giovedì 13 gennaio 2022

Cari pedagogisti e cari psicologi...

Lo confesso. Ho sbagliato un milione di volte e più. Ho urlato e ho sculacciato. 

Tuttavia, prima di proseguire, vado indietro nel tempo. 

Le botte a fin di bene, non esistono. Le sculacciate educative sono un enorme bugia. Ed è vero. Chiunque supponga che una sberla o una sculacciata possano essere educative, sbaglia. E molto. 


Io le ho prese. Ricordo una volta in particolare. Ero stata iscritta a una scuola elementare montessoriana (per chi non lo sapesse: ho studiato pedagogia e la mia sopportazione dell'educazione montessoriana è infinitesimale. Può avere buoni spunti, ma ahimé non sono stata capace di comprenderne a pieno tutte le potenzialità). In questa scuola, sostanzialmente, non si faceva nulla dal punto di vista strettamente dell'istruzione, né -come dirò dopo- dal punto di vista educativo. Disegni, manipolazione di materiali, recite. Sono certamente stata una bambina con alcune problematiche che attualmente sarebbero definite come "disturbi dell'apprendimento", ma se ancora a Lillo le professoresse non riconoscevano le sue difficoltà nel secondo decennio degli anni 2000, figuriamoci nei primi anni '80 del secolo scorso. Ricordo perfettamente di avere avuto a che fare con insegnanti sprovvedute e ignoranti: quando infatti approdai - oramai in quarta elementare - nella classe della maestra Gioietta, non sapevo nulla di grammatica (ricordo lo stupore che avevo nel sapere che esistevano i verbi, le preposizioni semplici, gli articoli) né di aritmetica (tabelline e forme geometriche erano un mistero). Qualcosa recuperai, qualcosa no (la matematica rimase un "vuoto a perdere", nella mia mente). Le mie amiche d'infanzia, quelle che hanno dato il nome alla Pantuffola, furono iscritte a una scuola elementare normalissima. Avevano una maestra vecchissimo stampo e, secondo loro, severissima. Tuttavia loro sapevano scrivere i "pensierini" in seconda elementare, distinguevano i punti cardinali, conoscevano le tabelline (ah, le maestre che fanno ripetere a memoria in classe...) e via dicendo, quando io avevo ricevuto lezioni su come la Terra ruota intorno al Sole e su altre argomentazioni potenzialmente interessanti solo se si sono affrontati tutte le altre discipline essenziali. In sostanza tra me e loro vi erano delle voragini di competenze (non a caso loro hanno frequentato il Liceo Classico con profitto, mentre io mi sono trovata a imparare il metodo di studio verso la fine della terza superiore e solo grazie a insegnanti pazienti) e mai ho colmato le mie lacune in matematica: a tutt'oggi non so assolutamente effettuare le equivalenze, per dire. In seconda elementare non sapevo cosa fossero gli Appennini e gli affluenti del Po, mentre entrambe le mie amiche avevano avuto un'insegnante che aveva preparato i bambini a effettuare schemi, a riassumere i paragrafi, trovare il significato di uno scritto e farne un riassunto e, soprattutto, a ripetere ad alta voce per rimandare a memoria. Certo, io avevo sicuramente qulche difficoltà oggettiva, come ho detto, ma il fatto di non avere una maestra competente (che forse se ne sarebbe accorta e avrebbe lavorato con me come ha sempre fatto mia nonna, assegnando lezioni e compiti differenti ai suoi allievi) riguarda certamente il problema di frequentare una scuola che utilizzava un metodo che, forse non era adeguato, mi aveva e mi ha definitivamente svantaggiato. Sull'incompetenza delle insegnanti segnalo, per esempio, la volta che in seconda elementare fui messa da parte al banco con un coetaneo con la Sindrome di Down. Il poverino era nettamente fragile e svantaggiato nel suo essere e ricordo che mi faceva tenerezza perché l'insegnante lo trascinava da tutte le parti come un sacco di patate. Costei stava tentando d'insegnarmi le tabelline, le loro potenzialità, ma io mi confondevo, non comprendevo una parola di quello che mi stava dicendo: sbottò, infine, con un «È più intelligente lui!». Chissà cos'ho imparato da quest'esempio...

Comunque ricordo che presi una sculacciata sonora, quel giorno, perché le mie amiche - che avevano un'insegnante severa - sapevano cose delle quali io non immaginavo neppure l'esistenza. Ecco: quella è l'unica sculacciata che ricordo bene, poiché fu umiliante e fatta con scopo probabilmente educativo. A causa delle mie immense lacune e delle mie difficoltà, ero costretta a fare i compiti con nonni e genitori: abitudine che a tutt'oggi è frequentissima, tanto che nei terrificanti gruppi whatzapp, le mamme si confrontano sui risultati dei problemi, sino al termine delle scuole medie dei figli. La scuola attuale non prepara assolutamente, con l'eccezione di tante insegnanti (alcune le conosco direttamente) che sono pronte ad andare contro ai programmi, i POF, i PTOF e compagnia cantante per dare ad allievi e studenti una preparazione attraverso la quale i bambini potranno vivere bene il ciclo di studi successivo: ma quanti e quante sono? Quanti e quante di questi vengono premiati? In che situazioni sono costrette a lavorare (adesso poi, tra DAD, politicamente corretto e mille problematiche)? Quante lotte debbono sopportare tra famiglie assenti, genitori petulanti che si mostrano solo quando il "bambino" di 17 anni prende un 4? Quante situazioni debbono affrontare tra famiglie distrutte, genitori immaturi, droghe, cellulari e altre schifezze?

Quando facevo i compiti, ricordo perfettamente la mia sensazione di non capire nulla: la mia mente si ottundeva, si obnubilava. Non capendo più nulla e non avendo capacità di concentrazione, le persone che stavano con me perdevano la pazienza. Parimenti a come io ho perso la pazienza coi miei figli, del resto. Non è un caso che io abbia capito che non ero in grado di aiutarli e ho compreso che - in alcuni casi - dovevo approfittare di insegnanti privati (soprattutto quando gli insegnanti di scuola non sono stati capaci di intervenire). 

Le ho prese. Sì. Tuttavia non ho mai pensato al fatto che fosse grave il fatto di averle prese, poiché mi sono trovata a mettere tutto sul proverbiale "piatto della bilancia": ho dovuto affrontare la separazione dei miei genitori, i colloqui con gli avvocati, le aggressioni per interposta persona (quelle che i genitori compiono usando il figlio come materasso delle loro schermaglie o come mano esecutrice), tutte le mie difficoltà adolescenziali comprese la costante ricerca di considerazione e amore da chiunque incontrassi sulla mia strada. Ogni sberla presa perché l'analisi grammaticale era un esercizio del quale ogni giorno dovevo ricominciare a memorizzare i contorni, è nulla quando si deve affrontare il disagio creato da discussioni, prese di posizione, decisioni adulte che poco hanno a che fare con una sfera rispettosa dello sviluppo affettivo del figlio. Adesso come adesso risulta poco politicamente corretto ammettere che la separazione genitoriale danneggia drammaticamente i figli ben più di qualche scapaccione - se pur sbagliatissimo - dato in un momento di stanchezza o di rabbia (che andrebbero gestite diversamente, ma siamo umani). Solo in uno scritto assolutamente perfetto di Mariolina Ceriotti Migliarese, si legge ne La famiglia imperfetta: «Se la maggior parte dei soggetti a rischio di devianza provengono da situazioni famigliari di scarsa tenuta dei legami, perché non si lavora di più per una cultura sociale del legame? Forse domande come questa e molte altre possibili non sono oziose e ingenue come potrebbe apparire, e ci sono troppi silenzi colpevoli, troppe cautele "politicamente corrette" da parte degli specialisti della salute mentale, soprattutto infantile. Perché non dire con più chiarezza che cosa fa star male i nostri bambini? Perché tacere quello che ci insegnano i nostri piccoli pazienti? Perché non lavorare di più, molto di più per la prevenzione?».

In realtà mi sono sempre sentita malissimo quando uno scapaccione è scappato pure a me. Quando ho visto il viso spaventato di un figlio che si rigava di lacrime perché avevo perso la pazienza, quando un figlio mi ha urlato che era spaventato. Poi mi sono domandata, al netto del fatto che Franco Nembrini racconta talvolta di averle prese ingiustamente ma non ha mai condannato i suoi genitori, cosa danneggi i figli. Cosa faccia sentire i figli qualcosa e non qualcuno. Cosa renda loro fragili "fiocchi di neve" incapaci di stare al mondo. Quali siano i danni più grossi che un figlio può subire. Come funzioni il famigerato senso di colpa che nutre costantemente noi mamme quando sappiamo di aver commesso talmente tanti errori che meriteremmo l'espulsione persino dal "club delle madri mediocri". 

Ho cullato. Ho curato. Ho abbracciato. Ho asciugato lacrime. Ho accarezzato. Ho ascoltato. Ho amato il loro padre anche quando la pazienza era scappata dalla finestra e chissà quante volte il padre dei miei figli ha dovuto perdonare me, sopportarmi... Basta questo per sapere che non mi odieranno quando saranno grandi? No di certo, tuttavia mi sono posta nella posizione migliore, quella della madre che è certa di aver commesso danni enormi, e non si pente delle miserrime piccole cose buone che può aver fatto per i suoi figli. Anche qui Mariolina Ceriotti Migliarese mi ha aiutato (nel libro La coppia imperfetta) definendo il 'senso di colpa sano' come : «Uno stato d’animo sgradevole ma necessario e strutturante, conseguente alla percezione di avere oggettivamente danneggiato qualcuno o qualcosa che ha un valore; la sensazione di colpevolezza è proporzionata al danno inferto e alle sue eventuali conseguenze; la sua presenza dispone alla possibilità di una riparazione e ne è il prerequisito indispensabile».

Senza ombra di dubbio ho perdonato ogni schiaffo per la mia assoluta incapacità di memorizzare le tabelline, ho scusato l'incapacità di gestire le mie difficoltà perché nessun genitore nasce imparato e perché, soprattutto, è difficile essere genitore in modo equilibrato quando la cultura impone, la famiglia suggerisce, gli insegnanti omettono, e l'intero mondo pare che possieda figli perfetti. Viceversa quello che faccio fatica ad accettare è tutto quello che mi ha portato a odiare mia madre il martedì e mio padre il venerdì, a cercare qualcuno che mi volesse bene a costo di usare la mia persona, a ingannare il prossimo, a subìre violenze psicologiche e ingiustizie, a rinunciare alla strada attraverso la quale ognuno di noi può diventare santo. 

Il mio enorme senso di colpa che la professoressa Migliarese definirebbe 'sano', mi porta ogni giorno a domandare scusa ai miei figli e a pensare quante volte, per orgoglio, non l'ho fatto. Quante volte ho creato danni enormi nella loro mente e nel loro cuore, pur non volendo, pur svegliandomi ogni mattina e impegnandomi a non sbagliare. 

Tuttavia il web pullula di esperti. E ogni volta che leggo quello che un genitore dovrebbe fare per non creare danni ai propri figli oppure dovrebbe fare per rendere i propri figli più... qualcosa (sani? stabili mentalemente? felici?...), mi sento male. Mi guardo allo specchio e mi sputerei in faccia. Vedo gli scatti di rabbia di Checcolens e mi prenderei a sberle, vedo le immense difficoltà di Cigols e - non sto scherzando - penso a quanto gli costerò di psichiatra, vedo tutti i sintomi di diasagi enormi che i miei figli potrebbero incontrare nella loro vita di adulti e mi viene voglia di piangere. 

Ho fatto molti danni? Sì. Però, cari pedagogisti esperti di tante cose che riguardano la crescita equilibrata dei figli, e cari psicologi specialisti della mente infantile, voi che genitori siete? Cosa pensano di voi i vostri figli adulti? Ho quindi una richiesta da fare a voi, enormi preparati dotti della mente infantile: se è pur vero che uno scapaccione è sbagliato, se è pur vero che una sgridata è dannosa, se è pur vero che ogni singolo gesto che un genitore può compiere potrebbe essere la chiave per un enorme trauma infantile del quale i nostri figli adulti ci chiederanno conto (anche il conto salato dello psicoterapeuta), per favore, combattete anche perché la cultura non consideri normale una scuola che non sa più insegnare le materie di base ma si concentra su carriere alias, empatie e bullismi; aggredite l'intero mondo dei social che rovina le relazioni umane; battetevi perché le coppie s'impegnino nel matrimonio e portino avanti tale impegno anche e soprattutto per il bene dei figli; contrastate l'adultescenza dilagante reale e virtuale; lottate per cancellare l'adultocentrismo dilagante e, per favore, aiutate i genitori facendo loro qualche complimento, tessendo la lode di chi ogni giorno si occupa dei figli con immenso amore e speranza, ma si scontra con una società pessimista e egoista. 

Cari pedagogisti e psicologi, se volete bambini più sereni, attaccate la cultura dell'aggressività dilagante (non devo parlare di tutte le immondizie presenti attualmente sul web o nei crocicchi di gente fuori dalle scuole o fuori dalle chiese, vero?), aiutate gli adulti a essere maturi (ovvero rispettosi e non prepotenti), sostenete le mamme e i papà che temono costantemente di sbagliare e si disperano. 


Grazie.

Una mamma che ha sbagliato, sbaglia, sbaglierà.