Ci saranno sicuramente in giro genitori non degni di tale qualifica, tuttavia quelli che io ho potuto conoscere - e non sono pochi - sono tutti genitori che sentono grave il peso della loro funzione. Tutti i genitori che ho conosciuto, anche i più squinternati, i più incasinati, i più disordinati, i più disorganizzati, i più confusi, sono persone abbastanza adulte da comprendere che vogliono dare il meglio ai loro figli: magari lo fanno male, lo fanno accasciandosi a destra e sinistra per prendere fiato durante la corsa, capitolando di quando in quando e pure soccombendo alle difficoltà che la vita mette di fronte loro ogni giorno, mandando tutto a mare quando il casino mentale diventa insopportabile; ma tutti i genitori hanno come focus mentale il benessere dei loro figli. Basta voltarsi a destra e sinistra, sia realmente che virtualmente: richieste di consigli, ricerca di libri dai quali trarre ispirazione, partecipazioni oceaniche a convegni con educatori e pedagogisti... Certo: nulla è facile in un mondo materialista dove per affermare ciò che si pensa bisogna avere dei titoli e dove ogni opinione personale è preclusa se non facente parte di un'ideologia. Nonostante questo i genitori cercano di stare in piedi, barcollando, e tentano di non affogare anche quando i loro stessi figli si lamentano del modo in cui sono stati allevati.
Per poter tentare di portare avanti il proprio progetto di benessere sui figli mentre si danno da fare a destra e a manca per "mettere insieme il pranzo con la cena", i genitori talvolta affidano i figli ad altri adulti. Insegnanti, per lo più, ma anche altri educatori. Ogni "mondo" ha i propri educatori: quello sportivo (allenatori), quello religioso (catechisti o facilitatori), quello parascolastico (pedagogisti), quello del sostegno (psicologi) eccetera...
Lo sguardo di Cristo sui bambini |
Io mi sono scontrata con alcuni di questi "mondi" temo talvolta per il mio cattivo carattere (proverbiale ed epico, oramai), più che per l'incapacità di chi è esponente di questi "mondi". Purtroppo non sono una che si adatta facilmente e siccome io sono una che studia, elabora, analizza, rumina e si pone un numero di questioni enorme ogni giorno (la fiducia in me stessa cala con allarmante frequenza nella scala dei numeri negativi, quindi sono portata sempre a cercare conferme di persone più adatte), talvolta mi accorgo che forse il mio stomaco non avrebbe bisogno di dosi equine di Maalox, se io, banalmente, ritenessi che ognuno si deve adattare alla vita per quello che essa pone di fronte, senza star lì troppo a farsi domande o a vedere le cose da un altro punto di vista. Tuttavia io sono fatta così e non posso chiedere sempre scusa per come sono fatta. Ho smussato molti angoli del mio carattere, ma a forza di reprimermi sono finita dallo psichiatra e siccome la psicoterapia ha un costo, forse è meglio che io rispetti il mio modo di essere, anziché frustrarlo continuamente e rinunciare ai piccoli piaceri della vita per pagarmi la psicoterapia.
Ecco. Oggi vorrei raccontare cosa succede quando un genitore come me si trova di fronte a una delle delusioni educative più grosse che abbia mai vissuto, e di come un figlio, trascinato suo malgrado in una di queste delusioni, abbia dimostrato una maturità che io non potevo desiderare migliore.
Sono stata per anni in uno di quei gruppi di giovani esploratori di matrice cattolica.
Fui obbligata ad andarci nonostante la mia timidezza quasi patologica: mi fu detto da mio padre che se avessi voluto frequentare la mia amica Marta, con la quale ero cresciuta, avrei dovuto far parte di questo gruppo. "Un ricatto affettivo al giorno, mette lo psichiatra intorno", potrei parafrasare: quindi mi forzai mostruosamente e andai. I primi anni furono duri, perché non ero minimamente fatta per grandi gruppi di coetanei, poi piano piano mi adattai, anche e soprattutto grazie ad alcuni educatori molto importanti, per me.
Con gli occhi di una bambina al di sotto dei 10 anni parevano adultissimi, invece poi scoprii che erano tutti ragazzi e ragazze dai 20 ai 30 anni. Due parole su questo: la maggior parte di costoro non erano manco genitori, eppure - chi per un verso, chi per un altro - erano adeguati al loro ruolo. Curiosi, intelligenti, scavezzacollo (i maschi), molto premurosi (le femmine, soprattutto)... l'esigua differenza di età era fondamentale, per noi: guardavamo a degli adulti che non avevano che 10-15 anni di differenza da noi, ma che erano molto maturi. Alcuni erano sposati, altri stavano insieme, molti si stavano laureando. Erano pieni di energie e soprattutto erano "freschi": la loro fede, per esempio, era genuina, non mascherata; potremmo dire forse un po' acerba, certamente non teologicamente matura, ma Cristo era il centro e anche il sacerdote che li guidava nutriva la gioia del credere in un Dio buono che ci amava.
L'età è un fattore fondamentale: infatti, quando da genitore sono entrata in relazione con adulti con la medesima funzione educativa in un gruppo della medesima organizzazione, mi sono trovata di fronte due tipologie abbastanza definite di persone: quelle molto giovani piuttosto immature e 'giovaniliste' (atteggiamenti da adultescenti, per esempio, dediti alle ideologie più in voga) e quelle più mature.
Queste ultime erano addirittura dei genitori che avevano i figli nello stesso gruppo, situazione che io non ho mai concepito: prima di tutto per l'età (dopo i 30 ballettare intorno al fuoco con travestimenti e canzoncine non mi è mai apparso come qualcosa di dignitoso e, soprattutto, funzionale - soprattutto davanti ai miei figli o ai loro amici - ), in seconda istanza per la 'vecchiaia mentale'. Essere giovani vuole dire mettersi in gioco, essere curiosi, scapestrati...
Anche nella fede. Guardiamo ai giovani sacerdoti: mettere un don Fabio Rosini davanti a un gruppo di dodicenni non so quanto farebbe presa, ma se io ci metto don Alberto Ravagnani, la musica cambia.
E invece no: ci sono sacerdoti magari che tentano di fare i giovanetti, ma - Dio mi perdoni - vecchi dentro, mosci e con un velo di supponenza che definire respingente anche per un fervente cattolico, è poco (sarà anche a causa di questo che la stragrande maggioranza dei ragazzini che hanno frequentato e frequentano quel gruppo non va mai in Chiesa o va alla Messa come un dovere e non come un bisogno incommensurabile della Parola di Cristo?).
Forse si pensa che indossare un'uniforme coi pantaloncini corti, fare battute e stare al gioco, usare qua e là parolacce per dimostrare di essere ganzi, basti. Purtroppo no e a me questo è saltato subito all'occhio.
Da cosa mi accorgo che questi educatori non hanno dimostrato di essere fatti per il loro ruolo? Per quanto attiene quelli che sono anche genitori, dal solo pensare di poter avere la qualità per educare i figli degli altri come i propri (errore che fanno talvolta anche gli insegnanti), mentre, per quanto riguarda gli adulti non genitori, dal credere che la frequenza a qualche corso pedagogico possa servire davvero per farsi un'immagine di "esperto".
Come dice Nembrini (che purtroppo nessuno, quando l'ho nominato, conosceva): il problema educativo non esiste, ma esiste il problema di come si educa. E qui "cascano gli asini", perché a me - con delle eccezioni, ovviamente - è parso subito che il fattore 'esempio' fosse chiaro. E per dare un esempio educativo bisogna possedere umiltà, sacrificio e gioia, in un contesto che vorrebbe essere anche di Fede.
Cosa che io ho fatto fatica a trovare.
La riprova è che quando i miei figli hanno avuto un'età adolescenziale abbastanza grande da poter optare per far parte del gruppo educativo che si occupa di quelli più piccoli, hanno scelto di interrompere tale esperienza.
Ho trovato molta ideologia, spesso a favore di concetti ben lontani dalla fede cattolica, per esempio: mai sentito parlare di castità, di speranza (da uno dei miei figli mi fu raccontato che una di tali responsabili, chiamata a rispondere a domande sulla sessualità, rispose raccontando le sue avventure giovanili)... Mentre invece mi è toccato constatare - di nuovo - come ci siano adulti che nonostante si descrivano cattolici non sappiano parlare del Catechismo, non abbiano mai letto un'Enciclica, non applichino la pedagogia cattolica (basterebbe un San Giovanni Bosco qualsiasi, per esempio) ma sentano impellente la necessità di dire ai giovani a loro affidati che cosa devono pensare, quasi sostituendosi alle famiglie.
Questa hybris a me è stata chiara fin dall'inizio, quando solo Lillo ebbe il coraggio e la forza psicologica di andare contro al suo gruppo di coetanei, durante un incontro nel quale la giovanissima educatrice cercava di promuovere i principi del fu D.d.L. Zan.
Insomma un gruppo cattolico con poco Cristo e molti «Valori facilmente esitabili sui mercati mondani» al posto del «Fatto salvifico che non può essere accolto se non nell'atto difficile, coraggioso e razionale di Fede», come disse il saggio e attualissimo Cardinale Giacomo Biffi. Quest'ultimo diede una definizione ben chiara di ciò che a me paiono oramai tanti gruppi e gruppetti di questo genere: «Il Cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell'assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura».
Cigols ha avuto subito da ridire dal punto di vista pedagogico: me lo riferì a chiare lettere ancora quando non riusciva a spiegare la sua sofferenza, per cui tornava a casa arrabbiato e innervosito. Conoscendolo comprendevo immediatamente che c'era qualcosa che non era andato durante la gita, ma che lui non aveva gli strumenti per identificare di cosa si trattasse.
So che chi mi legge ha accettato con diffidenza il fatto che a mio avviso non è scandaloso che in famiglia vi sia confidenza anche dal punto di vista fisico (nulla di opprimente né di dottrinale, ma banale cura di se stessi e dell'altro), tuttavia questo ha consentito che Cigols e i suoi fratelli siano cresciuti sapendo la differenza tra mamma e papà, tra maschi e femmine.
Per estensione Cigols è anche cresciuto con la consapevolezza che ciò che volgarizza e sfrutta il corpo femminile sia oggettivamente brutto e moralmente sbagliato. In quest'ottica si vede mamma che si veste e la si guarda con uno sguardo privo di imbarazzo o malizia, si vede la sorella che mette il pigiama e l'unica informazione che si immagazzina è che quella è una femmina.
Cigols odia la pornografia. E non è un odio ideologico, ma è un odio che nasce dal fatto che insieme ne abbiamo parlato, assieme l'abbiamo vagliata, insieme l'abbiamo giudicata. Ma non solo: Cigols odia gli adulti che non educano i loro figli al disprezzo verso la pornografia. Per lui è chiaro: pornografia=odio verso le donne, adulti che non stanno attentissimi a trasmettere questo odio=adulti incapaci di educare. Lui è molto bianco o nero, sulla scala dei grigi ci sta lavorando, tuttavia ognuno è fatto com'è fatto, per cui non posso che accoglierlo: il tempo farà il suo corso e magari si ammorbidirà su temi non fondamentali (anche io ho imparato a mangiare le melanzane, del resto).
Già a 9 anni tornò da una gita furibondo perché dei suoi coetanei, che normalmente non dovrebbero avere il cellulare in gita, non solo avevano il terribile elettrodomestico, ma condividevano raccontandosi i contenuti che visualizzavano a dispetto dei genitori descritti come esseri stupidi che tanto devono pensare ai loro partners, al lavoro e alla palestra.
Ovviamente i contenuti non erano sportivi né riguardavano giochi di società come Monopoli o Labirinto Magico. Il lavoro sulla sua sofferenza e sulla sua rabbia fu immenso: da una parte cercai di tranquillizzarlo, dall'altro provai a fargli capire che sia importante correggere l'amico in modo fraterno, in terzo luogo chiarii di pensare alla sua anima: Dio, quando moriremo, ci chiederà conto di noi stessi e di ciò che abbiamo fatto per convertire i fratelli e non dei peccati dei fratelli stessi.
Una volta passato al gruppo dei ragazzi più grandi sapevo che sarebbe successo. Era nell'aria. Contavo i minuti che mi separavano dal constatare che quel gruppo di adulti con funzione educativa non sarebbe stato in grado di rispondere a delle esigenze pedagogiche specifiche.
E non lo affermo per presunzione o vanagloria: se io sapessi come fare mi offrirei per farlo, ma già sono una capra coi miei figli che mai mi proporrei per ruolo. Rispondere a esigenze pedagogiche, attualmente, abbisogna di una formazione assolutamente professionalizzante. In passato, quando i valori erano pochi e il "buon esempio" si sapeva bene cosa fosse e che fosse il punto focale dell'educazione, un qualsiasi adulto si sarebbe barcamenato abbastanza bene. Oggi come oggi non è possibile. Non ho idea di quale sia la soluzione: escludo si possa mettere dei laureati in Pedagogia pure a fare gli educatori dei gruppetti di ragazzetti che vanno in montagna a camminare... Eppure pare proprio, talvolta, che questo possa essere l'unico modo, anche se io faccio fatica ad accettarlo.
La regola c'è: non si portano i cellulari in gita. Tuttavia i responsabili non possono (vogliono?) frugare negli zaini. Lo capisco: da una parte c'è l'importanza di trasmettere la fiducia, dall'altra c'è il dramma dei "genitori-avvocati difensori dei figli", che per primi dicono ai loro piccini di portare il cellulare così non hanno l'ansia. Però questo è un problema se io ho dei ragazzini di 14-15 anni che sanno perfettamente chi sono gli adulti: esseri umani amorfi, privi di autorevolezza e capaci solo di fare ricatti, persone talmente impegnate a fare altro rispetto al fare i genitori, che il senso di colpa può essere un vantaggio interessante da sfruttare.
Ecco quindi che basta un «gne» che il genitore si erige a comandante in capo: in questo modo il cellulare è doverosamente nello zaino della gita. Succede però che Cigols si trovi in due circostanze diverse, con il mero sottogruppo dei suoi quasi coetanei, senza adulti. O meglio, senza persone che abbiano una funzione autorevole dal punto di vista educativo. La prima delle due volte Cigols sentì chiaramente i ragazzetti dire che era il momento, dopocena, di «Rifarsi gli occhi». Lui e un altro ragazzino si accorgono bene di quello che i quasi coetanei stanno facendo, nonostante questi lo neghino. Ma il punto non è questo: il punto è che Cigols tornò a casa fuori di sé. La grandezza di mio figlio, se posso essere un po' 'mamma scarrafona', sta nell'essersi tappato le orecchie ed aver «Sparato Ave Maria a raffica». Ha detto così: a raffica. Per non sentire. Per distogliere la sua attenzione. Per chiedere aiuto.
Ovviamente io non lasciai passare un attimo senza informare due persone: una responsabile, che rimase molto male di ciò che era avvenuto, e il referente ecclesiastico. Entrambi furono chiari: nulla sarebbe stato lasciato al caso. Altrettanto scontatamente i ragazzetti furono ascoltati, ma avere la confidenza di un gruppetto di adolescenti, non è da tutti: bisogna primariamente essere molto umili, poi è doveroso guadagnarsela. Per fare questo un adolescente deve sapere che quell'adulto non lo giudicherà e non farà uso della confidenza. Se nell'adulto non si ripone fiducia o se lo si giudica l'ennesimo adulto rompiscatole, la confidenza non ci sarà.
In seconda istanza bisognerebbe avere la capacità e la preparazione di parlare coi genitori dei ragazzetti stessi. Stimolare i genitori ad intraprendere una relazione coi propri figli è necessario. ...Sempre che non si abbia paura che tali genitori siano capaci di difendere i propri figli anche se scoperti a compiere atti illegali (la riproduzione di materiale pornografico è illegale), cosa non solo che è quasi da dare per scontata, ma che appare come unica opzione che possono avere di fronte questi genitori per non-risolvere i problemi educativi dei propri figli e con i propri figli. Il dramma sta in questo: se gli adulti non intervengono, chi salverà questi ragazzi dalla voragine diabolica dei loro errori (vogliamo dire 'peccati'? Possiamo provare a sbilanciarci verso un linguaggio cattolico?). Se da una parte non si dà un grammo di fiducia agli adolescenti (il dare il cellulare in mano quando si va a una gita dove di cellulare ne basterebbe uno solo di una persona matura, significa non dare fiducia), gli si dà anche troppo credito quando gli si chiede se per caso hanno visto 'contenuti non consoni' in assenza degli adulti: allora lì sì che la fiducia è cieca. O forse accecata.
Nel contempo mi muovo proponendo alcuni autori ai quali chiedere una partecipazione per genitori e ragazzi: è indispensabile che i primi imparino a togliere il cellulare senza temere capricci, e i secondi muovano i passi verso la consapevolezza e l'eliminazione dei contenuti sessualmente espliciti. I mezzi sono molti, ma io mi rifaccio sempre agli esperti del Progetto Pioneer, alle pubblicazioni di Tony Morra di Pornotossina, al sostegno di alcune pubblicazioni eccellenti anche per liberarsi dalla dipendenza dalla pornografia. Tuttavia si preferisce rivolgersi a esperti interni, tra i quali una giovane laureata in psicologia dello sviluppo, che si dà da fare con un incontro per i genitori.
Cigols non è convinto, ha paura che tutto ricapiti. Questo perché durante una lunga gita con tutto il gruppo, persino il figlio di un'insegnante racconta serenamente che in assenza dei genitori lui mette i video porno a tutto volume (qualcuno mi dica cosa c'è da sentire).
Gli errori che si compiono sono sempre gli stessi. I miei, come genitore, sono sempre quelli di insistere. «Tieni duro», dico a Cigols. Anche se intanto mi rapporto con una neuropsichiatra che lo aveva conosciuto in occasione della 'simpatica esperienza' scolastica (della quale narro qui), rimango vigile sul suo stato. Lo stimolo a non avere paura, a rapportarsi senza soccombere.
Lui mostra molto coraggio: in un colloquio con il sedicenne 'capo' che in occasione della gita non c'era, Cigols è chiaro sul fatto che non dovrà più avvenire. Costui glielo garantisce. Tuttavia ovviamente ricapita anche in presenza del sedicenne.
Mi sono chiesta più volte se forse mio figlio non sia esagerato, se forse io - nella mia intolleranza - non sia eccessiva: dopotutto per me è sempre stato più semplice ammettere una colpa non del tutto mia, che stare lì a polemizzare, giusto per chiudere il discorso. La seconda volta Cigols dice chiaramente ai ragazzetti che non avrebbe più tollerato un comportamento simile, e così è stato.
E ha ragione: non si può tollerare un atto di questo genere, soprattutto reiterato: perché insistere a comportarsi male? Perché si sa di rimanere impuniti. E così è stato. E lo è stato perché il coetaneo di Cigols che durante la nottata gli offre di chiamare a casa perché lo vede chiaramente alterato dalla situazione, una volta a casa nega l'accaduto alla madre. Lo è perché i giovanetti, ascoltati una seconda volta, ri-negano l'accaduto. E lo è perché Cigols vive in un contesto nel quale si dà per scontato, in modo surrettizio e subdolo, che sia lui ad aver sbagliato, magari involontariamente confondendosi, magari per dare noia, magari per trovare una scusa per uscire dal gruppo.
C'è un argomento reiterato che persone più illustri di me notano e denunciano: «Un'altra grande responsabilità dello scrittore viennese e dei suoi seguaci è dunque di aver portato la loro teoria sull'infanzia anche nei tribunali: molti avvocati ancora oggi portano avanti quella che potremmo definire la 'causa freudiana' per difendere i pedofili, aggrappandosi all'idea secondo cui il bambino desidera concupire con gli adulti e proietta su questi le sue fantasie e i suoi desideri; non è l'adulto che violenta il minore, ma è il minore che dice bugie, che è suggestionabile, che ha fantasie e 'falsi ricordi' di abusi subiti... l'ha detto Freud! Non di rado mi capita di sentire consulenti tecnici (e giudici al seguito) liquidare denunce di abusi sessuali come semplici fantasie edipiche, il tutto scritto su relazioni ufficiali, e chiudere lì la storia, senza dare la possibilità di controbattere. Quando poi si presentano loro autorevoli studi scientifici sull'infanzia e sugli indicatori di maltrattamenti/violenze, sull'infondatezza di certe preistoriche e perverse teorie, fanno spallucce... E questo lo trovo agghiacciante e deprimente. Se oggi ci basiamo ancora su ciò che ha pensato e divulgato Freud, diventa difficile ostacolare queste iniziative 'contro il bambino' ed evidenziarne l'infondatezza scientifica e l'orrore. Se a monte c'è l'idea di un bambino 'naturalmente perverso' con 'fantasie incestuose', come posso credere ad un bambino realmente abusato o maltrattato? [...] Freud insiste molto anche sull'importanza di dare un'istruzione sessuale ai bambini sin da molto piccoli, perché di questo hanno bisogno, tacciando di ipocrisia e falso moralismo i benpensanti dell'epoca che non condividevano questa sua esigenza. I bambini hanno bisogno di tante cose, e molto hanno da imparare, ma di certo non le 'cose dei grandi', a cominciare dal sesso. Affetto, protezione, fiducia, condivisione, queste sono le parole chiave per un'infanzia e una genitorialità sane*».
E infatti è così che viene liquidato il problema: la ricostruzione dei fatti - mi viene detto - è diversa da quella che racconta Cigols, infatti - si aggiunge - l'altro ragazzetto coinvolto nega l'accaduto. La causa di questa situazione, che per Cigols è apparentemente importante, ma che andrebbe soppesata in altro modo - secondo la persona con la quale mi confronto - sta nel fatto che lui vive il suo malessere in modo amplificato a causa di alcune esperienze negative che gli hanno causato questo status di eccessiva sensibilità su certe cose (il riferimento è allo stress vissuto da Cigols a causa della sua situazione scolastica risoltasi già un anno e mezzo prima che ho già citato poco sopra). Avrebbe potuto alzarsi, se gli avesse dato fastidio - si aggiunge - (le gite erano fuori porta ed entrambi gli eventi sono accaduti nell'arco della nottata: dove sarebbe potuto andare?).
Cigols, ovviamente, ha chiuso con quel percorso non-educativo. Come sono stata costretta a non far partecipare più Lannina (che ne ha sofferto), come nessun altro dei miei figli frequenterà più quel gruppo.
Inoltre Cigols ha fatto un lungo e molto circostanziato percorso psicologico con una professionista, atto allo stabilire primariamente il suo reale status mentale e secondariamente se nella sua mente poteva esserci 'confusione' in riferimento agli eventi. Ovviamente nessun disorientamento e molta certezza, invece, soprattutto pedagogica: per lui l'errore più grande sta tutto dalla parte degli adulti.
Sì, gli adulti. Quelli che avrebbero dovuto prendere i ragazzetti, li avrebbero dovuti mettere al tavolino con qualche esperto non improvvisato e gli avrebbero dovuto dire che si partiva di lì per parlare di quello che era accaduto, dando per scontato che fosse accaduto qualcosa (Cigols non ha mai avuto dubbio sul fatto di potersi confrontare apertamente con costoro: mi ha sempre detto: «Mi vengano messi davanti»).
Si è preferito chiudere la cosa. Silenziarla. Perché se è vero che i panni sporchi si lavano in famiglia, è anche vero che è meglio accusare e far allontanare chi urla che il re è nudo, nascondendo che quei panni sono fatti di nulla.
Cigols è molto chiaro: il dramma sta nelle donne che entreranno in contatto con questi ragazzetti. Con che occhi costoro le guarderanno? Con che desiderio (Cigols parla proprio di desiderio, sapendo che è un'emozione diversa dalla concupiscenza) costoro brameranno i loro corpi? Perché negare a questi ragazzetti di essere educati? Perché negare ai genitori la consapevolezza di ciò che fanno i figli con il cellulare? Io ho avuto un figlio che aveva preso l'abitudine di cercare roba pornografica: non ero una cattiva madre per un errore da lui compiuto, ma sarei stata una madre peggiore se avessi nascosto la testa sotto la sabbia: affrontandolo e scontrandomici, ci sono stata, non l'ho mollato al suo destino.
Cigols non ha avuto danno da ciò che gli è accaduto, la professionista interpellata è stata circostanziata. L'unico problema di Cigols è l'avere una morale, il sapere cos'è giusto e cos'è sbagliato. Questo potrebbe isolarlo, farlo essere una persona che seleziona le amicizie in modo attento: vivaddio in un mondo dove quello che conta sono 'le amicizie su facebook', i 'followers' e 'i likes'. Preferisco un figlio con tre amici davvero sinceri ai quali non deve adattarsi, che un figlio costretto ad allinearsi a un pensiero unico che lo porta alla solitudine spirituale.
Cari genitori: state attenti. Vigiliamo. Ascoltiamo i nostri figli, educhiamoli con amore e fermezza. Stiamo al loro fianco. Mettiamoci in discussione. Mostriamo l'umiltà di leggere, studiare, confrontarci a vicenda. Se fare i genitori non ci stanca e non crolliamo la sera sotto il peso delle nostre responsabilità, non lo stiamo facendo bene. Se non pensiamo a come migliorare la relazione coi nostri figli almeno 10 volte al giorno, non lo stiamo facendo abbastanza.
*Alessandro Costantini, Meravigliosa infanzia. Dalle menzogne di Freud alle verità sul bambino, Il Leone Verde, 2013. Pagg. 41-43