giovedì 16 dicembre 2021

Quello che devo imparare da una mamma illustre (PS: Buon Natale)

Giuro che stavo per caderci. Lo stavo per dire pure io... 


Presente quella frasettina che noi adulti diciamo quando vorremmo far capire ai figli che sono chiamati ad un dovere morale nei nostri confronti (di solito quello di riordinare i giochi, radunare la spazzatura nella cameretta, non pestare i fratelli più piccoli e, se poi ci sta proprio infondo, studiare un po' e fare i compiti assegnati dall'insegnante), che per noi è sempre quello di lavorare, sacrificarci per farli crescere in una casa che non assomigli in una gabbia del giardino zoologico e sostenere le spese dei loro passatempi? Sì, dai, quelle benedette frasi ridondanti che noi mamme snoccioliamo volentieri (anche i papà, eh, nessuno escluso), del tipo:

"Guarda che studiare è un tuo dovere! Anche a me disturba andare a lavorare tutte le mattine e accontentare per ora clienti insoddisfatti! Eppure lo faccio per darti tutto ciò di cui hai bisogno... e pure il superfluo!!!". 

Oppure possiamo fare di meglio:

"Ma come puoi sentirti a posto con la coscienza, sapendo di non impegnarti a scuola!? Neppure a me piace lavare i vestiti sporchi e stirarli e riporli nel tuo armadio, ma lo faccio perché ti voglio bene e tu devi avere vestiti puliti! Quindi impegnati a scuola perché è un tuo dovere!"

L'immagine del genitore afflitto e stravolto, con un piccone arrugginito e la schiena ricurva sotto il peso delle responsabilità, che si sacrifica perché il figlio possa frequentare le lezioni di balli medioevali, clarinetto, pole dance (sì, so che è roba da giovani donne adulte, ma dalle mie parti ci sono corsi anche per bambine, per imparare le movenze sexy della danza sul palo) o le innumerevoli ripetizioni per conseguire almeno il 6 di matematica in pagella, è nel nostro immaginario. Quante mai volte ho - confesso senza pudore - appesantito le ammonizioni ai figli, assumendo lo sguardo e la postura del PGS (povero genitore sacrificato)? Innumerevoli. 

Tuttavia, come quando sgrido i figli e poi faccio la domanda retorica "Perché mi dovete sempre far arrabbiare!?" e c'è sempre il coraggioso che risponde - sfidando il lancio del primo oggetto a portata di mano -: "Sei tu che scegli di arrabbiarti, mamma! Non è colpa nostra*" (frase che fa montare il nervoso a livelli insostenibili anche se la mamma è costretta a bloccarsi - facendo finta di nulla, ovviamente - perché il figlio spesso ha ragione), mi rendo conto di quanto noi genitori facciamo pesare ai figli decisioni nostre e solo nostre. 

Mi sono sottoposta al rituale colloquio con i docenti de Lannina. L'ho fatto controvoglia per il semplice fatto che ce n'è uno in particolare che si occupa di due materie che a me piacciono molto, ma la cui passione non riesco - per il poco tempo a disposizione - a trasmetterla alla figlia preadolescente. Quindi, conscia del fatto che mi avrebbe detto - giustamente - che mia figlia è una str canaglia imperiale perché basterebbe poco e avrebbe per lo meno il 6, ho ascoltato la partaccia. Dopo qualche minuto di colloquio, iniziato con un drammatico "Sono molto scontento di sua figlia..." e conclusosi con un ammonitore "Dovrebbe avere (Lannina) più senso del dovere!", ho chiesto al docente se lui riesce a trasmettere la passione per le sue materie. Non era, la mia, una questione di pedanteria, ma spesso i ragazzini indolenti lo sono anche perché i docenti - giustamente affranti da ore di lezione su argomenti non sempre avvincenti e dal fatto di avere a che fare con classi d'incivili (e sono buona) - non riescono ad incuriosire a un argomento, non si sforzano nel trasmettere il valore di un episodio storico, non hanno voglia di prendere l'allievo apatico a quattrocchi per confrontarsi sulla mancanza di studiare. Il docente non ha granché risposto alle mie curiosità, ma ha chiuso la discussione affermando: "Anche io vorrei tanto andare al mare, ma invece vado a scuola a fare lezione!"**. 

Ecco, lì ho visto la mia immagine riflessa nello schermo di meet, e mi sono chiesta quante volte ho lamentato ai miei figli di non approcciarsi nel modo giusto nella vita, restituendo moralmente in soddisfazioni scolastiche (il minimo sindacale), l'enorme peso di tutto quello che noi poveri genitori facciamo per loro. Quante volte Lannina mi ha detto che lei non studia matematica perché le fa schifo e io le ho risposto che anche a me rompe l'anima rassettare gli abiti che lei tiene su tutti i mobili della sua camera (acquistata col sudore della fronte del padre che compila computometrici tutto il giorno), ma lo faccio perché lei deve poter vestirsi dignitosamente? Un milione circa. Quante volte ho ululato come un lupo melanconico, quando ho dovuto raccogliere i panni sporchi nella camera dei maschi per la 865° volta, incolpando i medesimi della sciatica infiammata e del fatto che sarà colpa loro se dovranno portarmi alla Messa in sedia a rotelle tra non più di quindici anni, a causa di tutti i calzini che ho rammendato china alla luce di candela (bugia enorme: i calzini bucati li butto via, ma perché non calcare la mano con immagini evocative alla Cuore di De Amicis?)? 

Che poi le mie sono tutte scuse: è vero che è pesante rassettare la grotta neandertaliana dove viviamo (dovrebbe essere una casa), ma ammetto che per me sarebbe molto più stancante avere a che fare con clienti di un negozio di profumeria (uccidetemi: non so la differenza tra Dior e Lancome), o confrontarmi con datori di lavoro insipidi (la mia empatia è a zero), o dirigere ditte di trappole per topi (bleah che schifo!). Infondo stare a casa e riordinarla, magari ascoltando musica, talvolta chiacchierando con un'amica telefonica, non mi disturba così tanto... E allora perché mi lamento? Perché siamo abituati a fare così, noi genitori. E abbiamo talmente ben interpretato la parte del PGS (povero genitore sacrificato) che tante giovani donne temono la maternità: è stancante, limitante, monotono, tedioso, stancante... In realtà loro non sanno cosa vuole dire fare la mamma, visto che non lo sono, ma hanno magari vissuto con una mamma (come me) che frantuma i neuroni tutto il giorno, interpretando la piccola fiammiferaia del focolare. Hanno ragione le donne che fuggono dalla sola idea di dedicarsi a una famiglia destreggiandosi - come se non bastasse - tra figli mocciosi, solitudine femminile della vita moderna, mariti impreparati alla paternità... Ed è tutta colpa (anche) nostra.

Quindi che fare? 

Imparare da mamme felici di esserlo. Acquisire atteggiamenti positivi verso la stanchezza, sorridere alle centinaia di volte che si lava la stessa maglietta durante la settimana... Circondarsi da amiche con le quali fare quattro parole, aprirsi al conoscere altre mamme con le quali aiutarsi (quanto fa un'amica che prende anche i tuoi figli a scuola e tu che fai fare merenda anche ai suoi?), dedicare poco tempo a discussioni cretine sui social sostituendo quel tempo in passeggiate... Ridurre la vita virtuale e tornare al reale, al sentirsi vicini ai propri vicini di casa (una torta, un augurio per Natale, una piantina per la nascita di un nipotino, un saluto cordiale sul pianerottolo)... 

Maria era giovane. Inesperta. Presa in contropiede da un Angelo che in cinque minuti le cambia la vita. Diviene madre del Figlio di Dio, sapendo - immaginando - che la cosa non sarebbe stata facile. Eppure "tiene botta", va avanti.Quando c'è da viaggiare su un mulo per ore e dare alla luce un bambino in una capanna, quando c'è da scappare in Egitto, quando c'è da recuperare un figlio adolescente rimasto a tre giorni di cammino in un'altra città... Quando segue suo figlio e lo vede diventare uomo, sapendo che dovrà perderlo per consentirgli di occuparsi delle cose di Suo Padre. Quando è picchiato, tramortito, crocifisso... Lei è madre. 

Si sarà lamentata? Sì, con mamma Anna credo proprio di sì. Come tutte le mamme. Quanto, però, dev'essere stata mamma felice? Quanto deve aver mostrato, a quel suo straordinario figlio, la bellezza dell'essere sua madre nonostante le difficili aspettative?

Ecco. Imparo da lei. La mamma Celeste. Colei che ha dato la vita per suo figlio. E che il figlio ha ripagato facendoci figli suoi. Tutti.

Cosa c'è di più?


Buon Natale.



*tale frase la pronunciò chiaramente Albus, il figlio della Tata, alla tenera età di 5 anni. In più occasioni e con diversi termini, tutti i miei figli mi hanno posto la questione in questo modo, sin durante l'adolescenza (soprattutto, direi). 

**non mi permetto di condannare il docente, né lo biasimo. Anzi, al contrario, lo capisco. La mia generazione è stata allevata a 'pane e senso di colpa' nei confronti dei genitori che fanno sacrifici tutto il giorno per essere poi ripagati coi 4 in pagella, non potrebbe avere un atteggiamento diverso.