitori significa non sentirsi mai arrivati.
Nel momento in cui un figlio è certo di quello che la famiglia porta avanti (religione, convinzioni anche politiche eccetera), qualsiasi informazione esterna è filtrata al massimo, è osservata con attenzione e talvolta archiviata senza tante chiacchiere. Qui ovviamente sorge la differenza tra quello che un approccio autoritario e quello che è un approccio autorevole: il figlio ha capito il valore trasmessogli dal genitore e si prende anche il tempo per discuterne, sapendo che il genitore lo accoglierà comunque (amore incondizionato) rimanendo sereno nel rapporto con l'esterno.
Ecco qual è il dramma dell'educazione attuale: non sapere né cosa sia l'educazione, né cosa significhi educare. L'educatore autoritario e lassista sono la faccia della medesima medaglia, infondo. Sono entrambe persone che hanno una visione distorta della libertà del discente: da una parte chi la impedirebbe, dall'altra chi la elargirebbe (con lo scopo di possederla per se stesso).
Nel centro c'è l'educatore autorevole, che invece sa cosa significa educare e (prova, spesso tentando e ritentando) ad attuarla.
«L'obiettivo fondamentale dell'educazione è quello di mettere la persona in grado di essere autonoma, di poter compiere da sé le scelte che nella vita saranno necessarie, e, soprattutto, di procurarsi gli elementi occorrenti per poter prendere decisioni libere. Per raggiungere tale obiettivo occorre che la persona riceva un aiuto, proporzionale alla sua età ed alle sue caratteristiche personali; questo aiuto però può non servire a nulla, o essere addirittura dannoso, se non rispetta i diritti connessi con la dignità umana, il che si verifica nel caso che sia imposto, senza l'accettazione libera e la partecipazione attiva della persona a cui esso è rivolto. Perciò educare significa essenzialmente educare alla libertà, cioè avere costantemente come obiettivo la libertà della persona che viene educata e finalizzare un intervento in questo senso. [...] A un livello più profondo di considerazione, dobbiamo aggiungere che la libertà umana trova la sua origine e la sua spiegazione nell'azione creativa di Dio, che ha voluto dare all'uomo la capacità di intendere e di volere, e pertanto di decidere in vista al proprio fine. La libertà è così la capacità di determinarsi per il bene. Questa libertà, dono di Dio, che si era indebolita per il peccato originale, veniva nuovamente donata all'uomo da Gesù, Dio fattosi Uomo, che morendo in croce liberava l'uomo dal peccato restituendogli la libertà gloriosa dei figli di Dio (Rom 8, 21). La libertà è un dono divino, il più prezioso: l'opera dell'educatore tende a farne prendere coscienza e a farle esercitare rettamente» (Giuseppe Fioravanti, Educare alla libertà)