venerdì 28 maggio 2021

Urlo come una scimmia (sulla pubertà dei figli)

Lo ammetto tra amici, infondo: sono una madre urlatrice. Arrivo a sentire male alla gola, quando sgrido i figli. Hai voglia di aver letto libri sulla comunicazione non violenta, sull'ascolto attivo, sulla comunicazione empatica, sui linguaggi dell'amore... Ci sono situazioni che mi fanno uscire dai gangheri. E di tali situazioni proverò a parlare qui, tra pochi intimi.


Tutti i libri che esistono sull'amore per i figli, possono avere un'utilità: quella di usarli per accendere il camino. A parte gli scherzi (lo specifico perché lo Sposo è invaso di pubblicazioni e talvolta mi domanda se sia necessario che io tenga tutto quello che leggo), ho letto tantissimo della relazione madre figli e, a parte qualche orrida pubblicazione che fa del neonato/bambino un avversario della madre, molte di queste servono per far comprendere alle mamme e ai papà che i bambini hanno bisogni fisiologici da rispettare, tempi di maturazione psichica da accogliere, difficoltà da sostenere, e che la vita della famiglia dipende dal fatto che i rapporti che legano ogni componente, hanno bisogno di tempo per supportarsi e sopportarsi. 

Però le mamme sono sole. Una volta si diceva "solo come un cane", ma abitando a fianco a un "fazzoletto" pubblico dove tanti cagnolini vengono portati a sgranchirsi le zampe, posso garantire che i quadrupedi stanno molto meglio delle mamme. E di mamme ne conosco a palate: c'è quella col marito adolescente che non ha voglia di lavorare e i genitori anziani dei quali occuparsi; c'è quella che lavora e ha tre bambini di cui due disabili ed è sola; c'è quella con un bambino gravemente disabile, ma che deve lavorare otto ore al giorno; c'è quella col marito che lavora tutti i giorni della settimana e non può esserle d'aiuto coi quattro figli; c'è quella con la madre sessantottina che la umilia perché lei ha voluto fare "solo" la mamma; c'è quella che ha aspettato anni per un bambino e poi ora vive per quello, ma il marito l'ha lasciata per la ventenne; c'è quella con tre figli, abbandonata dal marito che si è riaccompagnato, ma il costui ha pensato bene di fare un figlio con un'altra e insieme non se ne possono occupare perché non sono in grado, quindi la mia amica fa da mamma anche a una figlia non sua; c'è quella con il figlio che vive sui social e pensa davvero di poter diventare donna... Insomma: ho un certo sguardo sulla quotidianità di diverse mamme. Ebbene: tutte queste sono sole. 

La solitudine non è granché contemplata come situazione diffusa, forse perché sta male ammettere che le donne sono state aiutate a slegarsi dal focolare domestico (ah che schifo quando ce ne stavamo in casa coi bambini, gestendo noi la famiglia e chiacchierando tra donne, sostenendoci nelle immense difficoltà, mentre gli uomini stavano fuori di casa a spaccarsi la schiena) sostanzialmente perdendo ogni minima briciola di competenza sulla gestione dei figli e abbandonando tutta quella serie di prerogative femminili che facevano del vivere nella povertà, momenti di gioia. Certo: grazie a Dio le donne hanno combattuto per frequentare l'università, sono diventate professioniste, ma com'è successo per gli uomini (ovvero il fatto che nessuno più vuole fare lavori umili o mestieri semplici perché bleah che schifo fare il ciabattino, il maniscalco, il contadino, lo spazzino), le donne hanno concluso che sia meglio per loro starsene fuori casa alle dipendenze di ditte che fanno firmare dimissioni in anticipo se dovessero rimanere gravide o sottoporsi a stress come trasferte lontano da casa lasciando i figli ad altri, piuttosto che rimanere coi figli fino a che questi non vanno alla scuola materna (tre anni, eh: non un secolo) perché quest'ultima situazione è "sottomissione", le altre no, quelle sono "realizzazione ed emancipazione". Le mie amiche, quelle di cui sopra, sono tutte figlie di questa ideologia, va da sé quindi che siano inesorabilmente sole nelle loro scelte, additate come "coniglie", fannullone, mantenute, fancazziste e, soprattutto, egoiste. 

Ricordo molto chiaramente quando una maestra della scuola materna de Lannina mi disse, con aria di falsa compassione: «Eh, ma cosa vuoi, poverina: ne hai tre... Come fai a star dietro a tutti?». Per non parlare della prima maestra delle elementari di Cigols che non sapendo come affrontare le sue difficoltà nell'abituarsi a scuola, diede la colpa alla famiglia ("disfunzionale": come un microonde rotto, la famiglia può non funzionare più) e soprattutto (manco a dirlo) a me: oltretutto ero incinta del sesto figlio... una povera imbecille, una deficiente che non sa usare i preservativi... Mi pare pure che mi dissero che sollevò la questione in Collegio Docenti e proprose la segnalazione ai servizi sociali. 
Già, perché poi, l'incubo di tutte le mie amiche, TUTTE, è quella di essere ritenuta una pessima madre. E la conseguenza di questo è che ci vengano tolti i figli. Basta una segnalazione della vicina, basta un'insegnante miope, basta un piccolo difettuccio come l'essere cattolici e ZAN! Assistenti sociali!

Per cui noi mamme terrorizzate dal fatto dell'essere bollate pessime genitrici (vedo le volanti che mi portano via i figli piangenti ogni volta che suppongo di aver urlato troppo forte), ci beviamo testi sull'amore per i bambini, sulla tenerezza verso i figli... frequentiamo corsi online, leggiamo post di psicologhe su facebook, ci pentiamo di aver ascoltato l'ennesima esperta di "disciplina dolce" dire che le sculacciate creeranno danni indelebili nei nostri figli (senza contare poi i sensi di colpa), ci struggiamo di fronte a convegni su youtube dove la psicologa psicolterapeuta fornisce tutto un elenco specifico dei difetti della pessima madre e LI ABBIAMO TUTTI, ma poi la situazione non cambia perché siamo così e vorremmo essere diverse, perché siamo terribilmente uguali a quella stronza di nostra madre, o di nostra nonna, allora giù senso di colpa per aver reagito come lei quando eravamo piccole!!!! AAAAAAARGH!!!!!!!!!

Poi c'è un altro fatto: i libri di "educazione affettuosa" eccetera, si rivolgono a chi ha figli piccoli, ma qualcuno ci prepara ad affrontare quei simpatici anni che vengono dopo l'infanzia («Mamma guarda che bel disegno per la tua festa! Ti amo tanto! Sei la mamma migliore del mondo!!!») ma precedono l'adolescenza («Mammamia non vedo l'ora di andarmene di casa!!») e prendono il nome di pubertà? Quei magnifici anni nei quali il nostro bambino inizia a rispondere a tono alle nostre (lunghe, argomentate, motivate, spiegate, analizzate) richieste (apparecchiare, fare i compiti prima della cena, non urtare il fratello minore ultrasensibile, collaborare per la serenità della famiglia eccetera) ponendo questioni con spocchia, superbia e insensibilità? Quel bel periodo nel quale la figlia femmina sbuffa perché non può andare in giro da sola con le amiche e il figlio maschio sembra essere incollato alla televisione... Quello nel quale, soprattutto, a noi mamme viene detto chiaramente «Sei la peggiore mamma del mondo!» oppure «Sono capitato in una famiglia schifosa!» oppure «Me ne voglio andare di casa!» e altre cosette carucce che ci fanno passare dal Brufen per le emicranie (fino a ieri non dormivamo perché c'erano le poppate) al Maalox per i crampi allo stomaco? 

La pubertà dei figli è la cura dimagrante migliore, del resto: basterebbe brevettarla. Mefistofelicamente io attendo con ansia le pubertà di chi dice che "I figli sono un  diritto" perché sono carucci nelle trine celesti e rosa o arcobalenate (ai miei tempi si comprava il giallo e il verde, perchè con difficoltà si capiva il sesso del nascituro, mo' lo fanno per non addossare alla creatura il peso del proprio genere), così, giusto per godere delle disgrazie altrui.

Ma veniamo a me. 
Vostro onore lo confesso.
Quando i figli sono in età puberale (e per un bel pezzo dell'adolescenza) io urlo come una scimmia. Esco dai gangheri. Minaccio di toglierli dal mondo, di farli tornare da dove sono venuti, di demolire ossicino per ossicino, di sgretolare cellula per cellula, atomo per atomo.
Ricordo il Lillo dodicenne (gradasso, cafone, moralista - con gli errori degli altri -, delatore, dispettoso) che, all'ennesima risposta di mer cacca, si prese 12 (dodici) «BASTA!» a decibel tipo Eurofighter, a 2 centimetri tra il suo e il mio naso. Giusto giorni fa ne discutemmo e lui, ridendo, ha avuto il coraggio di ammettere «Certo che ero proprio stronzo!». Oppure la Figlia G (quella che ora frequenta Bioetica, quella dolce coi suoi bambini del catechismo, quella che fa il bagnetto alla sorellina) che minacciò di scappare di casa... Ecco, dopo tutti questi eventi, io credo di poter essere in grado di affermare i seguenti punti (nulla di che, roba semplice):

1) Non esistono tantissimi libri sulla "pedagogia dolce" durante la pubertà (magari c'è qualche libro di comunicazione) semplicemente perché ci vuole dolce fermezza e perché, molto semplicemente, forse chi scrive libri sulla "pedagogia dolce" nella pubertà, semplicemente non esiste. 

2) E' necessario ricordarsi che la cosa più importante è mantenere la relazione, il dialogo: il silenzio e l'indifferenza fanno morire la relazione. Quindi piuttosto si litiga, si urla, ci si confronta: ma dialogare sempre!

3) Tempo: inutile girarci intorno. Coi figli bisogna starci. Passare con loro del tempo. Se coi figli piccoli non si dorme per le poppate, la pipì, i sogni brutti eccetera, coi figli grandi non si dorme perché bisogna parlare ed ascoltare. Attenzione però: parlare non vuole dire "insegnare" o fare i genitori esperti di pedagogia della vita. I figli hanno già abbastanza gente che vuole infarcire loro la testa (dai prof, ai social): se ci poniamo così, l'audio si stacca. Siccome loro, i figli, hanno voglia di far vedere che sono grandi, ebbene è necessario trattarli come tali. E tra due persone grandi ci si confronta con educazione. Farlo vuol dire essere aperti all'ascolto reciproco.

4) Le minacce non si fanno. Non si ricatta un genitore di scappare di casa, non si fa.

5) Alla dichiarazione di essere madri pessime si alzano le spalle e si riconosce che «d'altronde è così»: questa frasettina chiude ogni tipo di opposizione. Nessun servizio sociale toglie un figlio a un genitore perché questi è banalmente giudicato str noioso dal figlio. Quindi, spiace, ma la famiglia è questa. Nessun figlio mai pensa davvero di avere genitori pessimi, nessun figlio mai giudicherà per sempre pessimi i propri genitori, soprattutto se questi hanno fornito spiegazioni delle decisioni educative ogni qualvolta il figlio le ha domandate. 

6) Parlare dei propri sentimenti, delle proprie paure, dei propri limiti: dire che un figlio ci sta facendo male, che le sue parole ci feriscono e che - magari dopo una lunga discussione - siamo delusi e stanchi dalle offese e dai suoi attacchi, mi è risultato essere spesso il modo più sereno per far sì che un figlio possa capire il punto di vista del genitore. 

7) Dire che non si fa, dire che questo va bene o questo va male perché lo diciamo noi, a un figlio non interessa: siccome la cultura è spesso differente da quello che noi indichiamo ai nostri figli, diciamoglielo chiaramente: noi siamo di questa opinione. Purtroppo lui è capitato in questa famiglia... ma si sa, d'altronde è così. Se mamma di Luigino è più ganza perché gli compra gli spinelli, ottimo per Luigino se farsi gli spinelli è la cosa migliore che vuole dalla vita, ma in casa nostra quella roba è trattata per com'è: droga illegale. Se la mamma di Claretta la lascia tornare a casa a mezzanotte ed è per questo che è una grandissima madre, cavoli di Claretta: tu torni alle 10 e se ritardi di cinque minuti senza avvertire, stai a casa per due settimane (ovviamente le regole si decidono prima).

8) Chiudere la conversazione: «Basta. Ogni tanto basta. Io ti amo, figlio mio, darei la mia vita per te, ma adesso mi hai fatto abbastanza male, con le tue accuse. Non sono più disposta ad ascoltarti» (di solito queste  frasi io le urlo molto forte perché sono stremata). 

9) Coccole: dargli momenti di spensieratezza insieme a noi. Fare due passi. Mangiare un gelato. Rinunciare a qualcosa per noi o per i fratelli, per stare con lui/lei. Non lasciare MAI che possa pensare che viene sgridato o gli viene proibito qualcosa perché non amato. Dirgli che è prezioso, intelligente e capace. Che abbiamo fiducia in lui/lei, ma che il nostro ruolo è di guidarlo. Talvolta è possibile fare qualche confidenza, ai figli, soprattutto ammettendo i propri errori, le proprie fragilità, ma solo se lo scopo è dire che ci siamo passati tutti e che vogliamo evitare che il figlio ripercorra tappe sbagliate oppure che abbiamo capito che i nostri genitori hanno sbagliato con noi e vogliamo non compiere gli stessi passaggi che riteniamo errori educativi.

10) Rinforzarci come genitori. Con tante amiche io sono sempre quella che ammette di aver tirato sberle ai miei figli (poi spesso ho chiesto scusa e ho spiegato che è molto difficile essere aggrediti costantemente: ho motivato parlando dei miei limiti ma aggiungendo che è necessario che io abbia un ruolo non da amico). Quando lo faccio, di solito c'è sempre chi dice che sui manuali c'è scritto che è assolutamente sbagliato, che è da mamme sconsiderate, che è perfido eccetera. Ottimo. Se il presupposto della sberla è la punizione per un voto che avremmo voluto più alto (ci sono ancora genitori così?), allora è una cretinata, ma se la sberla scappa perché siamo stanche, stremate, esaurite, stufe, allora questa è una punizione quasi più per noi. 

Siamo mamme sole in un mondo che presuppone il fatto che essere madri sia uno schifo. Presuppone che per tirare su i figli ci voglia "l'ammore". Presuppone la lettura di testi pieni di indicazioni coi figli piccoli, ma poi tanti esperti (spesso gli stessi che parlano di disciplina dolce e spesso - non sempre - "libertaria") dicono che i figli bisogna lasciarli liberi (di fare qualsiasi cosa???) anche quando sono più grandi... Insomma: è una grande confusione!

Ecco, nella confusione io ho avuto tre ispiratori: don Giovanni Bosco, Daniel Siegel, Jesper Juul, Gesulado Nosengo, Giuseppe Fioravanti, Franco Nembrini, Mariolina Ceriotti Migliarese.

Un piccolo spunto: siamo brave. Siamo brave mamme. Non facciamoci demolire dall'esercito di consigliatori. Abbiamo dei limiti: chi dovuti al passato (mamme problematiche, relazioni problematiche con le mamme, padri assenti, relazioni deludenti coi padri), chi dovuti a se stessa (paure, traumi, solitudine, difficoltà), chi dovuti al presente (difficoltà con il marito, difficoltà economiche e/o lavorative, difficoltà personali anche solo dovute alla solitudine). Questo non significa che sbagliare rovinerà i nostri figli. L'arco della vita di una persona è molto lungo: nonostante gli errori coi figli (quando erano piccoli, quando erano grandini, quando erano adolescenti), se fatti senza volerlo, senza cattiveria ma sempre con l'idea di fare il bene e talvolta per sfinimento assoluto, e ammettendo il fatto di aver talvolta sbagliato, nessun figlio ci odierà per sempre. Il nonno Piero, uno dei sei figli della nonna Lina (venuta a mancare nel '38) mi raccontò di una volta che le prese per errore: mai mise in discussione l'errore della sua mamma, mai mise in discussione l'amore della sua mamma. Banalmente raccontò che aveva ben capito che mamma era stanca e che anche le mamme sbagliano.

La Figlia G sa perfettamente che da piccola ho sbagliato tanto. Quando aveva 9 mesi e piangeva in piedi nel suo lettino, io cominciai a urlare perché ero stanca, non ne potevo più. Le dissi cose orribili tra le quali che io non l'avrei voluta, che era stata uno sbaglio, che volevo tornare indietro... Ricordo che mi dicevano che non era giusto tenerla in braccio e cullarla e questo ci allontanò. Le raccontai questo episodio che ero molto dispiaciuta. Lo feci che aveva 12 anni circa perché lei mi aveva detto che ero una pessima madre. Le dissi che sì, era vero. Che avevo sbagliato, ma spesso non intenzionalmente. Piansi molto, ma lei mi abbracciò dicendomi che mi capiva, che doveva essere stato duro essere giovanissima con una figlia piccola. 

Dei figli dobbiamo poter essere alleati, ma a volte esserlo significa non farsi calpestare dai nostri errori e dalle loro pretese.