Che tanto spettacolare non è assolutamente.
«Come è oramai stabilito scientificamente, non c'è un genere più portato alle professioni di cura!!» è la frase conclusiva pronunciata dalla Nostra.
Ma che diamine sono le "professioni di cura" ed è vero che non hanno "genere"?
Maestro Giovanni Gibelli (1904-1999) |
Chi era costui? Questo signore è stato il maestro elementare del Nonno Gianni presso le scuole di via Palermo a Milano, negli anni '30 (il Nonno nacque nel 1927). Ne ho ritrovata la foto tra le migliaia di ricordi che custodisco. Il Nonno ne parlava con affetto.
Solo una persona corta di memoria può non sapere che nel passato le scuole elementari e medie non erano i ginecei che sono diventati ora. Sì perché da qualche decennio io vedo solo maestre e professoresse. Pochissimi i docenti uomini, presenti soprattutto alle medie.
In tutto io ho frequentato ben tre scuole magistrali a cavallo con la riforma delle scuole superiori quando divenne obbligatoria la formazione quinquennale: eravamo tutte donne in tutti e cinque gli anni. All'epoca noi venivamo formate per diventare maestre di scuola dell'infanzia, mentre agli istituti magistrali si formavano le insegnanti delle elementari. Dopo le scuole venne la riforma che obbligava la frequenza dell'Università: scienze dell'Educazione (triennale) per chi avrebbe insegnato nelle scuole dell'infanzia, scienze della Formazione Primaria (quinquennale) per chi avrebbe insegnato alle scuole elementari. Fu poi definitivamente fatto il cambiamento in Liceo delle Scienze Umane (l'appellativo "scienze" mi ha sempre dato l'idea di qualcosa di asettico) e in Corso di Laurea in - daccapo - Scienze della Formazione (chissà che fine faranno questi laureati quando non esisteranno più bambini...).
Quando noi della scuola magistrale prendemmo la maturità presso l'istituto magistrale di Firenze, i maschi erano molti di più ("molti" è un eufemismo: al massimo erano tre in classi di 25), noi eravamo solo ed esclusivamente femmine. Mi pare ovvio: se da una parte le educatrici della scuola dell'infanzia (noi frequentavamo per il tirocinio anche gli asili nido dove avvenivano discussioni "a cappello in terra" su chi avrebbe passato il tempo coi piccini della sezione lattanti) si trovano in una posizione spesso materna nei confronti dei bambini (a tre anni non tutti si ricordano di fare pipì nel gabinetto, alcuni usano il ciuccio, altri si addormentano dopo pranzo), chi invece si rapporta con bambini a partire dai sei anni circa, ha a che fare con bambini che - chi prima, chi dopo - debbono concludere la prima classe che sanno leggere e scrivere. Quindi prima dei sei anni c'è sicuramente un'abbondanza di "istinto materno" (esiste ancora? È legittimo possederlo e mostrarlo per le giovani donne o vengono bacchettate di essere delle future "schiave del patriarcato" dalle docenti favorevoli alla parità di genere?), mentre dopo è importante tutta una serie di capacità (di ascolto, di empatia... e naturalmente una dose di autorevolezza non indifferente). Capacità che hanno anche gli uomini, ovviamente, in modo diverso rispetto alle donne (ovviamente, mi viene da commentare di nuovo).
Nel fantastico libro di Giovanni Mosca, Ricordi di Scuola, si racconta di una scuola dove di insegnanti uomini ce n'erano tantissimi, soprattutto - ma non era una regola scritta - in classi maschili. Quindi, esattamente, la dichiarazione della professoressa di cui sopra, pare peccare di difficoltà di memoria: i mestri c'erano, eccome. E tanti di loro hanno certamente lasciato il segno nel cuore dei loro allievi.