«Mi ricordo quando ero bambino, quando ero all'asilo. Avevo una immaginazione bellissima: mi aspettavo che alle elementari fosse bellissimo. Me ne immaginavo di tutti i colori. Invece la maestra mi ha tolto la immaginazione, la voglia d'imparare. Prima mi piaceva disegnare, ma la maestra me l'ha tolta. Quando non sapevo leggere mi aspettavo di leggere tantissimo, invece la maestra non me l'ha insegnato. Quando vedo un libro leggo due frasi e poi lo chiudo. Mi aspettavo che la storia fosse più bella, ora mi sta passando la voglia di diventare un insegnante!
Non ho più immaginazione: io non penso neanche più. È come se mi ha tolto la fantasia. Quando la mamma mi dice di fare un tema io sto delle ore a pensare. Non ho voglia di scrivere, né di leggere, né di guardare un libro, né di scoprire tante cose, ora non ho neanche voglia di spostare un foglio.
Quando la mamma mi chiede qualcosa io sto zitto, non so cosa dire».
Ecco. Vorrei dire questo. Nessuno si soffermi mai più di un attimo per decidere quale sia il bene di un bambino. Quando ho riportato il disastro vissuto da mio figlio, alcune amiche mi hanno scritto. Quanti insegnanti bravissimi cercano di aiutare bambini sensibili che apprendono in modo differente da altri? Quanti insegnanti cercano di stimolare ogni bambino a conoscere la realtà con i loro occhi, con il loro sguardo che, magari, non sono quelli ovvi, non sono quelli di tanti altri bambini.
La Nobis me lo raccontava spesso, dopo che - dopo anni di immense sofferenze - scoprimmo che Lillo aveva maturato tutta una serie di difficoltà nell'apprendimento: lei aveva avuto tanti bambini, a scuola, che non riuscivano a stare al passo del gruppo. Bambini sensibili, che s'inceppavano a leggere in pubblico, che confondevano numeri o lettere... Nessuno aveva diagnosticato a questi bambini qualche differenza dagli altri, perché la ricerca era magari immatura. La Nobis era una maestra severa: me la ricordo bene quando insegnava. Si faceva chiamare "Signora" e la si doveva chiamare per cognome, dandole del "lei". Lei è stata una di quelle maestre che davano piccoli rudimenti di latino, che raccontava del Manzoni, che citavano Dante. Di quelle che davano problemi di matematica simili a quelli che deve risolvere Peppone (il sindaco Giuseppe Bottazzi), per prendere la licenza elementare*. Di quelle che mettevano in castigo e strappavano i fogli dai quaderni disordinati (ecco da chi ho preso), ma anche di quelle che non davano compiti a casa durante le vacanze. Soprattutto la Nobis è stata una maestra che sapeva che ci sono bambini che non riescono a stare al passo con gli altri, non perché non s'impegnano, ma perché arrivano a fare le cose in modo diverso, con tempi diversi. Ecco io sono certa che ci sono insegnanti così. Che sanno che la loro professione è una missione che necessita di umiltà, di capire i bambini, di mettersi alla loro altezza.
Poi ci sono insegnanti che non sanno cosa sia il loro mestiere e che riducono i bambini a odiarsi, a odiare ogni cosa che potrebbe invece essere fonte di sapere. Ci sono insegnanti che troncano la fantasia. Che operano chirurgicamente delle amputazioni nell'immaginazione e nella fiducia che il bambino deve poter sviluppare in sé per conoscere il mondo. Insegnanti magari non severe, magari che vengono giudicate "buone" dai bambini, perché non sgridano, non pretendono, non controllano l'ordine dei quaderni. Però insegnanti che di fronte a un bambino che non legge velocemente oppure che non sa rispondere velocemente alle domande sulle tabelline oppure che si distrae facilmente, non sanno come comportarsi. E che siccome essere adulti dà il vantaggio di sentirsi maturi e di possedere una psicologia più arguta (vogliamo chiamarli più furbi?), allora se ne approfittano fino a far sentire inadeguato, incapace, inetto, maldestro e ignorante un bambino.
E allora?
E allora è inutile. Non fate come me. Non insistete, non cercate di maturare un dialogo tra l'inegnante e l'allievo. Non sminuite le difficoltà di un figlio. Non supponete ch'egli menta o si approfitti (di cosa?). Non ascoltate quella pedagogia nera che svaluta e sottovaluta le emozioni dei bambini.
Io sono cresciuta in una famiglia dove le mie difficoltà erano sempre in difetto: era impossibile che non mi ricordassi 7 x 8, che non sapessi scrivere un "pensierino" di più di tre righe, che la maestra o la professoressa non sapessero relazionarsi con me. Era colpa assolutamente mia dei voti bassi e dello sguardo perso che facevo a ogni problema di matematica o spinosa analisi logica. Ricordo che la preside della mia scuola superiore (la prima dov'ero stata iscritta, ancora a Milano) me lo disse chiaramente che ero promossa solo perché la scuola era privata e perché il mio percorso di studi non prevedeva granché (la scuola magistrale era ancora di tre anni, ma la legge mutò nel corso della frequenza della mia scuola superiore: infatti mi diplomai in quinta, a Firenze). In difetto, rispetto agli adulti, c'ero sempre io. Mai uno scudo in mia difesa, mai una parola di conforto nelle mie difficoltà. Ecco, io cascata in questo errore. Se il bambino non va d'accordo con l'insegnante, certamente è colpa sua. Immense cazz stupidaggini frutto di un modo di vedere i bambini dei furbacchioni sempre pronti all'inganno.
Poi ce l'ho fatta. Mi sono liberata del peso della perfidia dell'adultescente medio che s'atteggia a esperto maturo e poi classifica il bambino come imbroglione pronto a catturare l'attenzione su di sé.
Non siamo stati abbastanza una cultura di una società adultocentrica?
E la chiusura nelle camerette.
E l'uso dei cellulari e dei PC a età ben lungi dal comprendere come difendersi dal web.
E le regole asettiche e asociali nelle scuole.
E la mascherina.
E la DAD.
E lo sfruttamento del ruolo adulto che può fare quello che vuole di intere classi di bambini e adolescenti, impartendo ideologie.
E la diffusione della sessualizzazione precoce.
... io sono stanca.
Non fate come me. Se un bambino, un figlio o un allievo, vi dice che non è capito, che non è accolto, che non è compreso: credeteci. Credetegli. E allontanate da lui ogni adulto che non capisce quanto sia importante, che ignora il fatto che sia fondamentale, quando si parla con un bambino, mettersi alla sua altezza, dedicandogli tempo. Dedicare tempo al bambino, facendo sì che possa sapere che c'è chi è disponibile a realzionarsi con garbo. Lasciarlo libero di correre, disegnare, tagliare, colorare, allontanandolo da tecnologie inutili. Lasciare che faccia domande, che scopra, che si ponga delle curiosità alle quali dar risposta.
Nessuno faccia come me: nessuno speri che un adulto che non vede il buono in un bambino, si redima. Allontanategli il bambino.
Non fate come me.
*Una vasca semisferica ha il diametro di m. 2,6. Quanto tempo impiegherà a riempirsi se il rubinetto versa litri 6,27 al minuto?