«Posso uscire coi miei amici?»: quante volte un genitore si sente rivolgere questa domanda da un figlio o da una figlia?
A partire dall'ingresso alle scuole medie, un po' perché comincia un interesse verso ciò che c'è fuori di casa, fuori dalla famiglia, un po' per i compiti che sono un modo per confrontarsi (mai come ripetere al compagno, aiuta nel ripassare la lezione), la richiesta si fa costante e spesso pressante.
Durante la prima settimana di scuole medie, al Lillo fu propinato - nel gabinetto dei maschi - un filmetto porno di pochi fotogrammi. Lillo me lo disse subito e mi raccontò tutto il subbuglio che aveva provato (attrazione e repulsione, comprensibile alla sua età), tuttavia la madre del compagno fu molto morbida... «Che vuoi - disse - sono ragazzi». Eh no, pensai: non sono ragazzi, sono bambini di undici anni. Bambini ai quali viene regalato, dopo poca insistenza e con il mantenimento di promesse piuttosto semplici da portare avanti (chi mai più viene bocciato alle elementari?), un cellulare superaccessoriato con internet e tutto il resto. Fu a quel punto che ci dicemmo, con il mio sposo, di fornire Lillo di un telefonino con internet (ci serviva il poterlo tenere d'occhio con maps per via che usava spesso la bici per andare e tornare da scuola), ma con le applicazioni bloccate. Applicazioni che a tutt'oggi ha sempre bloccate (prima superiore). Applicazioni che sbloccheremo quando saremo tranquilli. Gli abbiamo sbloccato what's app alla quale io posso accedere in qualunque momento, soprattutto da quando Lillo ha amiche femmine.
Io sono una madre che molte "colleghe" mamme definirebbero cattiva. Avendo tanti figli, scelgo che attività fargli fare extrascuola: durante una discussione virtuale mi sono sentita dire che i figli costano e che io, impedendo ai miei di divertirsi (corsi pomeridiani di lingue, musica, ginnastica, sport agonistico e corsi estivi di ogni sorta di attività) sono una madre pessima: «Meglio fare due figli e dare loro tutto, piuttosto che farne tanti e non dare loro nulla», mi è stato fatto notare (e mi viene segnalato spesso). In realtà i miei figli non mi hanno mai chiesto di frequentare tante attività fuori casa: a parte gli scout e il catechismo - che però non classifico come "attività" ma come "istruzione e passatempi" - nessuno mi ha mai chiesto molto di più.
Se è capitato dire di "no" a un corso? Sì: mi è capitato. Cigols amava molto frequentare un corso di ginnastica, ma ha dovuto scegliere tra quello e pianoforte perché entrambe le attività erano dispendiose e occupavano il tempo. Senza alcun rimpianto ha fatto la sua scelta e sinceramente mi ha pure detto, a otto anni, che non trova giusto che i suoi compagni passino ore e ore fuori casa a far spendere soldi ai genitori e che lui, a casa a giocare coi fratelli, si diverte comunque tanto. Mi sono sentita in colpa? No, perché dire di "No" non è un 'peccato mortale della genitorialità' allorquando quella risposta è motivata e spiegata e si guadagna tempo in relazione genitore-figlio enunciando le proprie ragioni. Certo, anche Lannina avrebbe gradito molto il corso di danza classica, ma anche il corso di lavorazione della lana cardata e un corso di chitarra. Ha dovuto scegliere e, se è stato traumatico e angosciante, non si è notato. Lillo è nella fase palestra-corsa-nuoto-pesi-muscoli e insieme alla sua cricca di "testominchionici" (il soprannome è coniato da me) hanno scelto la frequenza della palestra meno costosa anche se lontana (camminare però riscalda i muscoli). Per quanto attiene l'acquisizione delle lingue sarò tacciata di essere perfida: io non credo che sia fondamentale spendere soldi in viaggi studio (viaggi che lo Sposo non consentirebbe a meno di munire i figli di GPS con drone sempre sopra la testa e telefono satellitare) e quando la Figlia G si è trovata scegliere le scuole superiori e "optare" per il linguistico (ossia tra l'Artistico e il Linguistico, io ho scelto il Linguistico acciocché imparare a rollarsi le canne non la considero materia di studio intelligente), mi ha solo richiesto l'aiuto iniziale di un'insegnante madrelingua molto carina che, essendo in pensione, non mi chiedeva cifre esorbitanti. In quinta superiore la Figlia G legge scioltamente in inglese e comprende film in lingua originale: diciamo quindi che la lingua l'ha assorbita. Io sono una di quelle madri che crede che per imparare una materia ci voglia un buon insegnante (che fa appassionare alla materia, dà delle dritte e una buona infarinatura) e, soprattutto, molta volontà che, di per certo, non si acquista su Amazon. Viceversa sono una di quelle madri che sospetta che dietro ai viaggi-studio (per non parlare dei vari Erasmus) ci sia un giro di soldi e molta politica di sradicamento delle radici. La mia perfidia è infinita, evidentemente.
Approfondiamo il discorso sul perché sono giunta alla conclusione che per molti genitori sia terribile confrontarsi coi propri figli al momento in cui costoro fanno richieste, ovvero a partire da ben prima dei cinque anni. Sì perché il tutto inizia al momento della gravidanza, durante la quale l'acquisto di oggettistica per lo più inutile è fatta passare per necessaria: in realtà i bambini non hanno bisogno che di affetto e di contatto, perciò l'unica spesa è un seggiolino per la macchina (si parla di sicurezza). Il resto (abiti e giochi) giunge da amiche e conoscenti che, liete di disfarsi di ogni tipo di oggetto ingombrante, regalano qualsiasi cosa. Risulta molto strano, per me, osservare come un qualsiasi genitore accusi i figli di essere costosi, quando i figli non fanno esplicite richieste se non di affetto e di presenza. Siamo tutti vissuti nello slogan "Il tempo che si passa coi figli dev'essere qualitativamente e non quantitativamente buono", ma in realtà è un mito sfatato dalle prove: i bambini hanno bisogno di mamma e papà e di persone che vogliano loro bene in assenza di costoro e che, possibilmente, si dedichino loro con amore (nonni, tate, zii).
Approfondiamo il discorso sul perché sono giunta alla conclusione che per molti genitori sia terribile confrontarsi coi propri figli al momento in cui costoro fanno richieste, ovvero a partire da ben prima dei cinque anni. Sì perché il tutto inizia al momento della gravidanza, durante la quale l'acquisto di oggettistica per lo più inutile è fatta passare per necessaria: in realtà i bambini non hanno bisogno che di affetto e di contatto, perciò l'unica spesa è un seggiolino per la macchina (si parla di sicurezza). Il resto (abiti e giochi) giunge da amiche e conoscenti che, liete di disfarsi di ogni tipo di oggetto ingombrante, regalano qualsiasi cosa. Risulta molto strano, per me, osservare come un qualsiasi genitore accusi i figli di essere costosi, quando i figli non fanno esplicite richieste se non di affetto e di presenza. Siamo tutti vissuti nello slogan "Il tempo che si passa coi figli dev'essere qualitativamente e non quantitativamente buono", ma in realtà è un mito sfatato dalle prove: i bambini hanno bisogno di mamma e papà e di persone che vogliano loro bene in assenza di costoro e che, possibilmente, si dedichino loro con amore (nonni, tate, zii).
La beffa della socializzazione dell'asilo nido è stata più volte smitizzata dalla sottoscritta: sono piuttosto favorevole alla scuola materna (a tre anni un bambino è più spinto verso il proprio simile), ma non è obbligatoria poiché ci sono bambini che a tre/quattro anni non hanno ancora desiderio di confrontarsi con coetanei. Quindi i figli costano per cosa? Abiti e giochi abbiamo già detto che dipendono dai genitori (se una mamma è una che tiene molto all'abbigliamento, significa che ha disponibilità economiche sufficienti per assecondare i suoi capricci - della mamma - e quelli - acquisiti per imitazione - dei figli), asilo nido e scuola materna possono possedere un costo da valutare (a volte è molto più risparmioso rimanere a casa coi propri figli e casomai tornare al lavoro quando c'è l'età dei figli per farlo, che recarsi al lavoro e pagare perché altri badino ai propri figli: circa la carriera e tutti i discorsi sulla realizzazione della madre, mi sono un po' stufata di ripetere che è necessario combattere una guerra ideologica ed economica verso l'odio nei confronti della maternità, poiché il problema è solo quello).
Alt! Perché poi sorge il problema spese-necessarie-ma-non-necessarie: c'è chi vuole la tata madrelingua, c'è chi vuole l'asilo steineriano, c'è chi vuole la scuola materna con l'insegnamento dell'inglese e c'è chi fa già fare attività extrascolastiche a tre anni. Sono richieste del bambino relative ai suoi bisogni? No. E che nessuno menta, a tal proposito. C'è, e questo me lo confermano le mie amiche educatrici di asilo nido e di scuola materna, un grandissimo bisogno dei genitori di sentirsi dei "bravi genitori", ovvero la famosa sindrome del 'bravo genitore'. Tale sindrome va spesso a braccetto con il 'peccato mortale della genitorialità' poiché il 'bravo genitore' è colui che asseconda tutti i capricci dei figli altrimenti perde la qualifica, e il peso di compiere il 'peccato mortale della genitorialità' non assecondando i capricci dei figli, è in agguato. Ora, la cosa buffa - definiamola in tal modo anche se ci sarebbe da piangere - è che quei capricci che i figli fanno su oggettistica di varia natura o eventi costosi e non necessari (compleanni con animatori eccetera), vengono definiti come necessità (delle quali poi alcune madri si lamentano per via dei costi), i veri bisogni dei bambini (ascolto, contatto, la relazione, la presenza) vengono definiti capricci, ovvero cose inutili, il che è, per lo meno, diabolicamente calcolato.
Lo è in quanto, se improvvisamente domani si destassero dal sonno tanti genitori, ci sarebbe una svolta economica mostruosa: i genitori darebbero ai figli quanto di più necessario al mondo (la presenza) e tutto il resto sarebbe classificato come "interessante ma non necessario". Sostanzialmente, se il materialismo impostoci da leggi del mercato, venisse soppiantato da una vera spiritualità, da un'educazione "tridimensionale" e più profonda, un bambino non chiederebbe nulla di più di quello che sarebbe giusto chiedere e nessun genitore avrebbe problema alcuno a dire di "NO" a una richiesta eccessiva.
Purtroppo invece i genitori temono di perdere la medaglia da 'bravo genitore' e concedono ogni tipo di richiesta: i "NO", se affermati, sono incerti, tremebondi, pronunciati con incertezza. Va da sé che non siano assolutamente fermi né irremovibili. Come se pronunciare quel "NO" per l'ennesimo gioco, per la festa dell'amichetto in quella stanza vuota munita di casse con musica terrificante e un animatore, fosse un punto in meno agli occhi del figlio.
E invece qualche "Sì" farebbe tanto bene: quel "Sì" all'affetto, alla cura, al tempo per stare assieme, all'impegno di andare d'accordo col proprio coniuge. E invece per queste cose è il "NO" sicuro, capovolgendo il buonsenso.
La conseguenza di alcuni divieti non nascondo che talvolta abbia portato, nella nostra famiglia, a qualche lieve rimostranza. Infatti è accaduto che i miei figli piccoli mi abbiano detto che sono cattiva: quando chiedo di riordinare, di finire i compiti, di lavarsi i denti, di riporre gli abiti usati ma in ordine, quando chiedo di sparecchiare o di stendere i panni... Non nego che la scena che a volte capita sia molto simile a questa ricevuta da Rossea O'Hara e la mia risposta abbia avuto il tono sarcastico del protagonista di Via col Vento.
Ammetto, tuttavia, di non possedere il fascino di Clark Gable. Né i baffi.
Riveduto e corretto giugno 2025