Sono stanca. Qua e là non si fa che parlare di emozioni. Fugaci, rapide, immediate emozioni. Durano poco e riempiono chilometri di programmi tv, post sui social, scritti di psicologi (si è capito che se uno psicologo mi piace è perché ha passato un vaglio severissimo?): in sostanza paiono più importanti le fugaci emozioni, di tutto quello che si vive realmente. È tutto un "sentire", "fremere", "percepire", "vivere l'attimo": certo che poi, quando si tratta di sostanza, crolliamo. Se non sentiamo più quello "sfarfallìo" nello stomaco, siamo convinti di non amare più e siamo indotti e abituati a mollare tutto e tutti. Dal coniuge, al figlio, all'amico. I matrimoni si sfanno come neve nel Sahara, ma pure le relazioni tra genitori e figli crollano (c'è anche da dire che se il genitore è più adultescente del figlio adolescente, c'è poco da stare allegri).
In sostanza, quello che vedo, è che ripudiamo la fortezza l'impegno, la costanza e la temperanza: sono stancanti da perseguire. In più, come se non bastasse, per risolvere tutti i guai che combiniamo, cuciamo toppe peggiori del buco (io sono bravissima a combinare situazioni di questo genere: posso tenere lezioni universitarie, se interessa). Tutto questo possiede molte conseguenze: la mancanza di fiducia in noi stessi e la convinzione assoluta che tutti i nostri errori (tutti eh) siano oramai compiuti e irrimediabili (il "d'altronde è così" che ci sembra insormontabile da risolvere e impossibile da rendere reversibile).
San Francesco, che non era il primo venuto, una volta abbracciata la Fede e riconoscendo i propri sbagli, si è reso conto di un fatto chiarissimo: Dio ci ama. Lo ripeto: DIO CI AMA. Perché lo fa? Perché io sono certa che il primo a sapere che siamo dei fragili cretini, è Lui (voglio dire: a Suo figlio dà come primo seguito, una dozzina di imbranati) e, siccome è nostro Padre, ci ama nelle nostre debolezze. Infatti spesso tutto il male che ci circonda, è causato anche dalle nostre mancanze se non dai nostri modi umani e meramente recalcitranti a seguire dove Lui ci guida. Come se non bastasse, Lui ci dà molti strumenti per gestire i guai che abbiamo combinato, ma sfruttarli è pesante. Ecco allora che ci buttiamo sulle emozioni, sulla passione del momento. Dio, invece, non solo ci educa ai sentimenti, forti e duraturi e che includono grosse assunzioni di responsabilità, ma ci ama con com-passione, ben altro dallo sfarfalleggiamento passionale. Lui sente il nostro dolore, patisce con noi (cum-patior: "soffrire insieme a") e ci perdona.
Fidarsi di Lui è fidarci di noi stessi nel suo amore per noi: come accade quando ascoltiamo i bisogni dei bambini, noi adulti non solo ci guadagniamo la fiducia dei bambini stessi, ma in questo modo i piccoli capiscono e immagazzinano un'informazione su loro stessi: "Io valgo, io sono importante, io ho un ruolo in questa famiglia".
San Francesco non fu il Santo degli animaletti e dei cuoricini come ce lo disegnano e ce lo spiegano: San Francesco fece un percorso lastricato di sofferenza e dolore, e quando decise che ci voleva in Paradiso con lui, tirò fuori tutta la virilità dell'uomo consapevole e forte. Lui ci vuole davvero in Paradiso e aspirare a questo luogo santo non è assolutamente emotività, ma accettare che Dio ci ama con dolcezza e mai ci lascia soli, anche e soprattutto nelle sofferenze. Egli ci compatisce e ci sostiene. Ed è forse solo per questo motivo che il piccolo timido insegnamento che sto provando a trasmettere ai miei figli è quello di aver fiducia nel fatto che il Padre non ci abbandona.
E per persone come me, che hanno combinato guai enormi seguiti da pentimenti "con le lacrime in tasca", sapere che posso sperare nel Paradiso, mi sostiene e mi fa alzare la mattina.
Figli miei, non temete: San Francesco ci porta tutti in Paradiso. Lui ci perdona. Potete essere santi.