domenica 12 febbraio 2023

Come ho salvato il mio matrimonio

Non ho mai fatto mistero del fatto che il mio matrimonio sia stato sull'orlo del precipizio più di un centinaio di volte. 

Non soltanto ci sono un milione di cose che non ho veramente la forza di sopportare in mio marito, ma so che ci sono per lo meno due milioni di cose che impediscono a mio marito di sopportare una donna come me.

Cosa vede il mio Sposo quando parte alle 6 del mattino

Ho più volte elencato lo spicinìo* di tutte le mie fissazioni tra le quali la fervente immaginazione nutrita da un'ansia ereditaria che mi fa destare lo Sposo a metà della notte per controllare che i figli grandi siano tornati, giacché mi immagino l'attesa all'obitorio per i riconoscimenti del cadavere di questa o quel figlio. Oppure l'assoluta ingovernabile rabbia che mi coglie quando vedo nel mio Sposo l'assoluto disinteresse nel tentare (per lo meno nel far finta di farlo) di comprendere il mio punto di vista su tutta una serie di convinzioni che sono la mia priorità. E che dire della perseverante convinzione di essere la Pedagogista n° 1 nella famiglia? Certa del fatto di essere Colei-Che-Sa-Quale-Sia-La-Cosa-Migliore-Da-Fare ho spesso strappato con forza, a mio marito, la sua possibilità di mettere bocca nell'educazione dei nostri figli. Sì, lo so che non è del tutto colpa mia: decenni di femminismo e di dichiarazioni sull'incapacità maschile rilasciate dalle donne delle generazioni che mi hanno preceduto, mi hanno abituato (a me ma non solo a me) al fatto che i padri non debbano mettere bocca nell'educazione dei figli. "I figli sono della mamma: a lei spetta decidere tutto. I padri non servono più di tanto": ammettiamolo che siamo tutte un po' cresciute così. Io certamente. Quello che invece sono riuscita a fare quando mio marito, con una certa fermezza, mi ha apostrofato di non rompere le scatole (egli è figuratamente un po' tagliente) che ai figli ci avrebbe talvolta voluto pensare lui, è stato riuscire a stare zitta mentre mi mangiavo la lingua. Questo è accaduto quando i figli, in preda ai fumi dell'adolescemenza più pesante, evitavano cautamente di sollevare anche solo una briciola per terra. Il padre, con l'ermetismo che lo contraddistingue, munito di penna e calamaio (ossia rapidi vocali sul gruppo famiglia di whatzapp), intimava i figli - soprattutto le creature di sesso femminile, quelle più "sorde" all'idea di collaborare in casa - di passare aspiravpolvere e tagliaerba. Non vi era una velata minaccia o un ricatto, ma si trattava di semplici ordini da Caporal Maggiore a Soldati di Fanteria. Nessuna sbavatura: un lavoro pulito (è il caso di dirlo). Tutte le mie tecniche di seduzione educativa - che vanno dall'urlo scimmiesco agli occhi lacrimanti per suscitare pietà - non sono mai servite a nulla, in confronto a un messaggio paterno. Cosa che mi ci sono voluti robusti cucchiai del gessoso Maalox per digerire. 

E che dire dei difetti del mio Sposo? Solitario, testardo, neandertalianamente cocciuto e mai del tutto convinto delle mie scelte, in un milione di situazioni mi ha fatto agognare - lo dico senza vergogna - alla possibilità di optare attivamente per l'Ordo Viduarum. In tantissime situazioni ha un carattere ascrivibile - lo dico con amore smisurato - al maschilismo più crudo. Certo, con il lavoro che fa comprendo il fatto che abbia bisogno di ritagliarsi uno spazio proprio per stare nel silenzio e nel suo hobby (attualmente la pesca), ma il fatto che mi desti alle 4 del mattino di giorni infrasettimanali a caso, per avvertirmi che pescherà per tutto il giorno lasciandomi ogni gestione familiare (scuola, ninja, catechismo, dentista, logopedista, pranzo, cena eccetera) sino al tramonto, che se è inverno è alle 16, ma se è estate è pure alle 21, mi fa andar fuori di testa. Il tempo e i messaggi vocali nei quali lo minaccio di A) divorzio, B) espatrio in paesi senza estradizione, C) rovesciamento di tutto il (modesto, tra l'altro) guardaroba in giardino con conseguente spargimento di benzina e appiccamento di fuoco, hanno consentito al pescatore di capire la necessità di preavvertirmi di 24/48 ore dell'impellente necessità di partire "Verso l'infinito e oltre" alla Buzz Ligthyear o alla Capitano Nemo maniera. 

In tutta una serie infinita di situazioni, avrei voluto avere quel cipiglio femminista che spinge le donne a divorziare per un diritto alla propria felicità (che tanto non trovano mai), tornando a Milano immaginando l'appartamento dove sono cresciuta del tutto intonso, in preda alla necessità d'acquisire le sane abitudini delle donne in carriera che all'alba delle 19 si concedono l'aperitivo con le amiche smollando l'eventuale prole all'eventuale suocera. Tuttavia, siccome Milano (mi perdonino i milanesi) non è la mia città preferita, l'appartamento dove sono cresciuta spero sia stato dato alle fiamme in un rito esorcista per demolire gli spiriti maligni che hanno devastato la mia infanzia, piuttosto di un aperitivo mi faccio una pastasciutta alle vongole e, purtroppo, non ho né suocere né parentesse alcune che bramino supplire alla mia assenza, rimango dove sono e mi concedo una delle poche cose che ha salvato il mio matrimonio e la mia sanità mentale.

Parlo della presenza di un'amica. La mia amica. L'unica ed inimitabile amica. Quella con la quale puoi confessare di agognare la solitudine di un'isola deserta senza figli moccicosi, vomitosi, in preda a delirî da dislessia, mariti spaccaballe che lamentano l'assenza di camicie stirate nell'armadio, e molto altro ancora. L'amica che ti racconta che del proprio sposo non è più fattibile sopportare ogni tipo di caratteristica che esuli dal silenzio e che ammette di aver fatto calcoli dissennati quando supponeva che il matrimonio fosse faticoso ma non impossibile. Amica con la quale però si ammette che pochissimi uomini sulla faccia della crosta terrestre sarebbero in grado di sopportare due persone come me e lei. Medesima amica con la quale il termine "Sacramento del Matrimonio" non appare come qualcosa di passato, medioevale, bigotto, ma è una promessa che siamo a chiamate a rispettare. Dopo il caffé delle 8.30 del mattino, infatti, con la mia amica, condiamo i nostri mariti nelle peggiori maniere: quando con aggettivi cortesi ma con un occhio alla più marcata sopportazione, quando con improperi del tutto privi di cortesia o mera creanza. Questo tempo ricavato tra un'asciugatrice e un rifacimento letti, tuttavia, è fondamentale: un uomo, il nostro uomo, ci guarderebbe con lo sguardo tipico dell'orso colto sul fatto di aver rubato del miele dall'alveare, ovvero di chi si trova lì per sbaglio ma certamente sarebbe dovuto essere da tutt'altra parte. Non sarebbero capaci, i mariti, di comprendere né le parole, né i significati reconditi dietro a queste, perché il linguaggio delle donne - molto banalmente - non è fatto per i maschi. 

Condividere gli aspetti più stancanti dei nostri matrimoni, tuttavia, aiuta entrambe - a vicenda o insieme - a renderci conto del fatto che ce la possiamo fare, che noi, a quei mariti, vogliamo bene così come sono e proprio per i motivi che talvolta ci fanno uscire dai gangheri. Sapere e ricordarci che quel Sacramento è fondamentale per noi, per i notri figli e per l'impostazione educativa che vogliamo dare alle nostre famiglie, ci rende consapevoli del fatto che noi non cambieremmo mai quei nostri mariti che tanto non sono fatti per capirci come se fossero i nostri migliori amici, né sono quelli che chiamati a renderci felici (che nel mondo moderno vuole dire banalmente senza problemi come intendono Pumbaa e Timon). Loro sono chiamati ad accoglierci e noi ad accogliere loro, con affetto e rispetto vicendevole e affettuoso. 

Il tempo, quello che serve perché una donna possa dedicarsi a lei stessa e alla di lei amica, è fondamentale. In un mondo lavorativo che non permette alle donne neppure di dedicarsi a un hobby, figuriamoci al Matrimonio o alla Famiglia (i figli sono un privilegio che lo Stato decide di assegnare a chi pare essere meritevole), la donna deve potersi ricavare lo spazio per raccontarsi e raccontare, per ascoltare e confessarsi. Negli anni che mi hanno mostrato la vita di tante donne, di tante madri, i matrimoni più sofferenti erano quelli delle donne che investivano nella relazione col marito, ogni relazione fondamentale: qualla con un amico, un confidente, un amante, un collaboratore, un alleato, un collega... Nulla di più falso e improvvido. Mio marito non è nulla di tutto questo. Non lo deve essere. Egli è certamente poeticamente il custode del mio cuore, ma se devo lamentarmi di qualsiasi cosa, egli non è adeguato. Il tempo che serve a due donne per poter trovare ascolto reciproco e fare memoria delle promesse matrimoniali, è fondamentale e necessario. Non è mai tempo sprecato. E non parlo del tempo dell'aperitivo, perché quel tempo è futile. Io parlo della condivisione dell'appaiamento dei calzini, della compartecipazione del passaggio dell'aspirapolvere, del potersi aiutare reciprocamente quando questo o quel figlio è malato e non si sa a chi lasciarlo. 

Riconquistare quel prezioso tempo, mi ha consolato da quelle che vivevo come ingiustizie date dal rapporto con mio marito, che poi non sono altro - invece - che le differenze ricchissime tra uomo e donna. Viverle con la mia amica non è mai stato tempo sprecato. Amica con la quale si condivide la Fede, le riflessioni, il caffé, le paure per i figli, i momenti di preghiera e la rabbia. 

Ecco come ho salvato il mio matrimonio, ecco cosa mi porta, ogni giorno, a dire il mio "sì": l'appoggio della mia amica, il tempo con lei.



*vernacolo toscano. Il termine significa "Sbriciolamento" in pezzi più piccoli, e l'etimologia deriva da 'spicinare' o 'spiccinare', rendere piccino. Lo spicinìo figurato più chiaro sta, per esempio, in quel che rimane delle autovetture dopo un incidente.