domenica 12 luglio 2020

Se vai in Chiesa devi essere buono per forza!

Le maestre Tiziana (quella con la lunghissima trecciona di capelli rossi) e Fabrizia (quella, invece, con capelli neri corti) avevano un'idea chiara di come affrontare i bambini che litigano: ricordo una volta - stavamo preparando la "Festa degli indiani" di fine anno 1985 presso la scuola materna di via Palermo a Milano - che io e la Cristina ci prendemmo a tirate di capelli perché lei aveva pasticciato qualcosa di mio e io qualcosa di suo... Che sgridata che ci prendemmo! Entrambe. 50 e 50. E poi, sedute di spalle, ci relegarono nel "pensatoio" in classe. Il "pensatoio" era uno spazio aperto dove i litiganti si dovevano calmare un pochino per poi cercare di riappacificarsi (ovvero guardarsi in cagnesco per un po' dopo un momento di chiarimento con la maestra) e serviva per fermare la fase "rabbia" del singolo, "staccando la spina". 


Sicuramente c'è chi pedagogicamente affermerà che il "pensatoio" è sbagliato perché bla bla bla (la moda delle varie opinioni psicopatologiche infantili muta di più che quella degli abiti), io - che le magistrali le ho scelte perché ho avuto maestre di un certo livello - invece credo che "staccare" la spina di nervosismo a un bambino che si sta autoarrabbiando o due bambini che si stanno cavando gli occhi, sia giusto (alla fin fine condividere ore ed ore insieme, non è facile per gli adulti, figuriamoci per dei bambini). Invitarlo con cortese fermezza a calmarsi, distogliendolo dal bollore del momento e concedergli un po' di tempo, può essere d'aiuto anche a lui. Idem per i due litiganti. 
Quando alla Figlia G si unì il Lillo, cominciai a sfruttare gli insegnamenti delle mie maestre: litigate per un gioco? Via il gioco e state seduti per un po' uno in un angolo, uno nell'altro. Vi siete calmati? Bene! Adesso mi spiegate cosa è accaduto ben ricordandovi che la mamma è al di sopra delle parti. Dopo di che, merenda tutti assieme!
L'angolino del "pensatoio" è assolutamente un mezzo che deve portare l'adulto a un lavoro su di sé: se, infatti, l'adulto non è maturo e capace di "fare un passo indietro" tra due bambini che litigano, magari perché uno dei due gli sta antipatico (può succedere, riconosciamolo) o perché si possiede un'opinione migliore di uno rispetto all'altro senza un'apparente motivazione (succede tantissimo anche questo), la propria funzione di arbitro e di paciere fa più danni della grandine. 
Personalmente ho assistito a diverse scene discutibili e, per me che da profana sono un po' appassionata di "educazione", molto interessanti: ci sono genitori, ad esempio, che per qualche motivo patteggiano sempre per un figlio rispetto ad un altro. Tale modo di relazionarsi favorevolmente più verso un figlio rispetto a un altro, danneggia moltissimo il rapporto tra i due poiché, se la situazione rimane invariata fin nell'età adulta, i due avranno molte difficoltà a trovarsi d'accordo. Ci sarà sempre uno dei due che all'occhio del genitore o, peggio, di entrambi i genitori, avrà sempre "ragione", e l'altro che, invece, sarà sempre dalla parte del torto. 
Purtroppo sono diversi i genitori che spesso creano problemi ai figli, ma certamente l'atteggiamento peggiore che non posso non definire intenzionalmente doloso, è quello di chi mette la famosa zizzania. Il divide et impera di latina memoria è senz'altro uno dei peggiori mezzi per controllare le persone: parimenti a un attentato alla democrazia, insinuare un pensiero in un familiare per far sì che non vada d'accordo con un altro, è attentare alla libertà di pensiero e azione altrui. Tra fratelli, lo sappiamo bene noi mamme, c'è sempre quello "attaccabrighe" (talvolta dipende dalla giornata: se uno scende dalla parte sbagliata del letto è capace che rompa l'anima a chiunque per tutto il giorno) che fa uscire dai gangheri l'altro. Personalmente ho sempre pensato - magari facendo errori mostruosi come mio solito - che sia meglio che due bambini che se le danno di santa ragione (e se si dice "santa" vuol dire che im passato non si facevano strane congetture pseudopedagogiche sul fatto che due bambini si sarebbero potuti pestare come tamburi: si sapeva che era normale e la punizione era riservata ad entrambi) siano presi per il bavero e separati in maniera definitiva, ma lasciando che - dopo un'adeguata ramanzina - gli stessi si alleino "contro" di me. Questo per una semplice ragione: chi si ricorda della famosa "Tregua di Natale" del 1914? I soldati britannici e tedeschi, per un buon motivo - l'arrivo del Santo Natale - fregandosene altamente degli ordini di generali e comandanti, festeggiarono assieme improvvisando partite di calcio e veglie di preghiera. Ecco: quando io sgrido i miei figli, tento sempre comunque di stimolare un'alleanza che li unisca, più che pericolosamente tenerli separati. Magari un premio che prometto loro se faranno la pace ma che non devono toccare prima di mezz'ora... In questo caso sorge un'immediata alleanza per agguantare il bottino da suddividersi immaginandomi un po' come una "rivale". Talvolta questa alleanza di quelli che erano stati nemici fino a un attimo prima, crea l'interessante prospettiva di fare la pace per un buon motivo. Ovviamente, non facendo parte di due eserciti diversi, ma di una stessa famiglia o medesimo gruppo, l'alleanza dura di più della "Tregua" del '914. 
Purtroppo, invece, sono diversi i casi nei quali uno o entrambi i genitori hanno rovinato in modo indelebile i rapporti tra fratelli o cugini. Ricordo una compagna di scuola che aveva un fratello molto più grande: questi era nato malato ed ebbe una prima infanzia problematica. I genitori, comprensibilmente, gli stavano dietro e la sorella minore imparò presto a farsi da parte per lui. Lei era molto più brava a scuola, ma il premio di fine anno scolastico del fratello era più appariscente. Lei era di buon carattere, il fratello molto più capriccioso (parlo di quei bambini di dieci anni che sono perfettamente in grado di obbligare i genitori all'acquisto di ogni agognato oggetto solo emettendo una lacrima). Addirittura - lo ricordo perché frequentavo la loro famiglia di più in quanto io e la mia compagna ci iscrivemmo assieme all'università - il fratello trattava talmente male i genitori, da far sentire in imbarazzo me e, soprattutto, la mia amica (chissà come mai studiava psicologia infantile e pedagogia!). Ci perdemmo un po' di vista, ma quando ci risentiamo, spesso per gli auguri di Natale, lei mi racconta di quanto la madre sia oramai abituata a dividerli e farli litigare, che col fratello non si parlano più da tempo. Evidentemente la donna, che ora si dispera per il fatto che i due fratelli non vogliono vivere neppure il Natale assieme, ha intenzionalmente provocato questa "separazione". Ovviamente, mi raccontò una volta la mia amica, questa chiusura al fratello (per la quale lei e il marito hanno optato se pur con sofferenza) è chiaramente colpa sua: come spesso accade ai cattolici, il fatto di essere quelli che "vanno in Chiesa", e che quindi dovrebbero essere "buoni", è un pregiudizio piuttosto radicato in chi è ateo. Io stessa, tentando di arrancare nella mia Fede, sono spesso stata accusata da alcuni parenti (talvolta pure dalla mia nonna, la famosa Nobis) di non essere "buona" anche se "vado in Chiesa", come se recarsi alla Messa sia passaporto alla santità. Sì perché poi talvolta, soprattutto chi non conosce i mille errori anche solo degli Apostoli di Gesù (un branco di gente che spesso non capiva un accidenti di ciò che Lui spiegava) o magari di persone come San Paolo o Sant'Agostino, pensa che chi va in Chiesa debba possedere - per transustanziazione, evidentemente - caratteristiche di bontà. Bontà che, in buona sostanza, potremmo definire cojonaggine. In realtà, e qui sta l'errore massimo di chi straparla di cose che non conosce, chi va in Chiesa e prega, prega, prega, lo fa per un solo motivo: sa di essere non solo una persona che sbaglia a volte, ma un essere umano peccatore che fa casini immondi tutti i giorni. 
Io, per esempio, che nella mia breve e superincasinata vita ho fatto errori che temo mi potrebbero causare il disprezzo di chi mi vuole più bene se un giorno ne verrà a conoscenza, continuo a pensare che Dio mi ama solo come potrebbe fare un Padre che tutto vede dei figli, e tutto perdona. È per questo che, spesso di fretta, in ritardo, spettinata e dopo una giornata passata a sfracassare la vita agli altri, vado alla Messa: perché almeno Lui mi illumini (magari tirandomi teologicamente le orecchie) e perdoni il mio compiere, spesso deliberatamente, grandissimi casini umani.
Io non so come andrà il futuro dei miei figli, ma spero che, dato che ce li ha affidati, Lui sappia assumersi la responsabilità della scelta che ha compiuto affidandomeli. Evidentemente, Lui mi ama talmente tanto che, infondo infondo al mio cuore, sa che se faccio stupidaggini, è perché sbagliando riesco a capirlo. E forse, minimamente, a correggermi. 
Forse. 
Grazie Padre Mio!