Un ventennio fa, ammettere che nel mio carattere ci sono aspetti che ho acquisito dai miei genitori, sarebbe stato una sconfitta. Da brava e diligente studentessa del corso "Tutto, ma non come i miei genitori!" con approfondimenti in "Se i miei hanno fatto così con me, allora faccio il contrario", la strada che ero decisa a perseguire era quella - pseudoadolescenziale - del fare tutto in modo diametralmente opposto a come avrebbero fatto i miei genitori. Così, giusto per partito preso. Come dire GNE GNE GNE, SPECCHIO RIFLESSO, CICCA-CICCA!
Ho sempre pensato che gli adulti siano ben più capricciosi dei bambini, più profondamente viziati, più 'battoipiedifinchénonottengociòchevoglio', dei poveri neonati che da secoli vengono torturati con misure diseducative ideate - probabilmente- da individui con problemi psichici di sadismo.
Il trauma più grosso, in tutto questo contesto, è stato riconoscere nei miei figli i medesimi spunti caratteriali dei miei genitori e reagire guardandomi allo specchio pronunciando parole sconclusionate che assomigliano più a dei muggiti di vacche in agonia, scuotendo la testa come mufloni attaccati da mosche di montagna.
Quando poi ho iniziato a comprendere che i cromosomi non sono noccioline e che era necessario far pace con tutti quegli immondi difetti che mi facevano voltare verso lo specchio più vicino, solo per il piacere di sputarmi da sola in faccia, ho fatto il passo verso il chiosco dello psichiatra (non quello di Lucy van Pelt). Non è stato semplice: affrontare il modo di sgridarmi di mio padre (del quale ero terrorizzata, da piccola, perché è alto e ha una voce mostruosa quando urla) e capire che era il medesimo modo che io ho/avevo di sgridare i miei figli, che non solo poi prova(va)no il mio medesimo terrore di bambina, ma probabilmente mi odia(va)no nel medesimo modo in cui io odiavo mio padre, mi ha fatto percorrere una strada in salita. Per non parlare della ricerca costante di un autolesionismo in ogni salsa e per tutte le stagioni, trasmessomi da mia madre. E, da questa, la vocazione - tra l'laltro ammirabile nella sua costanza - ad applicare ogni principio educativo contrario a quello vissuto da figlia, sapendo che quello era il medesimo obiettivo di mia madre quando mi ha cresciuta (ovvero anch'ella decise di essere madre completamente differente dalla sua, col risultato, infondo, di assomigliarle e soffrirne tantissimo), incluso - nel pacchetto - anche il fatto di sentirmi oltraggiata quando uno dei miei figli mi faceva notare di assomigliarle in modo quasi sovrapponibile.
Insomma, la situazione era drammatica: ero assomigliante a due genitori i cui enormi difetti mi erano stati trasmessi senza il mio permesso e senza consenso informato (oramai lo chiedono pure dal parrucchiere). Inoltre non solo ingigantivo il problema cercando pedissequamente di oppormi o attuare stratagemmi per apparire completamente differente a loro, ma ero terrorizzata (non scherzo: terrorizzata!) dal fatto che i miei figli trovassero il modo di farmi perdere le staffe accusandomi di assomigliare in ogni minimo aspetto negativo, ai più spregevoli difetti dei miei genitori (carini, gli adolescenti). Come se non fosse bastato, ovviamente, mi trovavo a versare lacrime amare su ogni minima somiglianza tra i miei genitori e i miei figli.
Era ovvio che non potessi continuare così.
Era assurdo e controproducente.
Così mi misi di buzzo buono. E non è stato facile.
Prima ho dovuto analizzare la mia infanzia e la mia adolescenza: ho dovuto far pace con eventi, parole, fatti, discorsi, atteggiamenti, decisioni che hanno cambiato la mia vita, angosce, fantasmi... Poi ho dovuto guardarmi allo specchio.
Perdonare decisioni, innanzi tutto. E non solo decisioni mie che hanno avuto conseguenze su di me e basta, ma decisioni prese "serenamente" magari con mio marito, che hanno avuto conseguenze su figli e su tutta la famiglia.
Questo lavoro di cesello, è stato lunghissimo. Sembra, ma arrivare a dire che si odiano i propri genitori per cui si odia tutto ciò che siamo noi in quanto figli loro, giungere a dire che anche loro sono stati figli con vissuti spesso di sofferenza, di complessità, di rielaborazioni di errori altrui, passando attraverso a tutta una scala di emozioni che va dal sentirsi con le spalle al muro, al sentirsi forti e in grado di vincere battaglie, per poi risentirsi vermi che strisciano nella melma, non è una passeggiata.
Si passa attraverso crune di aghi sottili e che bruciano, voragini ghiacciate e incubi a occhi aperti. Ho versato lacrime nei momenti e nei luoghi più diversi: di fronte al banco frigo, sulla spiaggia invernale, nell'area sosta dell'autostrada pregando di avere il coraggio di buttarmi dal cavalcavia, nel silenzio della notte, durante la consacrazione, ascoltando brani di musica della mia infanzia, facendo associazioni di idee cretine mentre i figli erano sulle giostre... insomma, un delirio. Anche perché, mentre viviamo tutte queste situazioni, facciamo le mamme: sorridiamo, consoliamo, educhiamo, aiutiamo per i compiti, andiamo alle recite di fine anno, partoriamo, puliamo sederi caccosi, somministriamo vitamine, facciamo la spesa, puliamo i gabinetti, colloquiamo con insegnanti, organizziamo pranzi e cene quotidiane, pensiamo a natali, compleanni, pasque e facciamo le valigie per le vacanze.
Le volte che ho pensato che avrei fatto molto meglio, per tutti i miei figli, a togliermi di mezzo, sono state interminabili. Le sedute di fronte al Santissimo Sacramento per chiedere uno spiraglio di luce, un piccolo schema, un libretto d'istruzione (o di distruzione), sono state tante (ovviamente di fretta quando avrei voluto sostarci col sacco a pelo).
Poi è arrivato.
Come un fulmine a ciel sereno.
Il perdono a loro: i miei genitori. Mentre andavo a costruire dei limiti nel mio spazio, per gestire la relazione con entrambi singolarmente, è arrivato di soppiatto il perdono. E anche la pena. Certo, nessuno di loro mi ha mai detto chiaramente che era dispiaciuto, soprattutto del caos derivante dall'incapacità di mettersi umilmente di buona lena per migliorare il loro matrimonio (anche solo per il mio benessere), ma io l'ho capito lo stesso. L'ho compreso quando ho potuto misurarmi con tutte le volte che ho pensato al fatto che ho davvero fatto male a sposarmi, l'ho capito quando ho fatto un passo indietro nel prendere a sassate mentali mio marito, l'ho accettato quando mi sono perdonata comprendendo chiaramente che io valgo ogni goccia di sangue che Gesù Cristo a versato per me.
Giungere a dire «Io sono fatta così perché sono figlia dei miei genitori, che hanno sbagliato, ma che io ho la possibilità di perdonare, accogliendomi» non è semplice. Talvolta dà la nausea, fa venire i conati di vomito, ma è possibile farlo. Male che male, i nostri genitori ci hanno messo al mondo e ci hanno consentito di ricevere in dono i nostri figli. Certo, ci sono genitori che uno può perdonare solo se recide i contatti per sempre: alcuni di questi sono persone talmente perfide e malate di narcisismo, che si deve - per sopravvivere - tenerli ben lontani. Questo non significa, però, che non possiamo benedirli. Quando l'amicogiova mi disse che io dovevo far lo sforzo di benedire i miei genitori, non capii. Mi fidai (l'amicogiova è come il vecchio saggio elfo) e cominciai a pregare, la sera, aggiungendo - povero Signore, quanta roba gli ho chiesto - di benedire mia mamma, mio papà e la mia nonna (la perfida Nobis: lei è la causa prima di tante sofferenze di mia mamma e mie, infatti è sola negli ultimi anni della sua vita), oltre che mio marito e i miei bambini. Col tempo è divenuta una litanìa. Benedire qualcuno significa, per me, augurargli di sentire l'amore di Cristo, percepire l'immenso calore dei suoi abbracci e capire l'enorme valore di figli.
È forse finita lì?
No, il lavoro è quotidiano.
Alti e bassi.
Su e giù («Qua e là, questo il mondo fa girar...» direbbe il mago Merlino)
Ma se uno prende con sé la sua croce - cosa che Gesù Cristo ha fatto dopo essere stato fustigato per ore, picchiato, colpito da oggetti affilati e prima di essere stato crocifisso - e Lo segue - magari tentando solo di toccare il lembo del Suo abito come l'emorroissa - ne trae il massimo.
Con calma.
Accogliendo quotidiane difficoltà.
Accogliendosi.
Attualmente, quando uno dei miei figli mi dice, giusto per dileggiarmi, che assomiglio a mia madre o mio padre (e spesso alla Nobis), sorrido: è vero. E aggiungo sorridendo: «D'altronde è così».