domenica 2 giugno 2024

L'angelo del focolare (ovvero: quella sfigata della Sagramoso)

Negli anni le congetture sul mio conto si sono moltiplicate e hanno preso contorni sempre più fantasiosi, ed è per questo motivo che ho deciso di fornire qualche risposta con calma.

Questione "realizzazione" personale. Sono diverse soprattutto le donne di ogni età che sono preoccupate del fatto che la sottoscritta, tra la sgrumatura di una latrina e la stiratura delle camicie del marito, non abbia cinque minuti per affinare piaceri, interessi, curiosità culturali personali. È una vecchia diceria che nasce per lo più con l'idea che la realizzazione coincida con la professione o il mestiere: tale congettura identifica la realizzazione personale con gli studi effettuati e i titoli di studio acquisiti, ma soprattutto con il riconoscimento economico. Sostanzialmente, poiché io non ho una fonte di guadagno regolare che dovrebbe permettermi la cosiddetta 'indipendenza economica' -garanzia del fatto di poter compiere scelte senza la condivisione delle stesse con mariti/compagni "patriarcali", "meschini" e "maschilisti"- allora non possederei un valore. Collegato con il concetto di 'dignità' si trova il riconoscimento economico (stipendio o fatturato) che è una tirannia storicamente piuttosto recente, strettamente connessa con il dovere di dimostrare di produrre ricchezza. In soldoni io dovrei lavorare perchè non c'è assoluta nobiltà nel fatto di chiedere al marito i soldi per la manicure o la spesa. Laddove spesso lavorare -lo vedo tra le donne che mi circondano- significa fare orari terrificanti, privarsi della presenza dei figli, farsi trattare a pesci in faccia da datori di lavoro despoti, subire mobbing dai colleghi e perdere la salute pulendo case per guadagnare qualcosa in nero. Le donne che lavorano facendo quello per cui hanno studiato di solito sono professioniste molto affermate che sono certamente realizzate e per le quali esprimo felicità se loro sono felici, al netto del fatto che equiparo la realizzazione di costoro con quella di chi ha mestieri di tutto rispetto: il nesso non sta né nella quantificazione del guadagno, né nel ruolo lavorativo (avvocato o commessa, non mi interessa).

Il mio libro di economia domestica delle scuole superiori

Vero: non ho una fonte di guadagno, ma che io non produca ricchezza è tutto da dimostrare. Nell'ingranaggio dell'andamento familiare, il fatto che io mi occupi dei figli, che li aiuti nei compiti, che renda la loro vita il più possibile serena, produce guadagno familiare a breve e lunga scadenza, e non spreco. Stare coi figli e imparare a conoscerli nelle loro peculiarità e caratteristiche; aiutarli a sentirsi sicuri di loro stessi cercando di non interrompere la gioia di imparare; saper riutilizzare abiti e scarpe; risparmiare in baby-sitters o donne delle pulizie... è comunque fare economia. Non ho idea di quanto possa costare delegare sempre ad associazioni sportive o dilettantistiche tutto il tempo extrascolastico: non penso che sia economico né particolarmente corretto nei confronti dei figli. Io ho usufruito di asilo-nido/baby sitter (meglio la seconda che il primo, comunque), ma credo che fare la corsa per iscrivere il figlio al nido appena nasce, sia disonesto e adultocentrico al massimo: ecco perché trovo una immensa cretinata pensare che con più asili nido le donne mettano al mondo più figli. Ed ecco che la costrizione ad agire in questo modo poiché è necessario tornare a lavorare con un neonato da affidare ad altri, è veramente una manipolazione politico-ideologica pessima.

Il fattore educativo del menage familiare incentrato con consapevolezza sulle relazioni familiari, verte su tre concetti: educazione-orizzontale; parità dei sessi; creanza. 

Il primo riguarda precipuamente quel tipo di trasferimento di valori che si passa tra fratelli e sorelle. Strettamente collegato con la parità dei sessi, si manifesta essenzialmente quando un fratello maggiore insegna al fratello minore che mamma non è chiamata a piegare da sola i panni della famiglia, ma che ognuno può darsi da fare coi propri e con quelli che tutti, sin da piccoli, possono rassettare. Ciò accade quando un padre, consapevole del fatto che la sposa e non sia cuoca-cameriera-donna delle pulizie, di sua spontanea iniziativa passa l'aspirapolvere in tutta la casa, lava i vetri, spolvera, fa la spesa e cucina. Questo, che oserei definirlo manipolo quasi ridicolo di azioni concrete, porta con sé un messaggio fondamentale dal profumo meravigliosamente cristiano: la donna, la sposa, la moglie e la madre, è persona fondamentale, e la famiglia si costruisce sull'amore e sul rispetto reciproci. 

Ora: la creanza, nella vita, è essenziale. Non c'entra nulla l'educazione civica che tenta di impartire malamente parità dei generi o di prevenire violenza di genere. Trovo più normale usare il termine 'creanza' perché è chiaro, inequivocabile e privo di significati reconditi. Si pulisce dove si sporca, per buona creanza. Si riordina dopo aver pasteggiato, per buona creanza. Si raccolgono cartacce da terra, per lo stesso motivo. Eccetera. 

Esempio chiarificatore: un marito normale (uno di quelli che posso definire "uomo modello-base"), soprattutto se facente parte di Santa Madre Chiesa (non ho idea di come funzioni il modello-ateo) non solo sa che la propria moglie ha un valore enorme e una preziosità intrinseca essendo colei che il Signore gli ha messo a fianco anche se non porta a casa uno stipendio, ma è assolutamente consapevole del fatto che l'evangelica casa sulla roccia si basa sull'importanza e la forza della relazione tra i coniugi. Se ella si trova nelle condizioni e nella libera scelta di non lavorare per stare a casa facendo altro rispetto al guadagnare, non è detto che non possieda dignità. Se una donna, per esempio, ha studiato economia domestica (materia che sostituirei ad educazione civica e il cui voto renderei indispensabile a fianco alla condotta) ha la preparazione per risparmiare e per sistemare oggetti, aggiustarne altri e, soprattutto, creare: questo è fondamentale per sentirsi realizzate con concretezza.

Esempio chiarificatore n°2: il solito marito normale, quando è padre, ha un preciso compito educativo da condividere con la madre, ovvero sia quello di educare la prole alla cura della casa e di tutti coloro che ci abitano. 

Ora: quando io ho scelto di occuparmi dei miei figli, sia io che lo Sposo eravamo vittime dell'ipnosi "dignità", per cui io mi sentivo in colpa a chiedere anche i soldi per il parrucchiere o un paio di pantaloni, e lui trovava ingiusto il fatto che avevo colto l'occasione, come fonte di realizzazione, quella di scrivere. Il non-guadagno era una Spada di Damocle sulla testa che mi faceva persino affermare frasi fuori di testa, del tipo: «Il marito deve potersi distrarre dal lavoro, poveretto. Gli uomini hanno diritto ai loro spazi». Roba da 'angeli del focolare' insomma, creazione dell'Era Industriale. 

Leggiamo infatti dagli appunti della mia amica Chiara Favi, economista: 

"In un contesto in cui il lavoro produttivo è relegato nelle fabbriche lontane da casa e le famiglie sono numerose, la donna si è ritirata dall’attività produttiva e si sia arrivati ad un modello di famiglia (nucleare). L’uomo lavora fuori casa per sostenere la famiglia (in inglese breadwinner, colui che assicura il pane), mentre la donna diventa l’angelo del focolare (in inglese homemaker, colei che fa la casa, o housekeeper, colei che mantiene la casa). [...] la donna, isolata in casa, diventa l’agente di diffusione della società dei consumi di massa, che diffonde i modi di vita “rispettabili” della borghesia tra il popolo. La donna pone il suo lavoro, a questo punto, al servizio di una famiglia sempre più numerosa, dove il padre diventa una figura sempre più assente (il padre vive fuori dalle mura domestiche e beneficia di una più piena vita sociale) [...]. [...] Mentre l’uomo nel lavoro esterno viene sfidato dal continuo progredire della tecnica a studiare, specializzarsi, viaggiare e il “valore” del suo tempo diventa sempre più elevato, la donna in casa si confronta con una routine che non cambia sostanzialmente mai [...]. [...] Confinata tra le mura domestiche, infatti, la donna non è incentivata ad aprire la sua mente e a sfruttare i suoi talenti, mentre il valore dei suoi servizi (misurato dal salario di chi la poteva sostituire, come una domestica, una maestra elementare, una sarta o un infermiera) non mostra una dinamica nemmeno lontanamente comparabile con quella dei lavori maschili. Persino il lavoro esterno a casa, per la donna, è valorizzato la metà di quello maschile e sottopagato. Questa asimmetria diventa profonda e produce una separazione spirituale tra i coniugi sempre più grave". 

Ecco quindi che la Sagramoso, che può permettersi di scrivere su due blog differenti redigendo articoli magari inutili e noiosi, ma densi di esperienza e consapevolezza, può anche permettersi di scrivere non uno ma quasi due libri, il secondo dei quali ha comportato lo studio di 57 testi. Lo può fare, quella sfigata della Sagramoso che siccome ha sette figli sicuramente passerà le sue giornate a lucidare le tubature dei lavandini di casa, perchè ha un marito che è sicuramente un Neanderthal, ma che non trova nulla di strano nel prendersi la figliolanza con sé per portarla a pescare o in montagna a raccogliere castagne, né fa alcuna manfrina se c'è da riordinare casa o sistemare il giardino. Questo perchè il matrimonio sancisce (lo dico per chi suppone che la convivenza sia sinonimo di libertà) la assoluta responsabilità di tutto quello che i coniugi hanno costruito assieme (non importa chi ha messo i soldi e chi la creatività) e di chi hanno creato amandosi (non importa chi ha donato la vita e chi la vita l'ha messa al mondo). 

Non è un caso che lo Sposo, restio come un rottweiler dal veterinario a che io smettessi di lavorare per stare a casa, non solo ha constatato che i figli stanno meglio, sono seguiti (magari male, eh, ma almeno rovinati da me) e che è più concreto darsi da fare assieme per la famiglia, ma ha potuto verificare che io sono di gran lunga più serena da quando ho trovato la mia vocazione e la riesco a portare avanti. E non importa se questa vocazione non è remunerativa: la mia felicità è un guadagno di gran lunga maggiore. 

L'incubo più terrificante di questa società è che la donna, ben lungi dall'essere emancipata (le mie amiche separate costrette a mollare i figli a destra e sinistra per mettere insieme il pranzo con la cena, lo dicono continuamente assieme a qualche giudizio piuttosto crudo nei confronti delle rivendicazioni femministe) ha barattato la sua presunta libertà con un po' di pane e consumismo. La donna, soprattutto se madre, sarebbe libera solo se potesse davvero scegliere di lavorare o non farlo. E soprattutto sarebbe libera se la figura femminile, che è fondamentale per la cultura cristiana (ripeto non so per gli atei), venisse trattata nel modo in cui Cristo si rapporta sempre con le donne: con attenzione e rispetto. La madre è una parte fondamentale della vita dei figli, che si accompagna e si completa con quella del padre che -mi spiace ripeterlo- non è tenuto a fare quello che siccome guadagna allora poverino deve riposarsi e dedicarsi ai suoi spazi. Dato che, oltretutto, diverse donne che condividono la maternità con il lavoro, questo raramente è esattamente quello che sognavano da bambine, allora i veri padri, quelli tosti, fanno i padri. 

Ecco. Io sto con un uomo così. E se per tante donne che si lamentano del fatto che i figli hanno mille impegni e che passano la loro vita a traghettarli da un'attività all'altra e magari si fanno paladine del "più asili nido per tutte", ci sono altrettante donne che coi figli vorrebbero starci e non possono perchè una società fatta di maschilisti e femministe ha deciso che il solo canale di realizzazione della donna è quello che produce ricchezza (per lo più da spendere in cazz inutilità). Ecco: il mio pensiero va a loro, che vorrebbero la libertà e invece non possono permettersela perchè altri hanno scelto per loro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. 

Io sarò la sfigata della Sagramoso che spesso passa le mattinate a fare i letti, stirare, lavare i gabinetti, ma se non altro mentre faccio queste cose studio, rifletto, e soprattutto mi confronto con le amiche che ogni giorno mi insegnano migliaia di cose e per le quali io non sono un contatto facebook o instagram, ma una persona in carne ed ossa. 

E mio marito non è il maschietto che molla la moglie per i suoi passatempi spesso e volentieri, ma è qualcuno che adesso sta sparecchiando mentre un figlio di 8 anni gli da una mano, l'altro di 13 lava le pentole e la 15enne sistema i panni. Il 20enne ha cucinato mentre studia per l'esame di maturità, comunque. Se questa è sfiga...