martedì 6 novembre 2018

Non è tutta farina del nostro sacco

I morti.
Non so per quale arcano motivo, ma io amo moltissimo ricordarli. Non ho mai temuto il fatto di percepire il ricordo costante di tutti coloro i quali, dopo averci amati in questa vita, continuano a farlo dopo la morte.
Trovo assurdo il fatto che si pensi che una persona, quando non è più, semplicemente scompaia. Rimane ciò che ha fatto per noi, rimane l'amore che ci ha dato, rimangono le parole e la cura  che ha avuto per noi.
Ho insegnato ai miei figli che ci sono un sacco di persone che li amano anche se non li hanno conosciuti direttamente e che tali persone, che hanno trasmesso loro aspetti del carattere o atteggiamenti (i cromosomi non sono una leggenda), sono fieri di loro, pregano per loro, intercedono per loro e li aspettano in Paradiso.
Spesso, per ricordare quanto chi ci ha preceduto è coinvolto nella nostra vita, giochiamo al "Gioco delle Somiglianze" che funziona, sostanzialmente, trovando nel fisico o nel carattere, qualcosa di un proprio antenato. Il bello è che in diversi momenti della vita, assomigliamo a un sacco di persone diverse: c'è chi durante l'infanzia assomiglia a un nonno, c'è chi assomiglia poi, crescendo, a uno zio.
Per esempio Lannina è una goccia d'acqua con la sua nonna paterna. Caparbia, ricalcitrante, affettuosa, disponibile, sincera, amante dell'amicizia e abitudinaria: molte qualità che io non possiedo e che sicuramente ha ereditato dalla nonna.

E che dire di Lillo? Corretto, sensibile, servizievole e amante dell'ordine (no, non quello dei calzini: per quello sto attendendo - probabilmente invano - che una pattuglia del Genio Pionieri progetti una ricognizione apposita nella sua stanza) e del coraggio: qualità che sicuramente possiede pure il Mari, ma che in modo quasi spiccato, fanno sì che Lillo abbia somiglianza fisica e morale con lo zio Ernesto Sagramoso, il maggiore dei sei figli del mio bisnonno.

Per quanto mi riguarda e solo dal punto di vista caratteriale, io ho scoperto da poco che una mia bisnonna, Olga Maggi Ponti, è stata una donna strepitosa: dapprima entusiasta che, attraverso l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, potesse convogliare tutte le sue energie verso la salute delle mamme e dei bambini, quando la situazione della popolazione lo richiese, fece parte della Resistenza nascondendo degli ebrei. Ora, ciò che io ignoravo, è che esista il termine "Maternage di massa" che rappresenta quella disponibilità femminile e solo femminile (tanto per tornare a dire che una caratteristica femminile è quella di prendersi cura di qualcuno in difficoltà) di difendere gli uomini sbandati dalla guerra dopo l'8 settembre. Non ho particolare simpatia né per la guerra, né per ciò che successe in l'epoca post bellica, ed è indubbio che l'opera di tante persone (tra le quali annovero anche la mia bisnonna), contribuì a salvare un po' di vite godendo del privilegio di essere nobile.


Quando fu nonna, riuscì a contribuire alla scoperta di che cura migliorare la sintomatologia del nipote, affetto da nefrite. Lo fece con una pazienza certosina, registrando, dal primo giorno del primo ricovero, ogni dato fondamentale: temperatura, nutrizione, medicamento somministrato, stato di salute generale. Sostanzialmente tanto instette coi medici, che dovettero darle ascolto per forza: con i suoi grafici, i medici potettero scoprire quale fosse la cura migliore e il nipote guarì. Lei tenne insieme la famiglia nonostante una serie di situazioni glielo resero complicato, lei prese posizione netta nel voler salvare vite umane.

Io ho probabilmente acquisito anche da lei il fatto di voler combattere per la salute dei bambini, tuttavia una cosa certamente non l'ho assolutamente ereditata e si tratta della sua grazia: quella gamba accavallata con eleganza è per me al di fuori da ogni possibilità.