giovedì 28 novembre 2024

Tutte le mamme amate, amano

Ero studentessa, ma ero già mamma. Un pezzo di strada l'avevo compiuto con fatica poichè avevo avuto una figlia da giovane e con tutta una serie di aspettative disilluse (cesareo, non allattamento, abuso del cosiddetto "Metodo Estivill"), e un figlio che aveva aiutato la mia autostima a ricredersi (parto vaginale, allattamento più lungo e bedsharing).

Lei era una giovane donna, incinta di qualche settimana, pancia piccola piccola. Aspettava che le facessero nascere suo figlio. Il primo era mancato a termine della gravidanza. Questo lo voleva vivo con tutta se stessa. 
Durante la gravidanza aveva avuto mal di schiena. Fitte, dolore, fastidio. In fine suo marito disse basta e la portò in ospedale. Il medico ginecologo attestò la gravidanza in uno stadio iniziale: il suo secondo bambino c'era e il suo cuore batteva veloce. Ma quel dolore non passava con le flebo di antidolorifico. Fu chiamato l'anestesista che fece una visita accurata con il ginecologo. Ad un tratto i loro sguardi si incrociarono. Io ero lì, ma troppo inesperta per capire. 
Volarono a fare una risonanza.

Carcinoma osseo. Quarto stadio.

Non sapevano come dirlo alla coppia di futuri genitori. Io fui mandata fuori per privacy. 
Le cure sarebbero potute essere solo palliative. La scelta tra interrompere la gravidanza o meno era superflua: la mamma di quel bambino sarebbe vissuta poco lo stesso. Furono approntate le cure possibili, e poi l'attesa di quel bambino fu interrotta quando i neonatologi diedero il via libera. Il bimbo nacque piccino picciò, ma vivo. Mamma lo vide un paio di mesi, poi si spense in terapia intensiva.

C'è una landa di dolore inspiegabile che nessuno di noi potrà accogliere con serenità: la morte inspiegabile, quella incalcolata, quella ingiusta. 

Quella coppia non era cattolica, non ci sono stati funerali religiosi. Eppure quella coppia ha deciso di dare a quel bambino la gioia di stare pelle a pelle con mamma qualche istante. Dal canto suo, mamma, non aveva un briciolo di prospettive: ci sono tumori che si possono curare, altri che si possono rimandare, altri che se ne vanno e non tornano. Quello stadio, quel tipo di tumore, non lascia scampo. 

C'è chi additò la scelta della donna come egoista: far nascere un bambino orfano di madre! C'è chi sentenziò la scelta della coppia come assurda: lui, il padre, si godrà il bambino... C'è chi giudicò con dolcezza la scelta della mamma perchè si sacrificò per il figlio.

Ecco: qui bisogna stare molto attenti. Il messaggio è delicatissimo. 
Tutte le mamme farebbero di tutto per i loro figli, ma il "di tutto" spesso non è qualificabile: a seconda di che opinione una donna possiede su di sé e sulla sua idea di essere madre, il "fare di tutto" cambia in modo complesso e la scure del giudizio non va calata su nessuna scelta: è l'azione da considerare, non la persona (cosa che dalle mie parti dovrebbe essere chiara, dovrebbe)...
Se la donna è sola, come spesso accade, non è detto che scelga la vita del figlio: che fine farà quel piccolo, quando ella mancherà? Se la donna ha una famiglia alle spalle che la spaventa sulle sorti del bambino, non è detto che se la senta di tenere quel figlio... Se la donna ha come unico "sostegno" un familiare malato, fragile o disabile, chi potrebbe occuparsi del piccolo? 
Nessuno mai può sapere che fine grama o meno può fare un figlio se mamma viene a mancare. E di fronte a una sentenza di morte certa come quella di un tumore, magari in stato avanzato, ci sono mamme che potrebbero rinunciare alla maternità anche solo per timore che il figlio finisca in una casa-famiglia o in orfanotrofio (nei Paesi dove esistono ancora).
Amare un figlio, fare "di tutto" per lui, non è semplice in una società fatta di poco amore. E una donna che si sente poco amata, concretamente, non ce la fa sempre ad amare comunque. L'aver abbandonato la fede o l'averla vissuta come un peso e non come un gioia, ha reso fragilissima la certezza di essere figli di un Padre che ha dato suo Figlio per salvare la nostra anima. Questa certezza, di non essere amate, rende la vita di tante persone, vuota, incomprensibile, imperscrutabile e senza futuro.
 
Cosa succede nella mente di una persona qualunque che riceve una diagnosi di morte certa entro breve tempo? Non posso rispondere. Non lo so. 

Quello che so è cosa c'è nella mente di una donna che si trova incinta. Tutte le donne, anche quelle che la gravidanza l'hanno desiderata, cadono in preda a confusione: è normale. La fisiologia vuole che mamma faccia spazio. La cultura ha reso l'inizio della gravidanza un terno al Lotto perchè molto dipende dal padre del nascituro, dai nonni del nascituro, dal posto di lavoro della mamma del nascituro, dalla situazione familiare della mamma del nascituro e, non per ultima, proprio dalla madre. 

Che potrebbe avere paura. Che potrebbe essere sola. Che effettivamente potrebbe non essere amata.

Certo: ci sono mille motivi per i quali una donna può scegliere di accogliere una gravidanza, ma ce ne sono altri, molti meno ma talvolta ingiudicabili, che potrebbero far optare per interrompere la gravidanza. Queste donne vanno sostenute, aiutate, non fatte sentire sole e, possibilmente, vanno amate, cercando di accogliere loro e i loro bambini.

Pensare a una diagnosi di malattia, con possibili cure che non si possono effettuare perchè c'è un bimbo nella pancia, è molto difficile perchè sono situazioni di patologia. Situazioni, quindi, non fisiologiche e il cui approccio salutogenico è del tutto parziale e improbabile. 

Penso alle donne che hanno avuto l'istinto, il moto di compassione verso la creatura nel loro ventre. Al di là delle donne che hanno un cuore denso di fiducia verso il Padre, che sentono di poter fare la Sua volontà stando dove si trovano e, per dirla alla "psy-maniera", tenendo una forte centratura (che di per sé è una conquista difficile per tutti), molte altre donne vivono in bilico mille fragilità. Si pensi alle donne che accolgono un bambino che sanno essere disabile o fortemente disabile: sarebbe giusto che a tutte le madri fosse offerto l'appoggio perchè una scelta del genere fosse automatica e spontanea, ma così non è. 

Tante volte ho pensato a che fine avrebbero fatto i miei figli se io fossi mancata quando i primi due o i primi quattro erano piccoli. Certo, un padre lo hanno e lo avevano, ma senza nulla togliere allo Sposo che è un'ottima persona, dal punto di vista prettamente educativo sarebbero stati alla deriva. Adesso è abbastanza severo, ma venendo da una famiglia lassista ai limiti dell'anaffettività, mi ha spesso confermato che per lui non avevano senso i miei "no" e i miei limiti. Adesso, vedendone gli effetti, lo capisce, ma anni fa proprio no. Quindi in quei momenti di riflessione mi dicevo sicura del fatto che la mia eredità educativa sarebbe andata alla Tata e a nessun altro (nonni compresi). Ora e solo ora sarei serena perchè ho i primi quattro sufficientemente grandi: non mi preoccuperebbe lasciare i più piccoli perchè sarei certa che sarebbero curati. La Tata, invece, potrebbe contare solo su di me, e ogni tanto me lo fa promettere: ai suoi figli dovrei pensare io. Promessa che con gioia rinnovo. 

Quindi io sento che la mamma con una sentenza sicura di morte, potrebbe accogliere una vita solo con la certezza che quella creatura sarebbe amata come se lei sopravvivesse. Non è un atto di particolare eroismo, non è sacrificio, è logica e razionalità. L'amore, infatti, prevede proprio - al di là delle emozioni e del sentimento - estrema concretezza. Riconoscendo il gesto di proseguire la gravidanza come il tentativo estremo di poter diventare madri, anche per un tempo limitato, non me la sento di lodare queste donne come se avessero compiuto un gesto di particolare coraggio. Farlo significherebbe condannare tutte le altre alla scure del giudizio negativo, e siccome io trovo necessario tentare si indossare i panni altrui prima di indicare, preferisco sinceramente affermare che quelle donne che hanno optato per cure più agevoli per poter proseguire la gravidanza, hanno solo seguito la fisiologia, usufruendo delle possibilità mediche per effettuare un percorso salutogenico, e hanno potuto attuare una strada del genere perchè a fianco al loro hanno avuto persone in grado di proseguire la loro genitorialità. 

Vi è l'abitudine di santificare la donna che prende questa scelta, come se fosse sola: invece così non è. E vi è l'errore, a mio avviso, di indicare queste donne come modelli alla portata di tutti. In realtà queste donne che affrontano il declino della loro vita, sono sante come potremmo esserlo ognuno di noi, ovvero perchè hanno accolto il progetto di Dio su di loro. Non da sole, lo ripeto. 

Come quando a me dicono che sono stata brava a partorire dopo un cesareo, come quando vengo giudicata coraggiosa perchè ho accolto sette figli, come quando si complimentano perchè ho allattato a lungo (anche se lì è anche fortuna...), o perchè mi sono laureata con due figli e mezzo. In realtà quello che ho fatto è stato adattarmi a ciò che la vita mi metteva davanti, potendolo fare: non sono sola, ho un marito accanto e molto è grazie anche alla sua presenza. 

Un ultimo accenno: la brava mamma non è martire, sacrificale, perdente e infelice. Questa idea è un messaggio sbagliato, è un obiettivo irraggiungibile, è un traguardo inafferrabile ed è schiavo di una performance, di un voto: la maternità non può essere questo perchè le mamme sono state progettate in un certo modo (chissa da Chi...). Il rischio di beatificare solo le persone che vengono a mancare giovani e in situazioni di sacrificio della propria vita, è quello di rendere la santità una meta per pochi valorosi. In realtà non può essere così, poichè non varrebbe la pena vivere, se lo fosse. Tutti possono essere santi, perchè Dio da a ognuno di noi questa possibilità: ovvero quella di amare. Se poi non ci riusciamo per mille e un motivo, Egli ci accoglie, ci perdona, ci ama. Perchè è un Padre buono. 

Le mamme che possono mettere avanti a loro la vita dei loro figli, hanno dei uomini accanto. Queste donne, queste mamme, possono concedersi di amare al massimo le loro creature, perchè sono amate e perchè sanno con tutto il cuore che quella persona a fianco a loro, sarà in grado di amare quel figlio come se loro fossero vive.