sabato 13 gennaio 2024

Biancaneve e la Bioetica

Se c'è una storia che in casa nostra è stata più e più volte letta e ascoltata, è quella di "Tantabebe", ovvero sia Biancaneve, nella lingua infantile della Figlia G. Lei iniziò ad ascoltarla con la musicassetta che era stata mia, e che a tutt'oggi custodisco. La riproduceva un mangiacassette un po' vecchiotto ma che mi servì poi per sbobinare le lezioni di Anatomia all'Università. I viaggi con la Figlia G, infatti, hanno ancora il suono del raccontastorie che narra della regina Grimilde, del cacciatore e della strega che si prende gioco di Biancaneve e le dà la mela avvelenata da sgranocchiare (da lì tutti gli insegnamenti del non accettare cibo degli estranei). 

Un paio di parole sulla strega, alias Grimilde ma più figa. Se stessimo attenti, comprenderemmo l'insegnamento di "Biancaneve" a partire dal fatto che i caratteri e i temperamenti con disturbo narcisistico di personalità sono sempre esistite e che fin dai tempi antichi il precetto era: bisogna starci lontani poiché tali persone non saranno mai soddisfatte finché non uccideranno psicologicamente o fisicamente la vittima della loro attenzione morbosa. Conosco benissimo i tratti di queste persone e attualmente ho per lo meno tre amiche che sono vittime di relazioni di questo genere a livello familiare (madri, padri o coniugi/exconiugi). La buona notizia è che tali persone sono "perdenti radicali", ovvero - come la vecchia strega in "Biancaneve" - prima o poi cadranno nel burrone scappando dalla vita che si sono abilmente costruiti/e; la cattiva notizia è che lasceranno strascichi piuttosto pesanti sul vissuto affettivo delle loro vittime. 

Torniamo a "Biancaneve" poiché la cosa si fa interessante. Non vedo la televisione. Non ho mai visto Sanremo. Non conosco i programmi di Maria de Filippi. Ignoro serie e lungometraggi italiani (mi fermo a qualcosa con Gino Cervi e Totò). Mea culpa. Solo per caso mi sono scontrata con Paola Cortellesi che non ho mai visto recitare e non mi attrae come personaggio. Tuttavia quando ho letto che Biancaneve fa da colf ai nani e che il guardiacaccia non avrebbe salvato la protagonista se fosse stata brutta, mi sono sentita tirata in causa. Noi brutte abbiamo sempre e comunque un guardiacaccia che prima o poi ci salverà: questo non solo perché agli occhi del guardiacaccia appariamo bellissime, ma perché il guardiacaccia salva a priori la persona più debole. Costui, infatti, non ha un doppio fine nel gesto di evitare che la regina Grimilde giochi a fare Frankenstein col parenchima cardiaco della protagonista (non vuole farsi la sprovveduta Biancaneve), ma banalmente ha una morale che gli ingiunge di mettere a rischio la propria vita per salvare una innocente. Fosse stata racchia lo avrebbe fatto lo stesso banalmente perché non si uccide, questa è la legge. Forse la Cortellesi crede che la vita vada avanti a botte di fondoschiena (le donne sanno bene come usare le loro natiche e si accorgono che avrebbero dovuto usare il cervello quando lo stesso fondoschiena comincia a cadere sotto il peso dell'età), ma non è così. Infatti Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Santa Ildegarda, Santa Caterina da Siena, Giovanna d'Arco, Santa Chiara d'Assisi e, non per ultima d'importanza, la Madonna, non le ricordiamo da millenni per il loro fondoschiena, ma per il loro acume e il loro cuore. 


Chiudendo la parentesi sulla povera Grimilde (che sarebbe stata meglio dopo qualche anno dal mio psichiatra, come di recente mi ha fatto notare il Piccinaccolo) e sulle gesta disinteressate del Guardiacaccia (prototipo assoluto del maschio virile), due parole sulla protagonista di questo racconto che, dopo essere stata svegliata dal Principe grazie al fatto che i nani non l'hanno seppellita, ovvero grazie al fatto che vi è una briciola di Speranza nel loro cuore, la vita insieme al suo salvatore, prosegue. Nel primo libro i nani sono invitati a corte per il compleanno di Biancaneve, che però poi decide che sarà più bello se, in seguito, saranno loro a organizzare le feste; nel secondo sono i nani che decidono di ospitare Biancaneve e il Principe per cui puliscono casa loro per farla sentire accolta (regalandole un diamante trovato in miniera) e offendole il posto a capotavola.


Sono nata e vissuta con tre donne. La prima proveniva da nobili natali, era cresciuta con cameriere e governanti e a propria disposizione aveva avuto balie per i figli e maggiordomi. Una volta che la sua vita familiare mutò per colpa della perdita economica ingentissima, non fece altro che stare a fianco al marito - colpito dalla sorte avversa - e adeguarsi con serenità a una vita senza alcuna comodità. Non mutò il suo amore nei confronti del suo sposo, non ha perso un grammo di Fede, non si è lasciata sconvolgere dalla riduzione dei propri spazi vitali nemmeno quando ha dovuto eliminare tutto il mobilio per trasferirsi in un monolocale piuttosto ridotto, dove poi è morta, circondata da chi le ha voluto bene. La seconda e la terza, invece, sarebbero andate d'accordo con la Cortellesi. Donne in carriera per le quali pulire casa era uno svilimento tantoché alla sottoscritta fu sentenziato cortesemente di essere diventata una serva, anche solo quando trovavo giusto assolvere al normare riordino domestico. 

Qui sta il nodo della faccenda: pulire, riordinare, rendere casa meno zoo per i suoi abitanti, tentare di cucinare qualcosa di decente per chi vive in una casa, è fare da colf? Evidentemente per la Cortellesi ed altre centinaia di migliaia di donne che hanno, per sistemare casa propria, altre donne (di solito pagate in nero e spesso di altre etnie recentemente, e del meridione più anticamente), tenere pulita casa è un compito svilente. Qui, tuttavia, nasce la mia scelta di vita, che tanto appare stupida e inferiore a tante donne. 

Optare per stare a casa a fare la casalinga, è ritenuto un asservimento al maschio patriarcale eccetera. Bene: cominciamo con il dire che i due maschi delle due donne che più hanno criticato la mia scelta, sono stati due coniugi non particolarmente brillanti e due padri piuttosto lacunosi. Quando la donna sente il diritto di ipertrofizzarsi in ogni campo della vita di coppia oppure opta per asservirsi alle mode dedicando tutta la propria energia alla soddisfazione professionale, ho potuto constatare che squilibri completamente anche i rapporti dei figli con la figura maschile. Non sto qui a raccontare per filo e per segno il perché del mio lapidario giudizio in quanto sarebbe noioso, basti però la seguente considerazione.
La donna che - lavorando e/o stando a casa - sta nel suo spazio, lo approfondisce, ne studia i contorni, ne amplia o ne smorza il profilo verso l'una o l'altra scelta, assolvendo alla sua vocazione data spesso solo dal rispetto del proprio archetipo (che dipende molto dalla fisiologia, ricordiamocelo), ritaglia intorno a sé il proprio modo di essere donna. Il fatto che poi abbia una professione o un mestiere, oppure possa concedersi la scelta di stare a casa (il dramma risiede in questa mancanza di scelta che è politica e culturale), è secondario. Questo viaggio ch'ella compie assieme a una figura maschile, che compie lo stesso lavoro spirituale in completa complementarietà, crea una relazione d'affetto e di cura reciproche diversa da ogni altra coppia ma simile per tutta una serie di piccole caratteristiche che corrispondono alla femminilità e alla mascolinità. Questa complementarietà è necessaria perché i figli e le figlie nutrano il loro spirito di tutte quelle diversità che fanno della femmina una donna e del maschio un uomo. Perché la femmina affini la maternità e perché il maschio affini la paternità. 

Nella fiaba di "Bianacaneve" il Guardiacaccia è paterno, Grimilde è l'antitesi della maternità. E qui sfatiamo il mito: madre e padre lo sono al di là della biologia. Generare spesso non è diventare genitori. Giusto per capirci.

Se io avessi avuto a che fare con delle donne che erano ferme nella loro femminilità, sarebbero accadute cose ben diverse nella mia vita. E non mi si venga a dire che grazie alla durezza delle esperienze da me vissute sono diventata quella che sono, perché non rispondo più di me. Avrei veramente fatto a meno di molte piccole sofferenze che mi hanno condannato a una vita fatta di psicoterapia (e ringraziamo il Cielo che ho conservato la Fede). In entrambe le situazioni sono mancate relazioni equilibrate date primariamente dalla forza che proviene da una donna serena nel proprio ruolo che accoglie ciò che la vita le pone davanti, sostenuta dalla controparte maschile della famiglia in un rapporto di sostegno reciproco faticoso ma con lo scopo di mantenersi amorevoli vicendevolmente.

Quando io stiro o riordino, ascoltando conferenze o chiacchierando al telefono con le mie amiche che allattano o, come me, puliscono casa, non faccio la colf, ma con serenità rendo ospitale la mia casa. Lo faccio per mio marito, il quale non disdegna di aiutarmi con le faccende più noiose e che non mi riescono per causa di forza maggiore (le mie vertigini mi impediscono l'uso di scalei o sedie per arrivare in alto), e per i miei figli, che amo immensamente e che sto educando al dover tenere riordinata casa per il rispetto della convivenza e dell'ordine mentale. Come quando tiro fuori il servizio da the o il servito del matrimonio dei miei nonni per rendere una tavola esteticamente più delicata, facendo sì che l'ospite si stenta sempre un 'ospite di riguardo': è una gioia rimepire il cuore e gli occhi di piccole bellezze. La situazione che più trovo arricchente dal punto di vista affettivo, è però quella che avviene quando le mie amiche mi aiutano a sistemare dopo una bella cena assieme, facendosi carico delle piccole faccende. Lo facciamo insieme, chiacchierando, scuotendo tovaglie e asciugando bicchieri. E questo io lo faccio in casa loro, e loro a casa mia. Come quando, a casa per visitare una puerpera, mi sono fermata a sistemare l'acquaio o a dare una riordinata alle stanze da bagno o a rifare i letti. Questa cura verso l'altro, tentando di accoglierlo, non è "fare da colf", ma banalmente essere amche, sorelle, in un ritorno all'essenzialità delle relazioni. Il che non è prerogativa solo femminile, è vero (Lillo ama organizzare cene con gli amici durante le quali sta solo al barbeque per solleticare le papille gustative degli ospiti, ma non coglie la bellezza del riordino "chiacchiericciato"), ma certamente - nelle giornate della vita familiare - caratterizza le donne. 


Due parole, infine, sulla Figlia G, cresciuta a "Tantabebe". Che sia anche per la forza del Guardacaccia nel violare le indicazioni della narcisista Grimilde, che non ha mai temuto di qualificarsi contro l'aborto e ora studia Bioetica in un mondo che va verso il transumanesimo? O forse è stato a due anni e mezzo, quando fresca del "Libro della Giungla" rispose "Io non begno" (io non vengo) al papà che la richiamava verso casa?