Si fa presto a dire di essere a favore della vita.
Aiutare una donna che chiede l'interruzione della gravidanza, è una faccenda delicatissima non solo poichè esiste un enorme sostegno verso l'aborto, che pare essere una bazzecola, ma anche perchè qualunque operatore sanitario (tra cui annoveriamo per legge anche gli psicologi) provi a "rimuovere gli ostacoli" che si frappongono tra la donna e la prosecuzione della gravidanza, potrebbe essere additato persino come violento da parte di chi ha fatto della Violenza Ostetrica una battaglia pro-scelta. Quest'ultima nota non è a caso: le prime volte che discutevo di essere contro la Violenza Ostetrica mi veniva risposto che dunque ero favorevole all'aborto: questa in realtà è una bugia enorme e chi mi legge sa bene che l'ho ampiamente dimostrato anche grazie a colleghe come Flora Gualdani (fondatrice di Casa Betlemme) che di donne che hanno chiesto aiuto dopo cinque, dieci, venti o trent'anni aver abortito, ne ha ascoltate centinaia e che, essendo visceralmente ostetrica, ha sempre saputo dell'esistenza della Violenza Ostetrica.
Tuttavia proprio Flora Gualdani mi lasciò con alcune considerazioni circa il limite che la promozione della vita possiede, ovvero quella di essere circoscritta al salvataggio della madre e della sua creatura. Questa azione è ovviamente fondamentale: infatti quando questi bambini vengono poi alla luce molte mamme sono felicissime e realizzatissime spesso domandandosi come sia stato possibile pensare di vivere senza la loro creatura. Tuttavia le ostetriche domiciliari come me, sanno bene che non finisce lì.
Purtroppo è il limite dato dall'idea creatasi attraverso l'assistenza ospedaliera: la donna viene assistita alla nascita del proprio bambino e se va bene viene dimessa un paio di giorni dopo con l'allattamento avviato (la dico facile ma raramente è così). Chiusa la cartella, tutto finisce lì. Ma poi?
Poi il vuoto.
E se è vuoto per una normalissima mamma che quella gravidanza l'ha accolta con serenità, figuriamoci per una donna che ha acconsentito al non sopprimere il proprio figlio sapendo di avere contro genitori, partner, datore di lavoro, politiche di conciliazione, operatori sanitari: ovvero l'intera società.
Perchè una neonatina fa tenerezza, ma poi? Poppate (con ragadi e dotti galattofori ostruiti connessi), ormoni che mutano, capoparto, dolore post cesareo o post episiotomia, altri figli da allevare, partner con periodo di paternità ridicolo, genitori e/o suoceri invadenti o assenti, la spada di Damocle del ritorno al lavoro o della ricerca di un lavoro ed estrema solitudine, la fanno da padroni.
La gioia di avere avuto una bambina o un bambino, infatti, è spesso sostituita con un periodo di stress altissimo che non è facile da gestire poichè attualmente mettere al mondo un figlio è un affare privato. Il massimo che viene promosso è l'esistenza di asili nido (ma non devi essere sposata perchè finisci in fondo alla lista d'attesa) e di tutta la marmaglia informe di esperti che ti dicono che per il bambino stare con l'educatrice è meglio che stare con mamma (alla faccia di Bowlby, Siegel, Juul...). Persino nella visione maschile (quando un maschio c'è) l'essere presente nella vita della madre è un peso, come se l'educazione dei figli fosse affare da donne.
Salvare una mamma da un aborto che probabilmente l'avrebbe devastata, non è un gioco da ragazzi, ma non lo è neppure aiutare le mamme a pretendere una vita differente rispetto alle loro mamme che spesso sono state donne in carriera, che talvolta sono state donne sessualmente libere e che spessissimo si tratta di donne che hanno odiato la loro maternità stessa tanto da non promuovere la vita nelle loro figlie martellandole con il concetto "figli=asservimento, irrealizzazione, limite alla propria libertà".
Essere a favore della vita significa quindi promuovere lo scorrimento di quella vita nel modo più fisiologico possibile, aiutando la donna dopo la nascita della creatura, promuovendo l'allattamento, la salutogenesi, la gioia dell'essere mamma. E questo comporta la promozione dell'attaccamento tra mamma e figli, con il supporto pratico di chi può fisicamente stare a casa con lei non pensando subito che la cosa migliore sia cacciare un bambino di tre mesi in un nido e la madre al lavoro. Promuovere la maternità dovrebbe partire con la prevenzione delle infezioni sessuali prima del concepimento del figlio, sino ai successivi 1000 giorni nei quali la mamma non dovrebbe fare altro che la mamma, ritornando a lavorare con tempistiche fisiologiche, orari flessibili, situazione familiare serena.
La cura della vita coincide anche con la prevenzione della solitudine materna, che è fondamentale e abbraccia la donna anche nella fase della nascita del figlio sino all'avvio regolare dell'allattamento. Ogni intromissione artificiosa e medicalizzata apporta un danno enorme e si scontra con la promozione della vita della Diade madre-figlio, della loro relazione.
La prossimità è fondamentale: quella è realmente favorevole alla vita. Non lasciamo le mamme sole.