lunedì 24 giugno 2024

Pedagogia Nera un tanto al chilo

L'estate è corroborante per diverse situazioni, una di queste è la chiacchiera tra amiche. Così, sotto una tenda che protegge dai raggi solari, racconti di vita vengono condivisi sorseggiando chinotto e limonata (sì lo ammetto: pure una birretta ci sta).
Quando viene fuori il rapporto coi genitori, le frasi meno pronunciate sono: "No, però lo ammetto: mia mamma è una persona che mi è stata di sostegno", oppure "Mio padre, è stato un genitore affettuoso". Quelle che, al contrario, sono maggiormente condivise, riguardano la percezione chiara o ancora a tratti nebulosa, di aver perso l'occasione di vivere una vita serena, a causa di chi ci ha allevato.



Ovviamente chi ha fatto pace con gli errori dei propri genitori o nonni, vive parvenze o certezze di serenità: magari grazie a un carattere molto centrato, ad un temperamento equilibrato, a un sostegno ricevuto (spirituale e professionale), è consapevole del fatto che quella figura di attaccamento ha compiuto errori, magari senza alcuna intenzione di compierne. E forse, crescendo, quella relazione - che talvolta è "scoppiata" durante adolescenza, o nella prima fase dell'età adulta, o quando il figlio è divenuto genitore - si è stabilizzata, chiarita, trovando un equilibrio e, soprattutto, compassione reciproca. Il punto lo si mette quando diviene chiaro che un genitore non è sempre colpevole di essere stato volutamente una persona accudente in modo fallimentare, talvolta lo è stato solo causa del connubio tra carattere personale e metodo educativo ricevuto. Un genitore non ha tutte le colpe di alcune storture educative ricevute, che hanno lasciato strascichi. Il passaggio successivo - che avviene nell'età adulta e della maturità (quindi non è automatico che sia un passaggio attuato e vissuto) - è banalmente ammettere che siamo costituiti certamente di un temperamento personale, dell'educazione ricevuta, degli esempi appresi, ma anche di scelte personali delle quali i soli responsabili siamo noi.

Ho già, tra la pargolanza, chi si lamenta di alcuni miei difetti, e dopo l'attorcigliamento-budellare iniziale, io voglio sempre che la mia reazione sia di ringraziamento. Avere un figlio che apertamente chiarisce la sua posizione, sapendo di poterlo fare, è una conquista. Poi c'è il figlio che condivide con difficoltà, e il figlio più aperto. In entrambi i casi, passato il pugno nello stomaco, mi guardo allo specchio e mi dico che la grazia dell'umiltà è un dono che dovremmo tutti apprezzare. Poi ci sono volte che non accolgo la critica e porto le mie istanze: gli equivoci accadono e vanno chiariti. Stanchezza, logorìo della vita familiare, caratteraccio proverbiale, hanno talvolta il sopravvento. Ho una serie di modi di fare dei quali magari conosco la provenienza: dopo aver capito di non riuscire a smorzarne che una parte, debbo accettarne l'esistenza. Ovvio che spesso tale passaggio non sia facile da accogliere. Vedere gli errori di altri attraverso di me, realizzando il fatto che quelli proprio non riesco a modificarli, urta il mio cammino, ma non posso che rielaborare che facciano parte di me.

Non sono l'unica ad avere chiaro l'obiettivo di spezzare una catena di atteggiamenti e modi di fare propri di un passato. Ho spiegato spesso, ai miei figli, che la mia debolezza interiore è immensa e che tale fragilità si riflette moltissimo in atteggiamenti autoritari o estremamente lassisti. Ho attraversato fasi di estrema severità, ma ho anche avuto momenti di mollezza assoluta. In entrambe le situazioni ho provato a rimediare, creando dentro di me lacerazioni mostruose perchè datemi dalla consapevolezza.

Pensavo, in un moto di immensa ottusità, di essere l'unica a identificarmi con tale inadeguatezza ed è sempre per me fonte di stupore quando, di fronte ad altre donne ed altri uomini, ho potuto constatare la numerosità dei genitori che si trovano nella mia medesima ambascia.

C'è quindi un "tuttavia" nel sospiro di sollievo di quei momenti di condivisione, perchè le persone con le quali mi confronto soffrono. E soffro anche io, con loro, specialmente quando sono in grado di sentire le loro emozioni dentro di me, quasi rivivendo quello che loro condividono. Non essendo poi una professionista, io rimango in ascolto, do il mio appoggio, tendo la mano. Ma certe volte crollo (la notte, sola).

Vorrei fare degli esempi, ma non desidero coinvolgere le mie confidenti, quindi scriverò sempre in prima persona: questo eviterà eventuali riconoscimenti. Impersono voci femminili e maschili, perchè sovente alle chiacchiere pomeridiane si aggiungono anche i mariti, mentre i figli si accapigliano diligentemente per una paletta, una palla, o un canotto.

"Mia nonna ho poi scoperto che era una narcisista patologica: metteva zizzania tra me e le mie amichette. Quando avevo inviti a casa di amiche, o avevo amiche a casa mia, mi ammoniva insinuando che costoro si fossero alleate contro di me nei giochi. Ho fatto fatica per anni a fare amicizia perchè secondo lei non potevo fidarmi di nessuno".

"Mia madre ha cancellato la sua vita con mio padre: per lei non esiste nulla, il loro matrimonio, la mia nascita, la nostra relazione familiare. Ha dato la colpa a mia nonna, sua madre, perchè costei le aveva imposto di lasciare il suo ex 'costringendola' a scappare con mio padre. Adesso nega quasi la felicità con mio padre che io stessa ho visto in anni di matrimonio".

"Mia nonna era capacissima di far sentire in colpa mia madre: era sempre a dire quanto soffrisse nel camminare, tantoché io e gli altri nipoti l'avevamo soprannominata 'Nonna Ohi Ohi'. Il guaio è che imponeva l'attenzione su di sé, a mia madre e mia zia. Mia madre cercò per anni di rimanere equilibrata, ma poi dovette tagliare i ponti per non rimanere invischiata. Mia zia è caduta in depressione per anni e ha scaricato sulla figlia la medesima 'tradizione' di manipolazioni e ricatti".

"Io e mio marito avevamo deciso di andare insieme all'altare: la separazione dei miei genitori non mi permetteva di essere accompagnata né da mio padre, né dal marito di mia madre: volevo bene a entrambi per cui decidemmo in quel modo. Due giorni prima del matrimonio mio suocero chiamò il mio fidanzato: la televisione non funzionava. Quando giunse a casa si trovò schierata tutta la famiglia fino ai nonni: sua madre gli disse che se non avesse accettato di essere accompagnato da lei, avrebbe dovuto considerarla morta per il resto della vita. Questa macchinazione fu approntata perchè lei si era messa d'accordo con la compagna di mio padre: nella sua mente io sarei stata costretta a scegliere mio padre per andare all'altare. Decisi, quindi, che mi avrebbe accompagnato mia madre. Non era il primo ricatto: lei scelse quando avremmo dovuto sposarci, dove fare il pranzo, le bomboniere, e fu per grazia del cielo se non decise anche il mio vestito (mio nonno e mio padre mi portarono di nascosto a comprarlo velocemente), con la giustificazione che il mio fidanzato aveva chiesto aiuto per studiare (ovviamente) e che quindi fosse in debito con la famiglia. Il mio fidanzato cedette: lei lo accompagnò".

"Era chiaro, crescendo, che mia madre mi manipolava attraverso conflitti continui. Per esempio mi provocava un senso di colpa in continuazione: quando iniziai a distaccarmene per realizzare la mia vita (studiavo in un'altra città), lei mi chiamava dicendomi 'Non mi vieni mai a trovare, ricordati che non sarò sempre viva qui per te' oppure lamentandosi del mio allontanamento (era anche forzato dalle tempistiche dello studio) dicendomi che ero un'ingrata. Ogni mio slancio di libertà era un enorme affronto. Non ci riusciva con mio fratello, ma con me, quasi fosse invidiosa del mio status di donna, quasi fosse in competizione con me".

"Con mia madre dovevo stare attentissima a non suscitare il suo nervosismo: se per caso accennavo ad atteggiamenti che non le tornavano, era capace di urlarmi contro tutto il giorno rinfacciandomi tutto, persino il cibo in tavola che lei acquistava per nutrirmi. Questo accadeva anche senza che io accennassi a nulla: quando mi svegliavo la mattina talvolta mi accorgevo come si era alzata da come sentivo i passi nel corridoio. A seconda della mattina, dovevo premunirmi di sopportare la lei "buona" o la lei "cattiva". Non sapevo mai quale mamma avrebbe reagito alle mie azioni. Una volta, da piccola, mi tagliai i capelli perchè non riuscivo a districarli: lei se ne accorse e mi minacciò di portarmi a rasare a zero. Una volta lo fece davvero: mi aveva sorpreso a sbaciucchiarmi (avevo dodici anni) con un coetaneo. Uscii dalla parrucchiera con i capelli alti un centimetro. Diceva a tutti che era per una dermatite".

"Quando divenni una ragazzina pensai che mia madre fosse uscita di senno. Raccontava a tutti della sua elasticità fisica, della sua magrezza: era un continuo fotografarsi ammiccante. Era molto più magra di me e molto agile. Io iniziai la mia fase bulimica. Lo sono stata per anni, fino a che sono andata a vivere lontanissima".

"Mio padre e mio nonno erano medici. Tutti si aspettavano che io frequentassi il Classico e prendessi Medicina. Mio padre era severissimo con le pagelle: un 8 scatenava le sue furie. Non si conoscevano i disturbi dell'apprendimento e così mio padre, sin dalle medie, comprava i voti dei professori inviando fiori o regali. Quando andava bene mi venivano affibbiati voti stiracchiati, quando il docente si ribellava alla manipolazione accadeva pure se la prendesse con me. In una scuola privata, mio padre riuscì a far licenziare un giovane professore che gli urlò, a porte chiuse davanti al preside, che lui non era in vendita. Iniziai a mentire su voti sino anche a mentire sulle bocciature. Quando lui credette che fosse l'anno della maturità, in realtà avevo appena ripreso una bocciatura in terza. Ringrazio solo un professore che si accorse di me e - visto che ero maggiorenne - mi fece letteralmente scappare da casa mandandomi da un parente in Inghilterra. Successe un putiferio, ma quando chiamai a casa cadde la linea perchè c'era bufera sulla Manica. Sono tornata in Italia per stare vicina a mia madre, oramai vedova. Ho fatto la barista per anni: ero felice".

"Ero timidissima da bambina. Stavo malissimo a ogni festa di compleanno, a ogni occasione pubblica. Mi costrinsero a frequentare gli scout dicendomi che solo andandoci avrei potuto vedere la mia più cara amica. Sono stati anni disastrosi: certo che poi ho imparato a reagire, sono diventata una incazzosa con molta forza. Gli espertoni direbbero che la frustrazione mi è servita: ignoranti! Io ho reagito per sopravvivere ma sono stata male tutta la mia vita perchè non mi sono mai fidata di nessuno. Certo che la frustrazione mi è servita, ha minato per sempre la fiducia negli altri!!"

"Mia nonna mi ha allevato. I miei genitori lavoravano molto e lei si occupò di me. Riuscì a insinuare che mio padre mi toccasse in modo strano, sporco. Lo ha sempre maltrattato davanti a me e s'inventava (questo l'ho capito da grande) le mie confidenze: diceva a mia madre che solo lei era capace di capirmi. Io sentivo, da piccola, un peso enorme quando lei si erigeva a mia "migliore amica", quasi una seconda-mamma. D'altronde lei si presentava, al grande pubblico (pareva sempre in teatro) in questo modo: solo lei riusciva a farmi 'aprire'. In realtà io sapevo che mi dovevo inventare qualcosa altrimenti lei avrebbe contuato per ore ed ore: talvolta si chiudeva in cameretta con me finché io non gli dicevo quello che lei mi metteva in bocca. Pur di scappare, dicevo cavolate. Solo lei, tra l'altro, poteva sgridarmi: questo perchè, secondo lei, mia madre e mio padre non stavano abbastanza con me per avere il diritto di educarmi. Ricominciammo a vivere quando lei, improvvisamente, morì. Ci ho messo anni e anni a riconoscere che mio padre non mi ha mai sfiorata in modo malizioso".

"Mio padre mi aveva costretto a frequentare una scuola costosissima lontano da casa. Non passava giorno che, quando mi rifiutavo di assecondarlo per qualinque cosa, me lo rinfacciasse. Era assurdo perchè non avevo chiesto nulla, io".

"Mio padre abbandonò mia madre per andare con una tizia più giovane. Quando io e mia sorella dovevamo stare con lui, ci parlavano costantemente male di lei. Arrivarono persino a insinuare che mia madre avesse avuto un flirt con un altro uomo (cosa che avrebbe potuto tranquillamente avere, visto che era sola) e che non ne avesse il diritto. Mio padre mi costringeva a chiamarla ripetutamente per controllare che fosse a casa tanto che lei era terrorizzata anche solo di andare a fare la spesa. Faccio notare che mia madre è sempre stata casalinga e non ha mai guidato. Era una che da sempre stava a casa volentieri a sitemare e prendersi cura di noi: mai un'uscita, mai un caffé al bar, mai una cena tra amiche... lei è sempre stata una così: al massimo faceva le scale e andava a prendere il caffé dalla vicina settantenne. Mio padre mi costringeva a controllare mia madre, dove fosse, con qualunque scusa".

"Avevo avuto storie d'amore distruttive. Quando portai a casa mia moglie, mia madre vide in lei una rivale sin da subito. Tutto quello che faceva la mia fidanzata non andava bene. Arrivò, mia madre, a fare la vittima di tutto: mangiava poco e da sola in camera, tutta mortificata. Capiva che io ero forte grazie alla mia fidanzata. Ovviamente adduceva a lei il mio cambamento di carattere, evidentemente perchè pensava fossi idiota. In verità certo che ero "cambiato" ai suoi occhi: ero autentico e libero di essere quello che volevo. Quando abbiamo potuto siamo andati via di casa accusati di abbandono e altre cattiverie. Adesso mi occupo di lei con affetto, ma è vecchia: non può più farmi nulla".

"Mio suocero è palesemente un anaffettivo, soprattutto nei confronti di mio marito. Una volta io tentai di reagire alle sue continue insinuazioni rivolte a mio marito, di essere cambiato da quando stava con me. Banalmente era più libero e, stando con me, aveva acquisito alcune caratteristiche mie (io ne avevo acquisisite di sue: è normale nella coppia). Dando del cretino a mio marito, sostanzialmente, mi accusava di avergli fatto il lavaggio del cervello: tipico del genitore che non è in grado di relazionarsi. Mio suocero diede di matto, una sera: me ne disse di tutti i colori di fronte ai miei figli. Mi augurò di morire, mi chiamò puttana, mi disse cose irripetibili. Di fronte ai nostrifigli di 5 e 7 anni. Fu allucinante. Mio marito lo sbattette fuori di casa e io piansi una notte intera. Qualche tempo dopo abbozzò delle scuse a mezza bocca. Ora lo tratto con educazione, ma per me non è una persona che esiste. Non lo considero qualcuno. Mio marito non ha avuto il privilegio di avere un padre".

Io non penso di dover continuare.


I genitori di cui sopra, incapaci di amore incondizionato, hanno sgretolato l'animo dei figli mettendo a repentaglio anche solo il rispetto e l'onorabilità che è dovuto alla figura genitoriale: talvolta, oltretutto, carnefici ma anche vittime medesime perchè non aiutate a rielaborare la loro filiazione. Sono quei genitori che riconosco essere la lama tagliente verso la bellezza della famiglia naturale: quante persone, adesso, giudicano padri e madri (sottolineandone spesso l'eterosessualità) inadeguati in modo sommario, basandosi solo su situazioni di quel genere? Quanti invece non vedono quanti genitori hanno compiuto il bene e hanno assolto il loro dovere se pur sbagliando? Certo che per il mainstream fa più rumore un albero che cade che la proverbiale foresta che cresce...

So di aver nuociuto ai miei figli in diverse circostanze, parte delle quali certamente dovute all'eredità affettiva. Una fonte di preoccupazione che non mi abbandona mai è concretamente quella di non essermi liberata di atteggiamenti educativi e relazionali dovuti al passato: è un'angoscia costante guardarmi indietro e intravvedere più o meno in modo chiaro, il mio fallimento per non aver spezzato la catena. Non è ovvio né scontato il fatto che nutro la consapevolezza che i miei figli si trascineranno anch'essi le mie immense lacune, per trasportarle alle generazioni successive.

Constato tuttavia che sono diversi i genitori che si trovano nelle mie condizioni, talvolta terrorizzati che i figli possano passare dal semplice disamore, al più complesso distacco e allontanamento nei confronti dei genitori giudicati fallimentari. In sostanza sento come se molti di noi si trovassero di fronte all'angoscia non solo di essere stati come i nostri parenti, ma che un giorno i nostri figli si allontaneranno da noi per sopravvivere, come in tanti abbiamo fatto. 

Le strade per vivere in una non relazione complicata coi nostri genitori, sono diverse e io mi limito a evidenziarne due perchè sono quelle che i miei amici e le mie amiche mi hanno raccontato: la prima (quella è stata messa in campo con il familiare tossico anaffettivo, maltrattante, abusivo) è quella di tagliare il legame definitivamente, la seconda è quella di attivare una comunicazione priva di emotività. La scelta tra queste due strade e tutte quelle che stanno nel mezzo, va compiuta con un percorso di sostegno professionale e spirituale, che faccia sentire la persona prima di tutto al sicuro. 

L'amore incondizionato che alcuni di noi non hanno avuto, deve potersi concretizzare nel nostro sapere che Cristo ci perdona: nella preghiera più famosa che conosciamo, veniamo educati a rimettere i debiti ai nostri debitori, e se c'è un debitore assoluto è il genitore che ha sbagliato. Consapevole o inconsapevole questo non muta il nostro cuore che deve liberarsi attraverso il perdono, che non è una pratica religiosa ma uno stato mentale: che poi perdonare vada insieme con il suggerimento di allontanarsi fisicamente dai genitori, o che la strada sia quella di una parziale o completa riconciliazione, sono scelte personalissime e delicate che vanno prese con attenzione, magari non abbandonando il genitore quando poi sarà anziano, rimanendo ciechi al suo spegnimento progressivo. Io sono più favorevole a un mutamento del nostro comportamento - perchè ci sono genitori incapaci di mettersi in discussione (quelli malati di narcisismo, per esempio) - che ci preservi, ma che non neghi ai nostri genitori la visita dei nipoti (se ciò non desta sofferenza ai questi) o l'appoggio nell'anzianità (anche delegandolo ad altri, ma non rinunciando alla responsabilità). Sta comunque a noi pregare per avere la grazia della compassione, che non vuole dire sottomissione o sacrificio, ma semplice maturità. E la maturità la dobbiamo volere per noi stessi, facendoci aiutare umilmente, stando anche solamente sotto un ombrellone, in prossimità di chi ci ascolta e si racconta.