martedì 10 marzo 2020

Lillo, la mia vittoria di mamma

Hai sedici anni. 
Mi pare ieri che la Figlia G, appena duenne, informava chiunque (nel senso di chiunque proprio, pure il fruttivendolo e i vicini di casa) che nella pancia di mamma albergava il "Lillino", ossia la contrazione infantile di "fratellino", in seguito ribattezzato Lillo per l'intera famiglia. Oggi come oggi mi fulmini con lo sguardo quando ti chiamo così, soprattutto di fronte a persone con le quali vorresti non essere messo in imbarazzo (e quindi sai bene che sarà la prima figuraccia che farai con la tua fidanzata: accusami di arteriosclerosi galoppante, non mi offenderò): ricordo con vividezza il tuo sguardo di massimo disprezzo (quello che sapete rivolgere solo alle mamme e solo alle mamme che compiono affermazioni sdolcinate in momenti assolutamente fuori luogo) quando, in preda a collosità materna e a panico da primo campeggio fuori casa, ti abbracciai come se tu stessi partendo per il Vietnam. Ti allontanasti guardingo accertandoti che nessun amico coetaneo avesse visto quello slancio appiccicoso e imbarazzante - non avevi più di otto anni - e dicesti, con sorriso tirato: «Stringiamoci calorosamente la mano». Ecco: a tutt'oggi sei così, anche se, in alcuni momenti di scoramento e stanchezza (miei, non certo tuoi), mi abbracci accertandoti della nostra solitudine (che, in casa nostra, è cercare l'ago in un pagliaio).
Tu sei stato la mia vittoria per tanti motivi: il primo - e più semplice - riguarda il fatto che tu sei nato spontaneamente. La nascita della Figlia G, con un cesareo d'emergenza piuttosto atroce (atroce per come l'ho vissuta io, non per una cattiva gestione dei sanitari), non mi fu d'aiuto. In più mettiamoci le stupidaggini sull'allattamento e l'educazione (dormire separati e orari...) e la frittata fu fatta: arrivai a pensare di non essere tagliata per fare la mamma. Poi arrivasti tu e mi insegnasti un mucchio di cose.

Per prima cosa tu sei stato l'attesa più lunga (toccammo le quarantadue settimane in un'epoca in cui le donne subivano l'induzione a quaranta settimane): il merito fu tutto di uno dei primi medici che decise che tu potevi stare lì ancora un pochino, tenendoti d'occhio, ma senza ansia. Io imparai ad aver fiducia in te, nel mio bambino: tu mi rassicuravi con calci e carezze, quando mi era stato insegnato che solo un medico può decidere se un bambino sta bene. Arrivammo al giorno della tua nascita molto eccitati, io e papà. Stavi per nascere e il papà sarebbe stato con noi. Nessuno ti avrebbe portato via. Il travaglio fu lungo e tu nascesti con l'aiuto dell'ostetrica Flora che ti appoggiò sulla mia pancia, bianco di vernice caseosa, e tu - come più volte ti ho rinfacciato ridendo - mi facesti pipì addosso. Papà era commosso tantissimo e ti baciò immediatamente la schienina e il collino ciccioso. Non facesti storie, ti attaccasti alla poppa, e scoprimmo che tu eri uno di quei bambini che fanno poppate di un'ora e più: ciucciano con calma, godendosi ogni momento. Non è un caso che tu, a tutt'oggi, sia quello che cucina con passione, con attenzione, aromatizzando il pollo con le droghe, assaggiando a occhi chiusi le salse. Sei uno che al cibo ha sempre tenuto. Mangiavi con calma e assaporavi. Ovviamente c'era l'"esercito di consigliatori" che già mi prospettava che saresti stato viziato e mammone, ma - com'era prevedibile - non sei né l'uno, né l'altro.


M'insegnasti che le mamme hanno l'arduo compito di conquistare la fiducia nei confronti del loro bambino: è lui che deve fidarsi di mamma, non certo il contrario. E attraverso la fiducia che la mamma conquista, il bambino si rassicura, sapendo che lui, nella vita e nel cuore di mamma, ha un posto importante. M'insegnasti che le mamme debbono anche fidarsi del proprio bambino: come ti dicevo, Lillo, tu eri lento, poppone, e la prima pappa la mangiasti a un anno compiuto. Certo, come ti ho sempre detto, sei passato dalla poppa alla pappa nel giro di poco, essendo anche uno dai gusti forti (ti prego, basta peperoncino nella pommarola!). Io non ti costrinsi a orari né a ritmi, e tu, adesso, sei un abitudinario fermo nelle sue regole interiori: ad esempio tutti i giorni alle 18 mi chiedi - puntuale - quale sia il menù della sera, gettandomi nel panico. Però sei anche virilmente risolutivo: quando vedi l'ansia a tale domanda, mi dici sempre «Ci penso io!!!» e, inesorabilmente, prepari cene saporite e variopinte (sono le tre del pomeriggio, non occorre, adesso, sistemare il pollo per stasera!).
Mi hai insegnato anche la pazienza: sei l'unico che va dalla Nobis spontaneamente per chiederle se ha bisogno (anche se poi sai bene di tornare sempre con qualche mancia) e hai la pazienza di ascoltare i racconti del Nonno Guido sui nostri avi, anche se spesso sono storie già raccontate: ti piace molto sapere di avere nel sangue condottieri e persone dalla fibra morale piuttosto forte (come il nonno del nonno Guido, che fu soprannominato "lo Shindler di Milano" durante la guerra). 
Hai affrontato con coraggio le tue difficoltà, in barba a chi mi ha sempre detto che assecondandoti ti menomavo: ricordo quando la maestra mi diceva che non eri normale a disegnare soldatini, e che non ce l'avresti mai fatta a scuola perché sei pigro. Mi ci volle un anno di educazione parentale per capire le tue difficoltà nello scrivere e tutto ciò che, invece, ti ha fatto imparare tanto nelle materie che sono le tue preferite: ore di documentari di storia ti hanno fatto diventare un esperto della storia del ventesimo secolo, tanto che anche la Figlia G - vincendo la consueta ritrosia a chiedere aiuto - ripone in te la massima fiducia. Per non parlare delle ore di partite solitarie a Risiko: sei forse l'unico che sa la capitale dell'Ucraina, del Lussenburgo e dell'Estonia. Nonostante la tua timidezza, sei riuscito a dire ad alcune docenti delle scuole medie che tu, anche se sei maschio, non picchieresti mai una donna. Sei sempre stato uno scout allegro e responsabile e questo si dimostra facilmente perché i tuoi squadriglieri, nonostante tu li torturi volentieri (sì, lo so che li schiavizzi), si fidano di te.
Abbiamo avuto tanti screzi e continueremo ad averne perché io pretendo molto da te, riponendo nei tuoi confronti molta fiducia. Abbiamo avuto tante discussioni e ci siamo molto arrabbiati, ma io non dimentico che tu sei quello che quando sto male, non si spaventa di aiutarmi e sostenermi anche fisicamente. Non posso fare a meno di pensare e di ringraziarti di tutte le volte che ho avuto bisogno di avere un uomo che sostituisse il papà quando questi non c'è stato: non hai mai permesso alle sorelle di uscire col buio da sole, offrendoti sempre di andarle a prendere o accompagnarle. Dai per scontato di essere colui che esce di casa a buio per portare fuori la spazzatura. Quando è capitato che scattasse l'allarme di casa la notte, sei sempre sceso ad accertarti che tutto andasse bene. Non ti tiri indietro quando tua sorella ti impone, con la sua solita grazia ed eleganza, di accompagnarla a vedere un film perché le sue amiche non possono, anche se vorresti magari stare a letto a giocare coi tuoi giochini sul cellulare. 
Le tue piccole difficoltà sulla scrittura non ti hanno mai piegato all'uso della tecnologia: hai sempre insistito per imparare a scrivere senza errori e oggi sei soddisfatto di mostrarmi i temi (anche se io continuo a suggerirti di scrivere, un domani, lettere d'amore in stampatello, per la tua amata: così non fraintende) e i riassunti che, se pur con fatica, redigi con invidiabile sintesi (il contrario di tua madre che va abbattuta a pallettoni per farla smettere di scrivere). Sei una persona attiva e hai notevole resistenza fisica: questo lo dimostri portandomi la spesa e offrendoti di andarci tu stesso. Certo, sei proprio un maschio in tutto e tutt'ora un pannolino farcito di qualunque bambino, ti spaventa un po' (e comunque lo so che vorresti utilizzarlo come bomba per giocare tiri vispi ai tuoi amici).
C'è tanta complicità, col tuo papo, tanto che lo so che ti sta insegnando a guidare il quad quando andate in montagna da soli (però sulla neve non andarci con le scarpe da ginnastica che poi mi prendi freddo). Insomma, caro Lillo, come tutti i tuoi fratelli inaspettati, sei stato una continua sorpresa, una cocciuta continua perseverante sorpresa, e nonostante i nostri attriti (lo so che socchiudi la porta della camera quando ti chiamo per riordinare la cucina), so che posso fidarmi di te.
Questo 12 marzo compi sedici anni e anche se sei una spanna abbondante più di me, sei sempre il mio bambino, ricordatelo. 

Sii sempre giusto, sereno, simpatico e affidabile. Ma soprattutto, sii uomo.

Auguri Lillo, la mia vittoria di mamma.

PS: ho sbagliato tante volte, con te. Ho sbagliato come mamma. Ho sbagliato come persona. Ho avuto poca pazienza e spesso ti ho sgridato senza che tu avessi commesso errori, ma solo per stanchezza o incapacità, mie, di affrontare una situazione. Vorrei che tu perdonassi tutti i miei errori passati, comprendendo - con enorme pazienza - che i genitori sbagliano in quanto tali. E continuerò a sbagliare, te lo assicuro. Sono la peggiore madre possibile e sono certa che, se tu avessi potuto, non mi avresti scelto. Però Dio ti ha affidato a me, fidandosi (per me è un mistero come possa continuare a farlo). Perché ti abbia affidato a papà non è certamente un mistero. Sono io quella che è incasinata e piena di dubbi. Comunque ci sarò sempre, per te. Con tanto amore.